• Non ci sono risultati.

Possibili risposte alla Crisi del modello di sviluppo dominante 124

Potrebbe essere letta come una risposta alla prima parte del messaggio della piramide (economia funzione della natura), e quindi alla Crisi del modello di sviluppo dominante, il passaggio, auspicato da Daly, da un’economia della crescita a una “steady-state economy” (o “sustainable economy” o economia in stato stazionario).701

Lo stato stazionario è un concetto ampiamente dibattuto in ecologia. Odum, ad esempio, rileva che ogni volta che tale stato viene raggiunto dopo un periodo di successione ecologica, si assiste alla sostituzione degli specialisti della rapida crescita netta con un nuovo gruppo di componenti, caratterizzati da un più alto grado di diversità, di qualità e di stabilità.702 Infatti, mentre gli ecosistemi giovani sono orientati alla produzione, alla

crescita e alla quantità, negli ecosistemi maturi prevalgono la stabilità e la qualità. Secondo sviluppi scientifici più recenti, però, i sistemi ecologici non sono stati stazionari. Entro tale divergenza di opinioni, Rockwood et al hanno rilevato che una incoerenza caratterizza l’atteggiamento in ecologia nei confronti dello stato stazionario: da una parte, è diventato di moda dagli anni ’60 del secolo scorso riconoscere che i sistemi ecologici sono generalmente non caratterizzati da uno stato stazionario; dall’altra, quando gli ecologisti si

* P. H. Reitan, Sustainability Science and what’s needed beyond science, in Sustainability: Science, Practice, & Policy, 2005, vol. 1, fasc. 1, pp. 77-80, p. 79.

701 H. E. Daly, Beyond Growth. The Economics of Sustainable Development, cit., p. 31 e p. 45. 702 H. T. Odum, Energy, Ecology and Economics, cit., p. 222.

confrontano con la ricerca di soluzioni a problemi reali, spesso fanno ricorso ai concetti dello stato stazionario. 703

Lo stato stazionario non è un concetto nuovo nemmeno per l’economia. Già a metà del 1800, infatti, Mill aveva parlato di stato stazionario riferendolo all’ambito economico. Mill riconosceva che la crescita della ricchezza non è senza limiti e che alla fine dello stato progressivo (“progressive state”) vi è lo stato stazionario, una condizione che l’economista concepiva come un miglioramento considerevole rispetto alla situazione a lui contemporanea.704 Mill proseguiva il suo ragionamento affermando che (sebbene non vi

fosse neppure bisogno di chiarirlo) uno stato stazionario di popolazione e capitale non significava uno stato stazionario a livello di sviluppo umano; vi sarebbe infatti stato spazio per un progresso culturale, sociale, morale, e anche industriale, una condizione insomma nella quale vi sarebbero state maggiori possibilità di migliorare l’arte del vivere. Peraltro, Mill precisava che mentre nei paesi più avanzati il focus avrebbe dovuto spostarsi su una migliore distribuzione della ricchezza, nei restanti paesi vi era invece spazio per una crescita della produzione.705 In tal senso, il compito principale richiesto al Nord del mondo

è stato riassunto da Daly e Cobb nella trasformazione da un’economia consumista a un modello più sostenibile, mentre il contributo del Sud alla sostenibilità globale è stato individuato essenzialmente sulla stabilizzazione della popolazione.706 Tale richiamo a

quella che con il rapporto Brundtland è diventata l’equità intragenerazionale è particolarmente importante, anche in considerazione del fatto che questo concetto sembra aver avuto una minore affermazione rispetto alla parallela nozione di equità intergenerazionale.707 Una rinnovata attenzione nei confronti dell’equità intragenerazionale

sarebbe invece auspicabile e potrebbe risolversi in azioni concrete di equità “trasversale”,

703 L. L. Rockwood, R. E. Stewart e T. Dietz (a cura di), Foundations of Environmental Sustainability: The

Coevolution of Science and Policy, Oxford University Press, 2008, p. 412.

704 J. S. Mill, Principles of Political Economy, vol. II, J. W. Parker and Son, 1857, pp. 320-326, citato in H.

E. Daly, Introduction, cit., p. 12.

705 J. S. Mill, Of the Stationary State, In Principles of political economy with some of their Applications to

Social Philosophy, Longmans, Green and Co, 1909, libro IV: Influence of the progress of society, cap. VI, pp. 66-79.

706 R. Goodland e H. E. Daly, Why Northern income growth is not the solution to Southern poverty, in

Ecological Economics, 1993, vol. 8, fasc. 2, pp. 85-101; R. Goodland, The Concept of Environmental

Sustainability, cit., p. 9-10.

707 S. Stymne e T. Jackson, Intra-generational equity and sustainable welfare: a time series analysis for the

UK and Sweden, in Ecological Economics, 2000, vol. 33, fasc. 2, pp. 219-236, p. 219 ss. Varie possono

essere le spiegazioni della maggiore attenzione dedicata all’equità intergenerazionale a scapito di quella intragenerazionale. Non è questa la sede per approfondire l’argomento, ma sarebbe interessante verificare se una ragione risieda nel fatto che è più “comodo” focalizzare l’attenzione su una ricerca dell’equità “delocalizzata temporalmente”, piuttosto che affrontare oggi la realtà di profonda disuguaglianza che caratterizza la comunità internazionale.

improntate al “qui e ora”, invece che sfumate nella dimensione futura di rapporto con le generazioni a venire.

Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, l’idea dello stato stazionario venne però sostanzialmente abbandonata fino a quando, nell’interpretazione di Daly, non si è ripresentata sotto forma di sviluppo sostenibile.708

Lo stato stazionario auspicato da Mill era visto da molti degli economisti classici come la fine del progresso e quindi temuto e avversato. Uno su tutti, Smith parlava dello stato stazionario come di “dull; the declining melancholy”.709 La spiegazione, secondo

Georgescu-Roegen, si può forse rintracciare nel fatto che, così come l’economia neoclassica era considerata la scienza sorella della meccanica, così lo stato stazionario veniva visto come il fratello dello stato di equilibrio.710 Secondo Daly l’opposizione

dell’economia neoclassica nei confronti dello stato stazionario è invece da ricercarsi nei seguenti “tre anatemi del discorso economico alternativo”: “without growth the only way to

cure poverty is by sharing. But redistribution is anathema. Without growth to push the hoped for demographic transition, the only way to cure overpopulation is by population control. A second anathema. Without growth the only way to increase funds to invest in environmental repair is by reducing current consumption. Anathema number three. Three anathemas and you are damned—go to hell!”.711

Daly si domanda perché, dato che la terra è un sistema aperto in stato stazionario, così come lo sono gli organismi viventi, non debba esserlo anche l’economia, che è un sotto- sistema dell’ecosistema.712 In realtà si tratta di una domanda retorica, poiché Daly ritiene

che a un certo punto anche l’economia non possa far altro che diventare uno stato stazionario, almeno nella sua dimensione di ricchezza fisica e di popolazione.713 Gli

708 H. E. Daly, Beyond Growth. The Economics of Sustainable Development, cit., p. 4. Per un excursus sulle

teorie sullo stato stazionario si veda A. Perez-Carmona, Growth. A Discussion of the Margins of Economic

and Ecological Thought, cit., p. 115-116.

709 A. Smith, An inquiry into the nature and causes of the wealth of nation, Adam and Charles Black,

MDCCCLXIII, p. 37.

710 N. Georgescu-Roegen, The Steady State and Ecological Salvation: A Thermodynamic Analysis, cit., p.

266. Anche Amir rileva che lo stato stazionario è uno stato di equilibrio economico. Si veda S. Amir, The

role of thermodynamics in the study of economic and ecological systems, cit., p. 139.

711 H. E. Daly, From a Failed Growth-Economy to a Steady-State Economy, cit., p. 3.

712 H. E. Daly, Introduction, cit., p. 7 e H. E. Daly, The Steady-State Economy: Toward a Political Economy

of Biophisical Equilibrium and Moral Growth, in H. E. Daly (a cura di), Toward a Steady-State Economy,

cit., pp. 149-174, p. 153.

713 H. E. Daly, The Steady-State Economy: Toward a Political Economy of Biophisical Equilibrium and

economisti possono continuare a massimizzare il valore e questo può concepibilmente crescere per sempre, prosegue Daly, ma la dimensione fisica entro la quale tale valore si trova, deve conformarsi a uno stato stazionario. Anche secondo l’ecologo Odum il sistema dell’uomo e della natura passerà presto da uno stato di crescita rapida come criterio della sopravvivenza economica a uno stato stazionario di non crescita come criterio di massimizzazione del lavoro in vista della sopravvivenza economica: mentre durante la fase della crescita prevale la competizione (insieme alla povertà, all’instabilità e all’esclusione), nello stato stazionario la competizione è controllata ed eliminata a favore di sistemi regolatori, specializzazione e crescita limitata alla sola sostituzione.714

La steady-state economy715 propugnata da Daly è caratterizzata da uno stock costante di

ricchezza fisica (capitale) e di persone (popolazione), mantenuti costanti tramite un tasso di ingresso (produzione e nascite o materia-energia a bassa entropia – cioè esaurimento) uguale al tasso di uscita (consumo e morti o materia-energia ad alta entropia – cioè inquinamento), e da un volume di produzione (di materia e di energia) più basso possibile.716 Precisiamo che la popolazione a cui Daly si riferisce non è soltanto quella

degli esseri umani (lo stock di capitale endosomatico), ma anche quella delle estensioni esosomatiche degli esseri umani.717 Altrettanto importante è ciò che non è mantenuto

costante nella steady-state economy, come ad esempio la cultura, la conoscenza e i codici etici.718 Con stocks fisici costanti, infatti, la crescita economica deve manifestarsi in beni

non fisici, quali i servizi e il tempo libero719 (in questo caso però si potrebbe sostenere che

in realtà siamo di fronte a uno sviluppo economico e non a una crescita).

La steady-state economy è, in altre parole, un’economia a piccola scala, decentralizzata, caratterizzata dalla durevolezza dei prodotti (in contrasto all’obsolescenza programmata), dalla sufficienza per una buona vita, ecologicamente sostenibile, che mantiene un volume di produzione entro le capacità assimilative e rigenerative dell’ecosistema.720 La steady-

714 H. T. Odum, Energy, Ecology and Economics, cit., p. 222.

715 “Stationary state economy”, “steady state economy”, “static state economy” e “no-growth economy”

sono sinonimi. Sul punto si vedano N. Georgescu-Roegen, The Steady State and Ecological Salvation: A

Thermodynamic Analysis, cit., p. 266 e H. E. Daly, Introduction, cit., p. 10.

716 H. E. Daly, Introduction, cit., p. 14.

717 H. E. Daly, The Steady-State Economy: Toward a Political Economy of Biophisical Equilibrium and

Moral Growth, cit., p. 153.

718 H. E. Daly, Steady-State Economics. The Economics of Biophysical Equilibrium and Moral Growth, cit.,

p. 16.

719 H. E. Daly, Introduction, cit., p. 20.

720 H. E. Daly, From a Failed Growth-Economy to a Steady-State Economy, cit., p. 3; H. E. Daly, Beyond

state economy, quindi, oltre che necessitata da limiti ecologici e termodinamici visti nel

corso dell’analisi, sarebbe anche preferibile poiché porta con sé un’alta aspettativa di vita, un minor tempo sacrificato alla produzione, la durevolezza dei beni.721 In particolare, entro

tale modello la produzione è rimpiazzata dalla distribuzione, ed ecco quindi che la steady-

state diventa un’economia “leggera” dal punto di vista delle risorse naturali e

“impegnativa” per quanto riguarda le risorse morali.722 Si tratta ovviamente di una teoria

dalle implicazioni enormi e rivoluzionarie, come riconosciuto dallo stesso Daly, ma non per questo meno degna di attenzione.723 Si presenta, anzi, entro il ragionamento condotto

nel presente lavoro, come un valido candidato per un modello di sviluppo alternativo, anche in considerazione del fatto che, stando a quanto affermato da Daly, lo stato stazionario è una situazione che ha rappresentato la normalità nel 99% del tempo trascorso dall’uomo sulla Terra e ha subito una brusca inversione verso la crescita soltanto negli ultimi 200 anni.724 Tale pensiero è condiviso anche da Ayres, secondo il quale la crescita

economica è stato un fenomeno sostanzialmente episodico nella storia dell’umanità.725

Contrario alla steady-state economy è invece il maestro di Daly, Georgescu-Roegen, il quale considera falso il sillogismo secondo cui dal momento che la crescita esponenziale in un mondo finito porta a disastri di ogni tipo, allora la salvezza ecologica si trova nello stato stazionario.726 Secondo Georgescu-Roegen, infatti, l’errore di una tale concezione consiste

nel non vedere che non solo la crescita, ma anche una situazione di crescita zero o di declino,727 non può durare per sempre in un ambiente finito.728 In tal senso, diceva

Schumacher, ancora più grande del mistero della crescita naturale è il mistero della cessazione della crescita.729 Una risposta a tale critica la fornisce l’affermazione di Daly

secondo la quale nel lunghissimo termine niente può rimanere costante, pertanto anche il

721 H. E. Daly, Introduction cit., p. 14-15. 722 H. E. Daly, Introduction cit., p. 19.

723 Non è in questa sede possibile approfondire ulteriormente l’analisi della steady-state economy. A tal fine

si rinvia a H. E. Daly, Steady-State Economics. The Economics of Biophysical Equilibrium and Moral

Growth, cit. In particolare, in merito alle proposte di regolazione entro un modello di steady-state economy,

si vedano le pp. 50-76.

724 H. E. Daly, Steady-State Economics. The Economics of Biophysical Equilibrium and Moral Growth, cit.,

p. 18.

725 R. Ayres, Theories of Economic Growth, working paper pubblicato nel contesto dell’INSEAD’s Centre

for the Management of Environmental Resources, an R&D partnership sponsored by Ciba-Geigy, Danfoss, Otto Group and Royal Dutch/Shell and Sandoz AG, 97/13/EPS, pp. 2 ss.

726 N. Georgescu-Roegen, Energy and Economic Myths, cit., pp. 367 ss.

727 Georgescu-Roegen non parla di decrescita ma di “declining state which does not converge toward

annihilation”, in N. Georgescu-Roegen, Energy and Economic Myths, cit., p. 367.

728 Per una spiegazione approfondita si veda N. Georgescu-Roegen, Energy and Economic Myths, cit., p. 367

ss.

concetto di steady-state econonomy è valido per un periodo di medio termine: gli stocks possono essere costanti per decenni o per generazioni, ma non per millenni o per l’eternità.730 Niente dura per sempre, quindi nemmeno la sostenibilità può riferirsi a un

periodo di tempo infinito, ci ricordano anche Costanza et al.731

Un’ulteriore precisazione merita di essere fatta: la steady-state economy non deve essere immaginata come una crescita zero del prodotto interno lordo.732 Infatti, poiché la steady-

state economy è definita in termini di stocks (costanti) e non di flussi, il prodotto interno

lordo, che è un indice del flusso fisico, è irrilevante. In tal senso l’economia in stato stazionario si avvicina alla “decrescita”733 che, con le parole del suo proponente, Latouche, non è un programma di promozione di una crescita negativa, poiché “il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre società nello sgomento, aumenta i tassi di disoccupazione e precipita l’abbandono dei programmi sociali”.734 La decrescita è invece

un progetto di costruzione “di società conviviali autonome ed econome […] nella quale si vivrà meglio lavorando e consumando di meno”.735 Nonostante tale corrispondenza, la

steady-state economy e la decrescita differiscono comunque su altri punti. Latouche,

infatti, rigetta qualsiasi forma di controllo della popolazione, in quanto vi rintraccia a fondamento delle intenzioni egemoniche.736 Inoltre, mentre Daly ha delle riserve nei

confronti delle possibilità offerte dalla pratica del riciclo a causa dell’entropia, Latouche sostanzialmente vi fonda una parte essenziale del suo programma di decrescita. In ogni caso, più interessante di cosa distingue l’economia in stato stazionario dalla decrescita sembra essere ciò che le accomuna: il ruolo. Entrambe, infatti, rappresentano delle reali alternative al discorso ambientale ufficiale737 (pensiamo in questo senso alla green growth,

730 H. E. Daly, Entropy, growth, and the political economy of scarcity, in V. K. Smith (a cura di), Scarcity

and growth reconsidered, John Hopkins University Press, 1979, pp. 67-94, p. 80

731 R. Costanza e B. C. Pattern, Defining and predicting sustainability, cit., p.195.

732 H. E. Daly, Beyond Growth. The Economics of Sustainable Development, cit., p. 32. Secondo Beddoe et

al, invece, dovremmo perseguire la riduzione (“minimize”) del prodotto interno lordo insieme al mantenimento di un’alta e sostenibile qualità della vita. Si veda R. Beddoe et al, Overcoming systemic

roadblocks to sustainability: The evolutionary redesign of worldviews, institutions, and technologies, cit., p.

2486

733 La “decrescita” di Latouche è ispirata a pensatori quali Illich, Ellul, Polanyi e Bookchin ed è incentrata

intorno alle “otto R”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Si veda S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, 2008. Sui pensatori che hanno ispirato tale programma si veda A. Perez-Carmona, Growth. A Discussion of the

Margins of Economic and Ecological Thought, cit., p. 149.

734 S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, cit., p. 18. 735 S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, cit., p. 43 e p. 18. 736 S. Latouche, Farewell to growth, Polity Press, 2009, pp. 26 ss.

737 A. Perez-Carmona, Growth. A Discussion of the Margins of Economic and Ecological Thought, cit., p.

green economy, etc.) e potrebbero perciò avere la funzione di stimolare un sostanziale

cambiamento nel modello di sviluppo dominante.

In tal senso, particolarmente rilevanti appaiono (ancora una volta) le proposte di Odum e Daly. Il progetto di Odum è estremamente diretto: espellere l’espansionismo economico, fermare la crescita, usare l’energia disponibile (fino a quando ce ne sarà) per la conversione culturale allo stato stazionario, preparandosi quindi per tempo alle condizioni che in ogni caso arriveranno.738 Secondo Daly si tratta di rimpiazzare il mantra neoclassico

“più è meglio” (infatti, “di più non significa sempre ‘meglio’”)739 con “abbastanza è il

meglio”740 (ma, come avverte Gorz, “la rottura con la tendenza al ‘produrre di più,

consumare di più’ e la ridefinizione di un modello di vita che miri a fare di più e meglio

con meno suppongono la rottura con una civiltà in cui non si produce niente di ciò che si

consuma e non si consuma niente di ciò che si produce”).741 Secondo Daly, sarà sufficiente

abbandonare il paradigma della crescita affinchè i problemi sociali e tecnici del passaggio a uno stato stazionario siano risolti. Il programma recentemente formulato da Bologna pare compendiare e specificare le proposte di Odum e Daly nei seguenti due macro punti programmatici: “la crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da retroazione derivante da limiti esterni gia superati” e “i flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l’efficienza del capitale. In altri termini, occorre ridurre l’impronta ecologica e ciò puo avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno energia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità (ridistribuire i benefici dell’uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per l’ambiente fisico)”.742

A livello operativo, sembra un buon inizio il pacchetto di misure recentemente proposte dal Sustainable Development Solutions Network, uno dei protagonisti del dibattito contemporaneo in materia di sostenibilità.743 La proposta consiste nello sviluppo di una

Sustainable Development Trajectory, il cui elemento di novità viene rintracciato nel

738 H. T. Odum, Energy, Ecology and Economics, cit., p. 227.

739 T. Jackson, Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale, cit., p. 51.

740 H. E. Daly, Steady-State Economics. The Economics of Biophysical Equilibrium and Moral Growth, cit.,

p. 2.

741 A. Gorz, Ecologica, cit., p. 37.

742 G. Bologna, Dall’economia della crescita all’economia della sostenibilità, cit., p. 31 743 J. Rockström et al, Sustainable Development and Planetary Boundaries, cit.

ricorso a nuove tecnologie sostenibili e nuove regole del gioco a livello globale. In tal senso vengono avanzate le seguenti misure: il passaggio a una economia a basse emissioni di carbonio; un aumento nella quantità e un miglioramento nella qualità della produzione agricola e quindi di cibo, con relativa riduzione degli sprechi; una trasformazione dei modelli di urbanizzazione verso una maggiore sostenibilità; una trasformazione del trend di crescita della popolazione (il riferimento è limitato alla parte più povera del mondo); un mutamento nella gestione della biodiversità; una trasformazione della governance (con particolare riferimento al livello internazionale).

Per le ragioni emerse nel Cap. III, però, non possiamo fare a meno di rilevare che tali proposte, seppur pienamente condivisibili e auspicabili, non sembrano essere sufficienti poiché non centrano il cuore del problema. Infatti, la questione di fondo, cioè la necessità di intraprendere un percorso verso un modello di sviluppo alternativo a quello dominante, a partire dalle sue stesse premesse, è sbrigativamente elusa dando per incontrovertibile una impercorribilità a livello politico di qualsiasi nuovo approccio che preveda la riduzione dei consumi nei paesi con economie avanzate e un aumento dello standard di vita negli altri. A uno scarto temporale di quasi 30 anni tra il Rapporto Bundtland del 1987 e la Sustainable

Development Trajectory, sembra quindi non corrispondere un’altrettanto rilevante

evoluzione concettuale. Sia nell’uno che nell’altro, infatti, non una giustificazione di tipo scientifico ma l’“impossibilità politica” è stata addotta come freno preventivo nei confronti di ogni soluzione di rottura con il modello dominante. Si potrebbe rinvenire in questo atteggiamento una traccia di quanto affermato da Spangerber, secondo il quale i decisori spesso agiscono sulla base di una passata esperienza, di risposte plausibili che vengono spontaneamente riattivate e così tanto reiterate (alcuni dei concetti in discussione hanno una storia di più di 500 anni) da diventare “cultural heritage”.744 Un altro richiamo

potrebbe essere fatto alle teorie dello psichiatra Laing secondo cui l’ovvio, qualora rappresenti un disturbo che non può essere assimilato dalla persona senza una qualche interferenza interna, seppur ovvio viene difficilmente percepito dall’individuo, perché i sistemi auto-correttivi contro le interferenze intervengono a relegarlo a un ruolo di secondo piano e a nasconderlo così alla vista.745 Entro un processo puramente razionale, però, come