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VIII.I Le ragioni della necessità di una regolazione per la sostenibilità 154

VIII.I.II La funzione creativa della regolazione 164

La regolazione non ha soltanto una funzione coercitiva, conessa all’elemento costrittivo, ma anche una funzione creativa, legata a un elemento costruttivo. La regolazione può cioè contribuire a definire nuovi concetti e forme di sviluppo e può dotarli di efficiacia giuridica, conferendogli quindi quella legittimazione necessaria a una effettiva implementazione e diffusione. In tal senso può pertanto essere sia stimolo sia supporto alle dinamiche che influenzano i comportamenti collettivi e individuali. Nell’analisi che segue verificheremo ruolo ed utilità della regolazione come strumento di orientamento delle dinamiche comportamentali verso la costruzione di un modello di sviluppo sostenibile.

Un primo ordine di “ragioni creative” che giustificano l’introduzione di una regolazione

per la sostenibilità riguarda il fatto che i comportamenti individuali sono così radicati nelle

abitudini, nella routine, nel contesto sociale ed istituzionale al punto che talvolta ci troviamo, come rilevato da Jackson, intrappolati in comportamenti insostenibili nonostante

le migliori intenzioni.899 In questo senso, Triandis ha lucidamente osservato che le

abitudini predicono il comportamento meglio di quanto non facciano le intenzioni.900 In

particolare, quando una consuetudine diventa consolidata, supportata ad esempio dal conformismo sociale, è probabile che si perpetui anche se priva di fondamento ma, come fatto notare da Thaler e Sunstein, un “pungolo” potrebbe sradicarla.901 Vi è poi da tenere presente che, come rilevato ad esempio da Thogersen e da Schultz et al, i comportamenti nei confronti delle questioni ambientali sono il risultato di valori sottostanti, ma la connessione tra valori e interessamento per l’ambiente è spesso limitata dalla (non) consapevolezza delle conseguenze dei comportamenti nei confronti della natura e degli altri individui.902 E’ stato inoltre dimostrato che un gran numero di persone ha una

mentalità favorevole alla tutela dell’ambiente che però non si traduce sempre in comportamenti conseguenti.903 A tal proposito Csutora, in un recente studio preso a

riferimento anche dall’Unione Europea,904 si chiede quanto una riduzione dell’impronta di

carbonio905 o dell’impronta ecologica possa essere ottenuta soltanto aumentando la

consapevolezza ambientale della società senza toccare in maniera sostanziale gli elementi strutturali-contestuali.906 Come detto, infatti, una maggiore consapevolezza ambientale non

porta necessariamente a comportamenti pro-ambiente.907 Inoltre, i comportamenti sono

899 T. Jackson, Motivating Sustainable Consumption. A review of evidence on consumer behaviour and

behavioural change, report to the Sustainable Development Research Network, 2005, p. iii e p. ix.

900 H. C. Triandis, Interpersonal behaviour, Brooks Cole, 1977, p. 205

901 R. H. Thaler e C. R. Sunstein, La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su

denaro, salute, felicità, cit., p. 67. Secondo gli autori, come si legge nella nota del traduttore della versione

italiana del libro di Thaler e Sunstein, pungolo è “qualsiasi aspetto della presentazione delle scelte che condizioni il comportamento degli individui, senza vietare però alcuna possibilità”. (p. 10)

902 J. Thøgersen, A cognitive dissonance interpretation of consistencies and inconsistencies in

environmentally responsible behavior, in Journal of Environmental Psychology, 2004, vol. 24, pp. 93-103, p.

102 e P. W. Schultz, The Structure of Environmental Concern: Concern for Self, Other People, and The

Biosphere, cit., p. 335. Sul tema si vedano anche P. C. Stern e T. Dietz, The value basis of environmental concern, in Journal of Social Issues, 1994, vol. 50, pp. 65-84; S. H. Schwartz, Normative influence on altruism, in L. Berkowitz (a cura di), Advances in experimental social psychology, Academic Press, 1977,

vol. 10, pp. 221-279; J. Thøgersen, The ethical consumer. Moral norms and packaging choice, in Journal of Consumer Policy, 1999, vol. 22, pp. 439-460.

903 A. Darnton, An overview of behaviour change models and their uses, GSR Behaviour change knowledge

review, reference report. Centre for Sustainable Development, University of Westminster, 2008; G. Brandon e A. Lewis, Reducing Household Energy Consumption: A Qualitative And Quantitative Field Study, in Journal of Environmental Psychology, 1999, vol. 19, pp. 75-85, p. 83.

904 European Commission, DG Environment, News Alert Service, Environmental awareness does not lead to

smaller carbon footprints, 2012, consultato alla pagina web

http://ec.europa.eu/environment/integration/research/newsalert/pdf/292na6rss.pdf, ultimo accesso 02/02/2014 ore 15.13.

905 Secondo il Global Footprint Network, l’impronta di carbonio (carbon footprint) rappresenta il 50%

dell’impronta ecologica (ecological footprint). Si veda la pagina web

http://www.footprintnetwork.org/it/index.php/gfn/page/carbon_footprint/, ultimo accesso 03/03/2014 ore 08.40.

906 M. Csutora, One More Awareness Gap? The Behaviour–Impact Gap Problem, cit., p. 146.

907 Z. M. Szerényi, A. Zsóka e A. Széchy, Consumer behaviour and lifestyle patterns of Hungarian students

fortemente influenzati anche dalle situazioni esterne quali le infrastrutture fisiche che condizionano le scelte o la rapida obsolescenza dei beni di consumo. 908 Individui che

hanno una propensione negativa nei confronti dell’ambiente tendono a comportarsi pro- ambiente se sono assistiti da condizioni esterne altamente di sostegno, così come individui fortemente motivati possono essere scoraggiati da condizioni altamente restrittive.909 La

predisposizione di un ambiente esterno favorevole, quale quello che potrebbe essere ottenuto tramite una effettiva regolazione per la sostenibilità, ha pertanto un ruolo fondamentale nella promozione di cambiamenti comportamentali.910

Un secondo ordine di ragioni creative a sostegno della regolazione per la sostenibilità riguarda la relazione tra comportamenti pro-ambiente ed effettiva riduzione dell’impronta di carbonio, quello che Csutora ha chiamato il “behaviour–impact gap (BIG) problem”.911

Sembrerebbe infatti esserci un divario tra il risultato atteso e quello realmene ottenuto in seguito alla messa in pratica di un comportamento a favore dell’ambiente. Le ragioni di tale situazione possono essere molteplici e, tra queste, Csutora individua una mancanza di corretta informazione sul reale impatto ecologico dei comportamenti pro-ambiente (ad esempio, l’importanza di differenziare i rifiuti può essere amplificata, mentre l’importanza di ridurre il consumo di carne può non venir sufficientemente valorizzata) o il sopravvenire di fattori esterni che influiscono sul reale impatto ambientale. In definitiva, i comportamenti a favore dell’ambiente hanno una qualche incidenza sull’impronta ecologica dei consumatori per certi aspetti (ad esempio i consumi elettrici e gli spostamenti) ma questi impatti sono relativamente insignificanti se confrontati con l’impronta ecologica complessiva.912 Va inoltre tenuto presente che, come emerso dagli

esperimenti condotti in un recente studio, è improbabile che i comportamenti pro-ambiente di alcuni possano essere sufficienti per generare quelle consuetudini comportamentali attraverso le quali la sostenibilità potrebbe diventare la normalità per la vasta maggioranza

Consistency and awareness gaps in pro-environmental organisational behaviour, Doctoral dissertation-

Corvinus University of Budapest, 2005, citata in M. Csutora, One More Awareness Gap? The Behaviour– Impact Gap Problem, cit., p. 146.

908 S. Sorrell, Energy, Economic Growth and Environmental Sustainability: Five Propositions, cit., p. 1793.

Per un approfondimento delle dinamiche comportamentali si veda A. Peters, M. Sonnberger, E. Dütschke e J. Deuschle, Theoretical perspective on rebound effects from a social science point of view – Working Paper to

prepare empirical psychological and sociological studies in the REBOUND project, Working Paper

Sustainability and Innovation n. S 2/2012, pp. 13 ss. e la letteratura ivi citata.

909 M. Csutora, One More Awareness Gap? The Behaviour–Impact Gap Problem, cit., p. 147.

910 C. Sanne, Willing consumers—or locked-in? Policies for a sustainable consumption, in Ecological

Economics, 2002, vol. 42, fasc. 1-2, pp. 273-287, p. 274.

911 M. Csutora, One More Awareness Gap? The Behaviour–Impact Gap Problem, cit., p. 148. 912 M. Csutora, One More Awareness Gap? The Behaviour–Impact Gap Problem, cit., p. 159.

dei “cittadini-consumatori”.913 Se la modifica volontaria degli schemi comportamentali

verso modelli più compatibili con i limiti ecologici è sicuramente importante, Csutora evidenzia che questa non porterà necessariamente un freno ai crescenti consumi.914

L’ipotesi (fuggevolmente) avanzata in chiusura dello studio di Csutora sembra avvicinarsi alla tesi qui sostenuta secondo la quale la regolazione potrebbe giocare un ruolo decisivo per la sostenibilità. Si tratta dell’affermazione secondo la quale una profonda ristrutturazione dei fattori socio-economici determinanti, inclusa la cultura del consumo, potrebbe essere necessaria poiché basarsi soltanto su comportamenti volontari è inadeguato o inefficiente per ridurre gli impatti ecologici. Le problematiche ambientali sono infatti il risultato di comportamenti collettivi e, come tali, possono essere risolte soltanto attraverso l’azione collettiva.915 Anche Sorrell sembra essere della stessa opinione, riconoscendo

come improbabile che una diffusa adozione di comportamenti improntati alla sufficienza si possa sviluppare ricorrendo alla sola azione volontaria.916 Se anche è stata rilevata una

generale diminuzione dei consumi in seguito alla crisi economica, è improbabile che, in assenza di cambiamenti sociali, politici, economici, culturali e tecnologici, tale tendenza possa risolversi in una pratica diffusa e persistente di consumo pro-ambiente e frugale.917

Due ulteriori considerazioni, così come avanzate da Jouni, danno conto della problematicità dell’azione individuale volontaria. La prima si riferisce alla necessità che la consapevolezza ambientale abbia un ampio bacino di utenza affinchè l’azione individuale possa dispiegare un qualche effetto rilevante. La seconda, riguarda le conseguenze distributive della strategia individuale. Non è tanto il primo rilievo ad essere interessante, si tratta infatti della conferma di quanto già detto riguardo dell’azione volontaria. E’ piuttosto la seconda considerazione che stimola una nuova riflessione sui limiti dell’azione volontaria, in quanto sottolinea una prospettiva meno intuitiva. Nell’ottica delle conseguenze distributive della strategia dell’azione individuale, ogni movimento verso un consumo sostenibile può essere visto come fatto a spese di coloro che sono più sensibili alle questioni ambientali, mentre il resto della popolazione ha un ruolo di free rider godendo del miglioramento nella qualità ambientale senza però contribuire allo sforzo fatto

913 D. Evans, Consuming conventions: sustainable consumption, ecological citizenship and the worlds of

worth, in Journal of Rural Studies, 2011, vol. 27, pp. 109-115, p. 115.

914 M. Csutora, One More Awareness Gap? The Behaviour–Impact Gap Problem, cit., p. 159.

915 J. Thøgersen e F. Olander, Spillover of environment-friendly consumer behaviour, in Journal of

Environmental Psychology, 2003, vol. 23, pp. 225-236, p. 226.

916 S. Sorrell, Energy, Economic Growth and Environmental Sustainability: Five Propositions, cit., p. 1794. 917 D. Evans, Thrifty, green or frugal: Reflections on sustainable consumption in a changing economic

per ottenerlo.918 In altre parole, mentre i benefici dell’azione volontaria individuale sono

sostanzialmente goduti da tutti, i costi vengono sostenuti soltanto da alcuni (un meccanismo parallelo e contrario a quello delle esternalità negative). L’alternativa all’azione individuale proposta da Jouni è formare delle espressioni di moralità collettiva attraverso l’azione collettiva.919 Dall’azione collettiva deriverebbe anche un ulteriore

vantaggio consistente nella possibilità di fornire alternative collettive (ad esempio un più efficiente trasporto pubblico) che non sarebbero ipotizzabili basandosi soltanto sull’azione individuale in assenza di regolazione.

Infine, un’altra conferma della tesi della necessità della regolazione in vista della sostenibilità sembra potersi rintracciare in quanto affermato da Jackson: la difficoltà legata alla negoziazione dei cambiamenti di comportamento a favore dell’ambiente evidenzia la necessità che la politica influenzi il contesto sociale ed istituzionale a livello di consumi, così come il comportamento individuale.920 Più nello specifico, secondo Jackson, per

arrivare a comportamenti maggiormente sostenibili, è necessaria una strategia concertata: assicurare che le regole istituzionali favoriscano tali comportamenti; rendere possibile l’accesso a scelte pro-ambiente; coinvolgere le persone; esemplificare i cambiamenti desiderati nelle politiche governative. In particolare, Jackson individua i seguenti punti chiave nel ruolo che dovrebbe essere giocato dalle istituzioni: introdurre forme di incentivazione (tasse, sussidi, etc.); facilitare le condizioni per la messa in pratica di comportamenti pro-ambiente (politica sui trasporti, sul riciclo, etc.); agire sul contesto istituzionale (regolazione, struttura del mercato, etc.); agire sul contesto sociale e culturale (rafforzamento del senso di comunità, etc.); agire sulle pratiche del commercio e sul loro ruolo sia sui consumatori che sui lavoratori; “aiutare le comunità ad aiutarsi”.921 La retorica

della governance che non deve intromettersi nelle scelte e nei comportanenti dei cittadini rivela secondo Jackson la sua falsità se si pensa al continuo intervento della stessa sui comportamenti degli individui, sia direttamente (ad esempio tramite tassazioni o tramite comportamenti omissivi), sia indirettamente tramite l’influenza esercitata sul contesto

918 J. Paavola, Towards Sustainable Consumption: Economics and Ethical Concerns for the Environment in

Consumer Choices, in Review of Social Economy, 2001, vol. 59, fasc. 2, pp. 227-248, (i numeri di pagina

non sono indicati nella versione consultata alla pagina web http://www.questia.com/read/1G1- 75835721/towards-sustainable-consumption-economics-and-ethical).

919 J. Paavola, Towards Sustainable Consumption: Economics and Ethical Concerns for the Environment in

Consumer Choices, cit.

920 T. Jackson, Motivating Sustainable Consumption. A review of evidence on consumer behaviour and

behavioural change, cit., p. vi.

921 T. Jackson, Motivating Sustainable Consumption. A review of evidence on consumer behaviour and

sociale ed istituzionale.922 A conclusioni simili sono recentemente giunti anche Davidson et

al, affermando che in un contesto economico come quello attuale, il ruolo dell’intervento statale è fondamentale perché gli interventi volti a raddrizzare le storture del mercato (“l’intrusione del pubblico nel mercato”) tendono a migliorare la qualità di vita producendo livelli più alti di felicità (hanno parlato in tal senso di “compassionate

capitalism”). 923 Se l’obiettivo sociale passa dalla massimizzazione della crescita

dell’economia alla massimizzazione del benessere, istituzioni (intese come norme culturali e regole) differenti saranno più adatte per il raggiungimento del nuovo obiettivo.924 Come

dice Costanza, “the role of government also needs to be reinvented”.925

Meglio di ogni altra spiegazione, la seguente affermazione di Cullinan condensa efficacemente le motivazioni su esposte a sostegno della necessità della regolazione per il raggiungimento della sostenibilità: gli esseri umani continueranno a violare i limiti ecologici fino a quando non stabiliremo delle modalità di regolazione della condotta umana che assicurino il rispetto delle leggi fondamentali della “Earth community”.926