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Capitolo II – L’ ANALISI : REQUISITI FORMALI E SOSTANZIALI

II. La teoria del liberalismo

1. La dottrina autoritaria

Chiameremo “dottrina autoritaria” (o “dottrina liberale”180) quella (recepita nell’articolo 67 della Costituzione) secondo la quale ogni membro del Parlamento rappresenta (deve rappresentare) la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato o, in altri termini, la rappresentanza politica: a) è diretta alla cura di interessi generali (la generalità della rappresentanza politica); b) è garantita dal

potere del rappresentante di disattendere gli impegni elettorali assunti nei confronti

del rappresentato (il divieto di mandato imperativo); c) si basa sull’idea che l’identificazione degli interessi da rappresentare debba essere di competenza

esclusiva dei governanti, nel presupposto che i governati siano capaci di perseguire soltanto i propri interessi (forse per mancanza più di conoscenze che di

diligenza) (la superiorità dei governanti)181.

180 Cfr. BRANCA, G. (a cura di), Commentario alla Costituzione, II, Nicola Zanichelli Editore-Soc. Ed. del Foro Italiano, Bologna-Roma, 1986, 180: “Il richiamo alla nazione trova la sua spiegazione nel rigetto che si volle fare della concezione democratica rousseauiana (secondo cui il popolo sovrano non poteva avere rappresentanti ma, se mai, solo nunci) e nell’accoglimento invece di quella c.d. liberale del MONTESQUIEU che, negando al popolo la capacità alle decisioni politiche, gli affidava solo la scelta dei «notabili», e riteneva che a questi dovesse essere rilasciata intera libertà di determinazione nella condotta degli affari dello stato, senza alcun vincolo con gli elettori, nell’opinione che altrimenti sarebbe stata turbata la visione obiettiva degli interessi generali quali si appuntavano solo nella nazione”.

181 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 169 e 172, secondo il quale, tra i motivi da cui è stata determinatala sostituzione della rappresentanza alla democrazia diretta, vi è “la opportunità di non togliere i cittadini ai loro uffici privati”. Inoltre, “il principio di rappresentanza perfeziona la forma democratica stessa nelle attuali condizioni di civiltà”, tanto per il suo scopo, quanto per il suo presupposto. Lo scopo della rappresentanza, cioè “dare il governo ai capaci”, “sarebbe del tutto frustrato quando si ritenesse che i deputati dovessero rappresentare precisamente la capacità ordinaria ed avessero dal popolo un mandato cui fossero obbligati d’uniformarsi”; il presupposto della rappresentanza è la superiorità dell’eletto sull’elettore, cioè “che gli uomini di Stato ne sappiano più della folla, e che questa quindi debba affidarsi a loro senza entrare nella decisione delle questioni più gravi, senza dar loro altro mandato giuridico tranne quello di governar bene”; e cfr. CERUTTI, C.,

Perché serve il mandato imperativo per gli eletti, in La discussione. Quotidiano fondato da Alcide De Gasperi, 8 settembre 2012, 2.

La forma di rappresentanza politica risultante dalla dottrina autoritaria si presenta, sul piano sostanziale, come generale e di interessi e, sul piano formale, come

organica e legale (la rappresentanza politica autoritaria). Ne consegue: a) sul piano

sostanziale, che il rappresentante e il rappresentato consistono, rispettivamente, nel

governante e nella totalità dei governati e che l’atto rappresentativo può prescindere dall’elezione; b) sul piano formale, che il rappresentante e il

rappresentato costituiscono un soggetto giuridico unico e che il rapporto rappresentativo è disciplinato da un accordo morale (il mandato indipendente): sicché, il precetto rappresentativo ha un carattere morale e la sanzione rappresentativa non può superare (ed è tipicamente) la mancata conferma. Questa rappresentanza politica, pertanto, è caratterizzata dal potere del rappresentante di

disattendere totalmente le promesse elettorali182.

HOBBES non è usualmente considerato un teorico della rappresentanza politica; ma, dal momento che egli solleva la maggior parte delle più interessanti questioni sull’argomento e in considerazione del punto di vista che assume, l’origine della dottrina autoritaria può essere convenzionalmente fissata nella sua opera più importante, il Leviatano. Come traspare dalle pagine di PITKIN, la descrizione del concetto di rappresentanza e la narrazione della generazione dello Stato di cui ai Capitoli, rispettivamente, XVI e XVII concorrono a suggerire la prescrizione di una rappresentanza politica nella quale tutti i diritti sono a disposizione del rappresentante e tutti gli oneri sono a carico del rappresentato, nonostante (i) la necessità di dimostrare l’autorità ricevuta, (ii) i limiti alla rappresentanza derivanti dalla natura del rappresentante e del rappresentato nonché (iii) la distinzione tra autorizzazione limitata e illimitata, trattati nel Capitolo XVI.

Quanto alla descrizione del concetto di rappresentanza, si rinvia al paragrafo precedente. HOBBES definisce lo Stato come “Una persona unica, dei cui atti [i

membri di] una grande moltitudine si sono fatti autori, mediante patti reciproci di ciascuno con ogni altro, affinché essa possa usare la forza e i mezzi di tutti loro nel modo che riterrà utile per la loro pace e per la difesa comune”, ne identifica il fine

nell’istituzione di un potere comune che possa garantire a una collettività di persone

182 Cfr. CERUTTI, C., L’istituto moderno-occidentale della rappresentanza politica, in Giustizia

sicurezza e giustizia e ne rinviene l’origine nel trasferimento di tutto il proprio potere e di tutta la propria forza da ciascuna persona a un solo uomo o a una sola assemblea, le cui parole o azioni ciascuno riconosce come proprie e alla cui volontà e al cui giudizio ciascuno sottomette la propria volontà e il proprio giudizio. Ciò, “più che consenso o concordia”, “è una reale unità di tutti loro in una sola e stessa persona” (il

leviatano), fondata mediante un apposito patto183.

“Si dice che uno Stato è istituito, quando gli uomini di una moltitudine concordano e stipulano – ciascuno singolarmente con ciascun altro – che qualunque sia l’uomo, o l’assemblea di uomini, a cui verrà dato dalla maggioranza il diritto di

incarnare la persona di tutti loro (cioè a dire di essere il loro rappresentante),

ognuno – che abbia votato a favore o che abbia votato contro – autorizzerà tutte le azioni e i giudizi di quell’uomo o di quell’assemblea di uomini alla stessa maniera

183 Cfr. HOBBES, T., op. cit., 142-143: “L’unico modo di erigere un potere comune che possa essere in grado di difenderli dall’aggressione di stranieri e dai torti reciproci – perciò procurando loro sicurezza in guisa che grazie alla propria operosità e ai frutti della terra possano nutrirsi e vivere soddisfacentemente –, è quello di trasferire tutto il loro potere e tutta la loro forza a un solo uomo o a una sola assemblea di uomini (che, in base alla maggioranza delle voci, possa ridurre tutte le loro volontà a un’unica volontà). Il che è quanto dire che si incarica un solo uomo o una sola assemblea di uomini di dar corpo alla loro persona; che ciascuno riconosce e ammette di essere l’autore di ogni azione compiuta, o fatta compiere, relativamente alle cose che concernono la pace e la sicurezza comune, da colui che dà corpo alla loro persona; e che con ciò sottomettono, ognuno di essi, le proprie volontà e i propri giudizi alla volontà e al giudizio di quest’ultimo. Questo è più che consenso o concordia, è una reale unità di tutti loro in una sola e stessa persona, realizzata mediante il patto di ciascuno con tutti gli altri, in maniera tale che è come se ciascuno dicesse a ciascun altro: Do

autorizzazione e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo, o a quest’assemblea di uomini, a questa condizione, che tu, nella stessa maniera, gli ceda il tuo diritto e ne autorizzi tutte le azioni. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una sola persona si chiama STATO, in latino CIVITAS. E’ questa la generazione di quel grande LEVIATANO, o piuttosto (per parlare con maggior rispetto) di quel

dio mortale, al quale dobbiamo, sotto il Dio Immortale, la nostra pace e la nostra difesa. Infatti, grazie

a questa autorità datagli da ogni singolo uomo dello Stato, egli dispone di tanta potenza e di tanta forza a lui conferite, che col terrore da esse suscitato è in grado di modellare le volontà di tutti i singoli in funzione della pace, in patria, e dell’aiuto reciproco contro i nemici di fuori. In lui risiede l’essenza dello Stato, che, per darne una definizione, è: Una persona unica, dei cui atti [i membri di]

una grande moltitudine si sono fatti autori, mediante patti reciproci di ciascuno con ogni altro, affinché essa possa usare la forza e i mezzi di tutti loro nel modo che riterrà utile per la loro pace e per la difesa comune”.

che se fossero propri, affinché possano vivere in pace fra di loro ed essere protetti contro gli altri uomini”. In tal modo, “ognuno è autore dell’atto del sovrano, rappresentandolo questi illimitatamente”184. Come accennato, la posizione descritta, benché parzialmente oscurata, non è sostanzialmente modificata, né dalla constatazione che il patto vincola l’autore o l’attore, secondo che l’autorità sia evidente o fittizia, né dal fatto che le cose inanimate, le persone irrazionali e i falsi déi non possono essere autori e possono essere impersonati solo a condizione che esista un governo civile, né dalle regole sull’organizzazione o sul funzionamento di una moltitudine di rappresentati o di rappresentanti, né dalla distinzione tra l’autore

puro e semplice (“colui che, semplicemente, riconosce l’azione di un altro”) e il mallevadore (“quello che riconosce condizionatamente un’azione o un patto di un

altro”).

L’autore ritiene, dunque, che l’autorizzazione che ciascun suddito dà al sovrano sia illimitata e che ogni rappresentato autorizzi tutte le azioni e i giudizi del rappresentante come se fossero propri, di modo che non vi sono limiti alle azioni del sovrano come rappresentante e qualsiasi cosa egli scelga di fare vincola i sudditi come se l’avessero scelta essi stessi. A un certo punto, HOBBES sembra implicare che l’autorizzazione che ciascun suddito dà al sovrano sia limitata e, precisamente, quando dice: “ciascuno riconosce e ammette di essere l’autore di ogni azione compiuta, o fatta compiere, relativamente alle cose che concernono la pace e la sicurezza comune, da colui che dà corpo alla loro persona”; ma, – come acutamente nota PITKIN – egli rende abbondantemente chiaro che il sovrano è il solo giudice al mondo sulle “cose che concernono la pace e la sicurezza comune”, sia ammettendolo esplicitamente (“nel modo che riterrà utile per la loro pace e per la difesa comune”), sia dicendo che i sudditi autorizzano tutte le azioni e tutti i giudizi del sovrano, che la sua autorità non ha confini e che “egli dispone di tanta potenza e di tanta forza a lui conferite, che col terrore da esse suscitato è in grado di modellare le volontà di tutti i singoli in funzione della pace, in patria, e dell’aiuto reciproco contro i nemici”185. Pertanto, i sudditi non possono avanzare pretese nei confronti del rappresentante, rimettendosi a lui interamente e a priori; ma, ciò nondimeno, il sovrano ha dei doveri

184 Cfr. HOBBES, T., op. cit., 143, 145 e 189.

che deve interpretare alla luce della propria coscienza e per i quali è responsabile, non già nei confronti dei rappresentati, ma soltanto davanti a Dio.

E’ certo condivisibile la notazione di PITKIN che un sovrano al quale si conferisce in perpetuo un potere completo, senza obbligo di consultare i desideri dei suoi sudditi e senza doveri nei loro confronti ed esigibili da essi, non potrebbe essere più distante da ciò che ordinariamente consideriamo come rappresentanza politica o come governo rappresentativo, in quanto egli non rappresenta affatto il popolo, e che, pertanto, chiamarlo rappresentante è pura ipocrisia. Il principale pregio del sistema politico di HOBBES è comunque l’intenzione di garantire al sovrano un potere sufficiente a governare il popolo186. Tra i padri fondatori della dottrina autoritaria, vi sono inoltre BURKE, HELLER,MAURRAS, MICELI, ROSSI,SCHMITT e ORLANDO.

Secondo BURKE, gli elettori hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni, che il membro del Parlamento ha il dovere di ascoltare e di valutare, ma né di richiedere né tanto meno di seguire. Il mandato imperativo è un istituto ignoto al diritto e non positivizzabile, poiché eluderebbe o comprometterebbe “tutto lo spirito e il tenore della nostra costituzione”. L’elemento dominante della rappresentanza politica è la libertà del rappresentante di deliberare e di decidere, senza altro condizionamento che “la limpida convinzione del suo giudizio e della sua coscienza”187.

HELLER ritiene che “è solo una piccola minoranza del popolo dello Stato” quella che, “con un’azione consapevole”, “prende parte alla configurazione e alla difesa dello Stato”. Per le grandi masse la normatività costituisce “un sufficiente fondamento di legittimazione dello Stato”. La questione della legittimazione si pone invece, per la minoranza decisiva, come “la questione vitale dello Stato”. “Allorché essa smarrisce la fede nella ragion d’essere dello Stato concreto o dello

186 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 14-37.

187 Cfr. BURKE, E., Speech, cit., 14: “To deliver an opinion, is the right of all men; that of

constituents is a weighty and respectable opinion, which a representative ought always to rejoice to hear; and which he ought always most seriously to consider. But authoritative instructions; mandates issued, which the member is bound blindly and implicitly to obey, to vote, and to argue for, though contrary to the clearest conviction of his judgment and conscience; these are things utterly unknown to the laws of this land, and which arise from a fundamental mistake of the whole order and tenour of our constitution”.

Stato come istituzione, ecco che ne giunge la fine: per il popolo dello Stato, per la sua cultura o per tutta l’umanità”188.

MAURRAS sostiene che il potere nelle mani dei molti “aggiunge agli inconvenienti, agli abusi ed agli eccessi connaturati ad ogni autorità, il pericolo assai frequente di risultare insufficiente e di rifiutare ai popoli il loro diritto ad essere governati”. Mentre il potere concentrato nelle mani di una sola persona “rappresenta una garanzia di salute politica molto superiore”189.

MICELI insegna che il carattere nazionale assunto dalla rappresentanza politica trasformava radicalmente la natura del mandato rappresentativo da giuridica a politica; dal momento che il rappresentante si considerava, non solo come rappresentante della propria categoria, ma anche come rappresentante dello Stato, “la teoria del mandato giuridico diventava impossibile” e – in risposta “alle esigenze e allo spirito della moderna vita politica” – al rappresentante era assegnato “un campo più libero di attività, nel quale avrebbe potuto muoversi a seconda della propria volontà e regolarsi a seconda del proprio capriccio”190. In tal modo, – conclude MICELI – “il mandato giuridico, il mandato strettamente imperativo non fu più possibile ed attuabile e dovette mano mano essere abbandonato, sostituendolo con una forma di mandato più largo, d’indole più politica e conforme alle mutate

188 Cfr. HELLER, H., Dottrina dello Stato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988, 334.

189 MAURRAS, C., op. cit., 5.

190 Cfr. MICELI, V., op. cit., 140: “I fattori cui abbiamo accennato dovevano necessariamente condurre a questo risultato. Prima di tutto la grande complessità d’interessi e di bisogni prodotta dall’estensione dello stato e della sua attività doveva rendere impossibile, il mandato giuridico o il così detto mandato imperativo. Quando gl’interessi e i bisogni diventano così numerosi e diversi, non è più dato ad ogni individuo di comprenderli tutti, d’interpretarli e di formularli tutti in modo preciso; come non è possibile di prevedere tutte le trasformazioni che potranno subire e tutte le maniere per poterli soddisfare. E parimenti non è più possibile ad un gruppo di elettori di determinare tutta la linea di condotta che dovrà seguire il rappresentante, né è più possibile a questo di attenersi strettamente a una linea di condotta precedentemente determinata in tutte le sue peculiarità. Questa impossibilità veniva aumentata dalla cresciuta cooperazione politica e dal carattere più intimo che essa aveva successivamente assunto. […] Finalmente occorre tener conto degli effetti della specializzazione funzionale”.

condizioni del diritto pubblico”191. L’autore, dunque, considera il divieto di mandato imperativo come un istituto necessario e opportuno negli ordinamenti giuridici moderno-occidentali per la sua funzione di garanzia della nazionalità della rappresentanza politica192.

ROSSI rileva, anzitutto, che “Il fatto che il mandato imperativo193 è escluso da molte tra le odierne costituzioni, ammesso da nessuna, e in pratica inattuato in quei paesi la cui costituzione ne tace, necessariamente esclude ogni idea di mandato giuridico nel mandato rappresentativo”194. La ragione della natura morale e non giuridica del mandato rappresentativo risiede nella “piena corrispondenza di logica giuridica” sussistente tra un mandato siffatto e la nazionalità della rappresentanza politica195. I caratteri del mandato rappresentativo sono l’incontrollabilità196, l’irrevocabilità197,

191 Cfr. MICELI, V., op. cit., 143: “[Il nuovo istituto del mandato politico] non implica veramente l’esistenza di un mandato o di una commissione, che i rappresentati assegnino al loro rappresentante, sia sotto la forma espressa d’istruzione, sia sotto la forma tacita di un accordo presunto; e non implica neanco che il rappresentante debba obbedire a un’opinione pubblica saldamente costituita, a un indirizzo politico nettamente delineatosi nel corpo degli elettori. Il rappresentante può non sottoporsi né all’una né all’altra delle forme che potrebbe assumere il mandato, senza, che perciò venga considerato come decaduto dal suo ufficio, o possa venir sconfessato dai suoi elettori”.

192 Cfr. MICELI, V., op. cit., 133-145.

193 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 42, ove si legge che il mandato imperativo è “un mandato esplicito ed obbligatorio che gli elettori intendessero di concedere ai rappresentanti”.

194 Cfr. FERRARI, G., op. cit., 1: “La formalizzazione del divieto di mandato è operata dalla Costituzione francese del 1791 (sez. III, art. 7), che viene perciò convenzionalmente assunta come atto iniziale della elaborazione della nozione moderna di rappresentanza politica”.

195 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 42.

196 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 43: “La rappresentanza, appena costituita, assume una veste giuridica di vero e proprio governo imperativo sui cittadini, assoluto nelle funzioni a quella determinate dalla costituzione. Vi è una unica sanzione del controllo popolare sopra i rappresentanti, cioè la rielezione o la non rielezione quando essi hanno esaurito l’ufficio loro. Ma questo è un giudizio posteriore e ad epoche determinate, che il popolo fa sulla condotta tenuta dal deputato, sull’opera passata di esso, anziché sulle questioni che avverranno; e più ancora non è un vero controllo, ma un esame retrospettivo che all’elettore serve soltanto per avere un criterio nella scelta

l’irresponsabilità198, la rappresentatività solo formale199 e la fiduciarietà/legalità200; peraltro, “la nomina del deputato avviene dopo che esso è stato designato da un partito” e il programma elettorale è “un atto politico che non giunge mai a valore giuridico”, il cui contenuto è “così vario” che “si riduce a un semplice consiglio”201.

Tuttavia, il fatto che il mandato imperativo sia proibito nelle costituzioni moderno-occidentali non risolve la questione se tale proibizione sia ammessa, solo per utilità politica, o anche per necessità giuridica. Nel propugnare quest’ultima soluzione, ROSSI adduce le seguenti ragioni. (I) Tra il divieto di mandato imperativo e la nazionalità della rappresentanza politica vi è un rapporto di “strettissima dipendenza logica”, essendo l’uno “una conseguenza giuridicamente necessaria” dell’altro: “la rappresentanza nazionale non si può conciliare col mandato

successiva del rappresentante e che si accorda quindi perfettamente colla teoria giuridica della scelta anziché con quella della rappresentanza”.

197 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 43-44: “Perocchè infatti è tanto esclusa l’idea della controllabilità del mandato da parte degli elettori, che le costituzioni, pure ritenendo opportuno di stabilire lo scioglimento della rappresentanza nazionale prima del termine legale, deferirono sempre questo potere ad organi diversi dal corpo elettorale, cioè a volontà estranee al mandante, quasi con l’intento che non rimanesse affatto alcun brandello della figura del mandato giuridico”.

198 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 44: “Infine i rappresentanti sono irresponsabili individualmente e collettivamente, privilegio codesto che sotto un certo aspetto costituisce una forma maggiormente larga di incontrollabilità estendendosi davanti ad ogni altro potere oltreché davanti agli elettori, e sotto un altro aspetto costituisce il motivo della incontrollabilità stessa”.

199 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 44-45: “Sotto questi aspetti può divenire correttissima dal lato giuridico una formula proposta dal Laband, e cioè che «il Parlamento non è una rappresentanza di popolo, avuto riguardo ai propri diritti e ai propri doveri, ma solo avuto riguardo al modo onde viene composto»”.

200 Cfr. ROSSI, L., I principî, cit., 45: “L’elettore dà un mandato, se tale si può denominare, privo di contenuto giuridico e di limiti, un mandato di fiducia, in altri termini il mandato di adempiere bene all’ufficio, e per questo la elezione implica una scelta. I limiti del mandato invece sono definiti dalla costituzione, e infine il contenuto specifico del mandato, in quanto non si confonde coi limiti, è dato dal rappresentante stesso, anziché dall’elettore. Sarebbe quindi più proprio dire che il mandato nel suo senso giuridico è stabilito, sotto un aspetto dalla costituzione e sotto l’altro dal rappresentante”.

imperativo” (e, specialmente, con i caratteri propri del rapporto rappresentativo privato202), che “non è escluso soltanto per opportunità politica, ma anche per vera