Capitolo II – L’ ANALISI : REQUISITI FORMALI E SOSTANZIALI
II. La teoria della rendicontazione
Le carenze della teoria della rendicontazione – aggiunge PITKIN – sono più evidenti rispetto a quelle della teoria dell’autorizzazione, ma allo stesso tempo essa è dotata di un certo potenziale di convincimento. Coloro che condividono e promuovono la teoria della rendicontazione, il più autorevole dei quali è probabilmente LOCKE, definiscono la rappresentanza politica in termini di “responsabilità”; il rappresentante come qualcuno che dev’essere considerato responsabile, che dovrà rispondere a qualcun altro di ciò che fa; e il rappresentato come qualcuno nei cui confronti si è responsabili, a cui qualcun altro dovrà rispondere di ciò che fa. Secondo la teoria della rendicontazione, la rappresentanza
politica è il trasferimento, da parte di un soggetto (il rappresentato) e nei confronti di
un altro soggetto (il rappresentante), della responsabilità di governo, prima del quale il rappresentante ha il dovere di governare e il rappresentato ha il potere di
controllare e di sanzionare le conseguenze dell’attività di governo. Questo
trasferimento è normalmente, ma non necessariamente, identificabile con le elezioni. In un certo senso, pertanto, questa teoria è diametralmente opposta a quella dell’autorizzazione. Per quest’ultima, essere un rappresentante significa essere esente dalla consueta responsabilità per le proprie azioni; per la teoria della rendicontazione, essere un rappresentante significa avere nuove e speciali obbligazioni. Mentre i teorici dell’autorizzazione concepiscono il rappresentante come libero e il rappresentato come vincolato, i teorici della rendicontazione intendono precisamente tutto il contrario68.
66 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 57: “But the accountability theorists’ real interest is not in the controls or accountability which they impose on the representative; those are merely a device, a means to their ultimate purpose, which is a certain kind of behavior on the part of the representative.
67 Cfr. PITKIN, H.F., op. cit., 55.
LOCKE insegna che un governo può dissolversi essenzialmente in due modi, per scadenza dei termini eventualmente stabiliti alla durata della legislazione e per tradimento del mandato fiduciario conferito dal popolo al legislatore. Nel primo caso, il legislativo “torna alla società” e il popolo “ha il diritto di agire in modo sovrano e di esercitare il legislativo in proprio, oppure di istituire una nuova forma, o di trasferirlo nella vecchia forma in nuove mani, come meglio crede”69. Nel secondo caso, al popolo “è lecito resistere con la forza” ai governanti, non solo “per l’ingratitudine con cui ripagano il di più che hanno avuto dalla legge”, ma anche “per il tradimento del mandato che i loro simili hanno affidato loro”70.
I teorici dell’autorizzazione definiscono la democrazia rappresentativa equiparando le elezioni a una concessione di autorità: un uomo rappresenta perché è stato eletto all’inizio di un periodo nel quale resterà in carica; i teorici della responsabilità, al contrario, equiparano le elezioni a una detenzione di responsabilità: un funzionario eletto è un rappresentante perché (e nella misura in cui) sarà soggetto
69 Cfr. LOCKE, J., Trattato sul governo, Pgreco Edizioni, Milano, 2010, 173-174: “Così, quando la società ha affidato il legislativo a un’assemblea di uomini e ai loro successori, stabilendo le norme e dando loro l’autorità per designare i successori stessi, il legislativo non può mai tornare al popolo finchè il governo sussiste, perché, avendo costituito un legislativo dotato del potere di durare indefinitamente, il popolo ad esso ha affidato il suo potere politico e non può riprenderselo. Ma, se si sono stabiliti limiti alla durata del legislativo e s’è affidato solo temporaneamente questo supremo potere a una persona o assemblea, oppure nel caso in cui, per la loro cattiva condotta, coloro che erano autorizzati a esercitarlo lo perdono, allora – nell’atto in cui lo perdono o alla scadenza prestabilita – esso torna alla società, e il popolo ha il diritto di agire in modo sovrano e di esercitare il legislativo in proprio, oppure di istituire una nuova forma, o di trasferirlo nella vecchia forma in nuove mani, come meglio crede”.
70 Cfr. LOCKE, J., op. cit., 157-158 e 164-165: “C’è dunque un secondo modo in cui un governo può dissolversi: quando cioè il legislativo o il sovrano agiscono contrariamente al mandato ricevuto.
[…]
Tutti riconoscono che a chiunque – conterraneo o straniero – attenti con la forza alla proprietà di qualcuno è lecito resistere con la forza. Ma che si possa resistere a governanti che facciano la stessa cosa è stato di recente negato: come se coloro che hanno per legge i maggiori privilegi e vantaggi avessero per ciò stesso il potere di infrangere quelle leggi che appunto li hanno messi in una condizione di superiorità rispetto ai loro simili, mentre la loro colpa è proprio per questo più grave, tanto per l’ingratitudine con cui ripagano il di più che hanno avuto dalla legge, quanto per il tradimento del mandato che i loro simili hanno affidato loro”.
a rielezione o a deposizione alla fine del suo mandato. Se un gruppo definisce il rappresentante come qualcuno che è stato eletto (autorizzato), l’altro gruppo lo definisce come qualcuno che sarà soggetto a elezione (responsabile); laddove uno vede la rappresentanza come iniziata in un certo modo, l’altro la vede come terminata in un certo modo.
Di quest’avviso sono, tra gli altri, FRACANZANI, FRIEDRICH, LANCHESTER e NEUMANN. FRACANZANI afferma che “Una volta ammessi due soggetti realmente esistenti (e volenti), occorre precisare il contenuto della rappresentanza, per cui ciò che è concluso dal rappresentante, lo è per il rappresentato; in altri termini occorre indagare il rapporto tra i due, costituito anche dalla responsabilità per il proprio operato del secondo verso il primo. È quest’ultimo un aspetto molto importante poiché è un indice sicuro dell’effettiva esistenza del rappresentato: in tanto il rappresentato è, in quanto può realmente, concretamente sindacare quanto il rappresentante ha fatto in suo nome o per suo conto. Perché il rappresentato sia, non bisogna che la sua unica voce sia quella del rappresentante o, secondo la tradizionale correlazione, non bisogna che non possa avere manifestazioni di volontà oltre quelle del suo rappresentante. Per converso il rappresentante si distinguerà dal nuncius per l’autonoma esistenza (volontà) che riveste anche agendo in nome e per conto, a favore, nell’interesse o secondo le volontà del rappresentato”71. FRIEDRICH dichiara che, sia che la base sia religiosa o politica, “la rappresentanza è strettamente collegata alla condotta responsabile”. “Se A rappresenta B, si presume che egli sia responsabile verso B, cioè a dire risponda a B per ciò che dice e fa”. “Nel linguaggio moderno, governo responsabile e governo rappresentativo sono quindi quasi sinonimi”72. LANCHESTER ritiene che “le teorie legittimanti l’obbligo politico” vengano poste alla base degli ordinamenti moderni e contemporanei e si connettano – nella loro adozione – con le condizioni materiali degli ordinamenti di riferimento. “Lo «stare per» del rappresentante in favore del rappresentato non può che essere giustificato da una teoria dell’obbligo politico (o della sovranità), che coinvolga da un lato il tema del mandato e della responsabilità di chi rappresenta nella sostituzione
71Cfr.FRACANZANI, M.M., Il problema della rappresentanza nella dottrina dello Stato, CEDAM, Padova, 2000, 57.
di chi è rappresentato, dall’altro la capacità del primo di impegnare con la propria azione il secondo”73. NEUMANN sostiene che “l’essenza del sistema politico democratico non consiste nella partecipazione delle masse alle decisioni politiche, ma nella possibilità di prendere decisioni che siano politicamente responsabili”. Il principale criterio della democraticità di una pubblica amministrazione risiede “nella piena responsabilità politica del capo dell’amministrazione non verso interessi particolari, ma verso l’intero elettorato”. “Azione politica, in una democrazia, significa libera elezione dei rappresentanti e capacità di spontanea e pronta reattività nei confronti delle decisioni dei rappresentanti”74.
Come s’è visto, le teorie formalistiche della rappresentanza politica, privilegiando ora l’autorità di governo ora la responsabilità di governo del rappresentante nei confronti del rappresentato, enfatizzano la situazione di potere o la situazione di dovere del primo nei confronti del secondo.
Se cerchiamo di andare al di là delle formalità della rappresentanza politica verso il suo contenuto sostanziale, si aprono davanti a noi due direzioni di ricerca percorribili. Possiamo chiederci cosa un rappresentante fa (la rappresentanza politica
come “agire per”) o cosa un rappresentante è (la rappresentanza politica come “stare per”)75.
73 Cfr. LANCHESTER, F., La rappresentanza in campo politico e le sue trasformazioni, Giuffrè Editore, Milano, 2006, 16.
74 Cfr. NEUMANN, F., Lo stato democratico e lo stato autoritario, Società Editrice Il Mulino, Bologna, 1973, 78.
2. Le teorie della rappresentanza politica come un sostanziale “stare per”: il fenomeno sotto il profilo soggettivo.
Le teorie della rappresentanza politica come un sostanziale “stare per” definiscono la rappresentanza politica in termini di ciò che un rappresentante è e di come è considerato, a cosa egli deve assomigliare al fine di rappresentare76. Esse sono la teoria della descrizione77 e la teoria della simbolizzazione78.