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Capitolo II – L’ ANALISI : REQUISITI FORMALI E SOSTANZIALI

II. La teoria della simbolizzazione

La somiglianza descrittiva non è la sola base sulla quale una cosa può essere sostituita con un’altra, può rappresentare mediante uno “stare per”: i simboli anche si dice che rappresentino qualcosa, che la rendano presente con la loro presenza, benché essa non sia realmente presente di fatto. Possiamo chiamare questa rappresentanza “rappresentanza simbolica” e la teoria che se ne occupa “teoria della

83 Cfr. MANIN, B., Principi del governo rappresentativo, Società editrice il Mulino, Bologna, 2010, 48: “Il fatto che i governi rappresentativi non abbiano mai usato l’estrazione a sorte per attribuire il potere politico mostra che la differenza fra il sistema rappresentativo e quelli «diretti» ha a che fare con il metodo di selezione piuttosto che con il numero limitato di coloro che sono selezionati. Ciò che rende rappresentativo un sistema non è il fatto che a governare siano i pochi, invece del popolo, ma che i governanti siano selezionati solo attraverso elezioni.

In secondo luogo, la selezione per estrazione a sorte non era (contrariamente a ciò che talvolta viene affermato persino oggi) una istituzione marginale nella democrazia ateniese. […] L’estrazione a sorte garantiva a chiunque aspirasse a una carica un’eguale probabilità di esercitare le funzioni che erano svolte da un numero ristretto di cittadini. Anche se non erano in grado di spiegare perché, i fautori della democrazia intuivano che le elezioni non garantivano la stessa eguaglianza”.

simbolizzazione”. Tale teoria concepisce la rappresentanza politica come una sorta di

simbolizzazione, un dato di fatto: entro certi limiti, essa semplicemente accade ed è generalmente così accettata; il rappresentante in funzione del modello di una bandiera o di un emblema che rappresenta la nazione o un culto; e il rappresentato in funzione del modello della nazione o di un culto rappresentato da una bandiera o da un emblema.

L’Oxford English Dictionary definisce un simbolo come “qualcosa che sta per o denota qualcos’altro (non per esatta somiglianza, ma per vaga suggestione, o per qualche relazione accidentale o convenzionale)”. Ciò suggerisce che la bandiera è un simbolo della nazione perché la sua somiglianza con la nazione è vaga piuttosto che esatta; in realtà, la connessione semplicemente non è affatto una questione di somiglianza. Anche se i simboli a volte sembrano condividere certe caratteristiche con le cose per cui stanno, la bandiera non condivide con la nazione alcuna caratteristica visibile, né esatta né vaga.

Esistono, in particolare, almeno due tipi di simboli. Vi è un tipo di simbolo che è completamente arbitrario, non condividendo nemmeno caratteristiche nascoste con il suo referente; i simboli di questo tipo sono i c.d. “simboli convenzionali”. All’estremo opposto dello spettro simbologico, esiste una classe di simboli che non presentano alcun elemento di arbitrarietà: il loro riferimento è tanto chiaro e universale che chiunque si imbatta in essi li capisce. Questi simboli sono chiamati “simboli naturali”.

Anche il modo nel quale un simbolo naturale rappresenta è molto differente da quello della rappresentanza descrittiva. La rappresentanza simbolica, pur essendo uno “stare per”, non è il medesimo della rappresentanza descrittiva, considerata la differenza di significato che esiste tra le due principali funzioni dei simboli: simbolizzare (o “rappresentare attraverso”) e rappresentare (o “rappresentare come”). Dire che un simbolo rappresenta è suggerire una precisa corrispondenza, un semplice riferimento o sostituzione, e forse l’esistenza di un’intera serie di ulteriori corrispondenze delle quali questa non è che una singola istanza. Mentre dire che un simbolo simbolizza è suggerire la vaghezza e l’ambiguità di ciò per cui esso sta, l’impossibilità di scambiare l’uno con l’altro, espressione piuttosto che riferimento.

Più che una fonte di informazioni, allora, il simbolo sembra essere il destinatario o l’oggetto di sentimenti. A causa dell’arbitrarietà che esiste nella maggioranza se non in tutti i simboli, dovuta al fatto che la loro connessione con ciò che rappresentano prescinde dalla somiglianza, l’unico criterio che governa ciò che costituisce un simbolo si trova negli atteggiamenti e nelle credenze della gente. Si ritiene che un simbolo abbia un significato non per la sua somiglianza con il referente, né per una connessione con questo, ma precisamente perché si ritiene così; in questo senso, la rappresentanza simbolica di volta in volta esiste o non esiste, secondo che qualcuno creda o no in essa.

Poiché la connessione tra simbolo e referente pare arbitraria ed esiste solo laddove vi si creda, la rappresentanza simbolica – al contrario della rappresentanza descrittiva – sembra basarsi su risposte psicologiche irrazionali, affettive ed emotive, piuttosto che su criteri razionalmente giustificabili. Non può esserci alcuna giustificazione logica né alcuna ragione per credere in una connessione che è puramente convenzionale o arbitraria; la risposta dipende più da un allenamento e da un’abitudine che da un apprendimento o da una comprensione. Per effetto di ciò, la creazione di simboli svolge un ruolo centrale nella rappresentanza simbolica.

Secondo la teoria della simbolizzazione, la rappresentanza politica è la sostituzione nell’attività di governo, da parte di un soggetto (il rappresentante) e nei confronti di un altro soggetto (il rappresentato), in ragione di connessioni

arbitrarie, convenzionali o nascoste tra il rappresentante e il rappresentato, basate

su emozioni o su sentimenti (la rappresentatività simbolica). Questa sostituzione è raramente identificata con le elezioni. Il leader rappresenterà il popolo intanto e per quanto il popolo lo accetti o creda in lui e la base di tale credenza o accettazione sarà irrazionale e affettiva. Ne consegue che la rappresentanza politica non sarà un’attività, ma uno stato di cose; e, nella misura in cui l’attività sembrerà rilevante, sarà l’attività di far sì che il popolo creda nel simbolo, che accetti il leader come suo rappresentante simbolico84.

I teorici della simbolizzazione possono essere suddivisi in due correnti di pensiero, la corrente monarchica e la corrente democratica.

La corrente monarchica è quella di coloro – come, per esempio, MAURRAS e HITLER – per i quali il simbolo è un solo uomo, sul modello di un emblema che rappresenta un culto. MAURRAS sostiene che il principale criterio di legittimazione dell’autorità è l’attaccamento e l’interessamento del sovrano alla sua carica85. Diversamente, HITLER ritiene che il principale criterio di legittimazione dell’autorità siano le abilità teoriche e pratiche del Capo86. Ciò che accomuna questi autori, peraltro, sembra essere un’estrema valorizzazione delle qualità personali, ora psicologiche e affettive, ora empiriche e razionali, del leader, considerato da solo in grado di governare.

La corrente democratica è quella di coloro – come, ad esempio, SIEYÈS e MARX -ENGELS – per i quali il simbolo è una pluralità di uomini, sul modello di una bandiera che rappresenta la nazione. SIEYÈS afferma che l’unica rappresentanza politica possibile è quella del terzo stato87. Mentre MARX-ENGELS dichiarano che solo il proletariato ha diritto alla rappresentanza politica88. Questi autori, dunque, sembrano

85 Cfr. MAURRAS, C., La monarchia (Enquête sur la monarchie), Giovanni Volpe Editore, Roma, 1970 (1900), 21-22: “In effetti, il punto centrale è lì: ciò che importa non è affatto che ad un determinato momento […] la sovranità appartenga al più degno od al migliore in senso assoluto e relativo; ciò che più di tutto importa non è che il sovrano accumuli nella sua persona la più grande somma d’intelligenza, di cultura o di virtù, benché virtù, cultura, intelligenza siano preziose per adempiere alla sua pesante funzione: l’importante è che egli sia strettamente attaccato, fortemente legato, direttamente interessato alla carica sovrana, e più incline di chiunque altro alla cura di conservare e sviluppare i beni di quella carica, ad allontanare i mali di cui potrebbero soffrire quei grandi beni”.

86 Cfr. HITLER, A., La mia battaglia (Mein Kampf), Gherardo Casini Editore, Santarcangelo di Romagna, 2010 (1925), 156: “La più bella idea teorica rimane priva di scopo e di valore se un Capo non mettesse in moto, verso quella, le masse. E, viceversa, a che servirebbe la genialità, l’impeto di un dirigente, se il geniale teorico non proponesse le mete delle lotte umane? Ma l’unione del teorico, dell’organizzatore e del Capo in una stessa persona è la cosa più rara che si possa incontrare sulla Terra: questa unione crea il grand’uomo”.

87 Cfr. SIEYÈS, E.-J., Saggio sui privilegi. Che cos’è il terzo stato? (Essai sur les privileges –

Qu’est-ce que le tiers etat?), Editori Riuniti, Roma, 1972 (1788-1789), 54: “Il terzo comprende

dunque tutto ciò che appartiene alla nazione; e tutto ciò che non è il terzo non può essere considerato parte della nazione. Che cosa è il terzo stato? Tutto”.

88 Cfr. MARX, K., e ENGELS, F., Manifesto del Partito comunista (Manifest der Kommunistischen

accomunati dall’idea che, per ragioni di fatto o di diritto, solo una classe di cittadini, benché comunque la più ampia, sia legittimata a governare, ora il terzo stato, ora il proletariato.

Come s’è visto, le teorie della rappresentanza politica come un sostanziale “stare per”, privilegiando ora la somiglianza di opinioni ora la comunione di sentimenti tra il rappresentante e il rappresentato, enfatizzano le conoscenze e i desideri dei due soggetti del rapporto rappresentativo.

opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l’abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista”.

3. Le teorie della rappresentanza politica come un sostanziale “agire per”: il fenomeno sotto il profilo oggettivo.

Le definizioni finora esaminate non dicono a un rappresentante cosa fare, o a noi come giudicare la sua condotta; nessuna di esse esprime un concetto della rappresentanza politica come un agire per altri, una attività in nome o per conto di altri. Né fornire informazioni su qualcuno né stimolare la sua accettazione o credenza può essere qualificato in tali termini; l’agire per altri di cui alla presente sezione si differenzia anche dall’oggetto delle teorie formalistiche, giacché queste definiscono il rappresentante secondo accordi formali che iniziano o terminano la sua attività e non in base alla natura dell’attività stessa. In questo momento ci interessa la natura dell’attività stessa, ciò che ha luogo durante la rappresentanza politica, la sostanza o il contenuto dell’agire per altri come qualcosa di distinto dai suoi requisiti formali ed esterni89.

Come spiega PITKIN, la letteratura esistente in materia offre informazioni di due tipi, ciascuna delle quali integra, ma non esaurisce, il significato del termine “rappresentanza”. In primo luogo, si tratta di un certo numero di espressioni avverbiali, dirette a riassumere il compito del rappresentante, il modo in cui deve agire; tali espressioni sono, ad esempio, “agire per” un altro, agire “in vece” di altri, agire “al loro posto” o “in loro luogo”, agire “in loro nome” o “nel loro interesse”, “in accordo con i loro desideri o aneliti”, perseguendo il loro “benessere” o le loro “necessità”, al fine di “compiacerli” o “soddisfarli”, o per agire “come essi stessi avrebbero operato”. In secondo luogo, e spesso in combinazione con queste, si tratta di un’ampia gamma di analogie, anch’esse dirette ad illustrare l’attività del

89 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 114 e 118-119, secondo la quale qualsiasi autore ci dice che deve esistere qualche connessione, relazione o vincolo tra un rappresentante e coloro per i quali agisce; la difficoltà risiede nell’individuare quel vincolo, nel tentare di caratterizzarlo. Su un piano pratico, di senso comune, è facile vedere che agire per altri implica delle obbligazioni e un comportamento speciale; la gente si comporta differentemente, e decide differentemente, quando agisce in nome altrui e si hanno certe aspettative su chi agisce per altri che non si avrebbero se questi agisse per se stesso. Quando agiamo per qualcuno, inoltre, lo facciamo deliberatamente e non d’impulso e ci si aspetta da noi che agiamo come se eventualmente dovessimo rendere conto delle nostre azioni; così, dobbiamo munirci di ragioni per ciò che facciamo, ed essere pronti a giustificare le nostre azioni ai diretti interessati.

rappresentare; tali analogie sono classificabili in cinque gruppi principali, in base alla somiglianza dei significati.

Il primo gruppo contiene i termini che più direttamente enfatizzano l’azione nella rappresentanza, come “attore”, “fattore” e “agente”, insieme all’espressione “agire per”. Il secondo gruppo considera i termini che esprimono l’idea di prendersi cura di un altro o di agire nel suo interesse, come “fiduciario”, “guardiano” e “procuratore”. Il terzo gruppo riguarda la nozione di sostituzione e di agire in luogo o al posto di un altro, insieme a termini come “deputato”, “avvocato”, “luogotenente” e “vicario”. Il quarto gruppo porta con sé l’idea di essere inviato, specialmente con un messaggio o con delle istruzioni, come un “delegato”, un “ambasciatore” e un “commissario”. E, infine, il quinto gruppo interessa l’idea del rappresentante come “specialista”90.

L’attività di rappresentare come agire per altri deve essere definita in termini di ciò che il rappresentante fa e di come agisce. Lo studio delle analogie e delle espressioni avverbiali trovate nella letteratura sembra condurre solo a risultati negativi. Ci occorre una definizione più positiva dell’attività e della sua relazione con la vita politica91.

Le teorie della rappresentanza politica come un sostanziale “agire per” definiscono la rappresentanza politica in termini di ciò che un rappresentante fa e di come lo fa, cosa succede durante la rappresentanza, la natura dell’attività92. Esse sono la teoria dell’autorevolezza93 e la teoria del liberalismo94.

90 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 139-140, secondo la quale dal caos delle molte analogie ed espressioni avverbiali, e delle numerose implicazioni di ciascuna, emergono tre principali idee: l’idea di sostituzione o di agire in luogo di; l’idea di prendersi cura di o di agire nell’interesse di; e l’idea di agire come un subordinato, seguendo delle istruzioni, in accordo con i desideri di un altro. Nessuna di queste idee risulta essere un equivalente dell’idea di rappresentanza. La prima perché esclude l’ascrizione in capo al rappresentato delle azioni compiute dal rappresentante e delle loro conseguenze normative. La seconda e la terza perché presuppongono un’eccessiva subordinazione, ora del rappresentato nei confronti del rappresentante, ora di questo nei confronti di quello. É come se l’idea della rappresentanza richiedesse, oltre all’ascrizione suddetta, anche una relativa equivalenza tra rappresentante e rappresentato, in modo che il secondo avrebbe verosimilmente potuto agire per se stesso e il primo non debba essere considerato come un mero strumento nelle mani di altri.

91 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 112-143.

92 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 59, 114 e 143.