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La legislazione penale compulsiva e la legislazione dell’emergenza

Nel documento Indice Introduzione (pagine 95-100)

2.4 I singoli fattori endogeni alla base della crisi della legalità

2.4.7 La legislazione penale compulsiva e la legislazione dell’emergenza

L’idea di un codice che contenga l’intero scibile penalistico pare attualmente un’utopia, di grande phatos culturale, ma smentita dalla realtà degli ordinamenti positivi. Questo perché un ordinamento penale si sviluppa, anche se non piace, per crescita naturale settoriale e non di dogmi universali; ciò quanto meno perché difetta di quel consolidamento di valori su cui ogni singola norma del codice deve assolutamente contare248.

In tal senso esemplificativa è l’incursione del diritto penale, ma non del codice penale, in settori che prima ne erano assolutamente liberi: la riservatezza, innanzitutto, in tema di meritevolezza di pena, prima che nuovi strumenti aggressivi venissero a minacciare

246 Di recente Niccolò Ghedini, deputato di Forza Italia nonché difensore di Berlusconi nel processo SME, nell’intervista pubblicata dal giornalista CAPORALE, in Il venerdì di Repubblica, 16 aprile 2004, p. 47, ha ammesso tranquillamente la presenza nella produzione parlamentare degli ultimi anni di leggi ad personam, dovute alla necessità di difendersi con tutte le armi di fronte all’aggressione della minoranza, scatenata nelle aule giudiziarie.

247 Testualmente, ZANON-BIONDI, Diritto costituzionale dell’ordine giudiziario, cit., p. 5. 248

Secondo PALIERO, Riforma penale in Italia e dinamica delle fonti: una paradigmatica, in Riv. it. dir. pen.

proc., 2004, p. 1012, a livello comparatistico è possibile rintracciare tre diversi tipi di criteri regolativi dei

rapporti tra il corpo normativo codicistico e la legislazione extra codicem. Il primo, di prevenzione, è di tipo esaustivo e prevede che tutta la materia stia all’interno del codice: qui, venendo a mancare un raccordo tra diritto penale codicistico e legislazione speciale, il collegamento si verrebbe a creare mediante il diritto sanzionatorio. All’opposto si colloca il modello integrato il quale prevede tante minimali parti speciali, ciascuna avente una propria parte generale ad hoc; rispetto a tale paradigma di codificazione, i rapporti del codice con il diritto sanzionatorio, da un lato, e con la legislazione speciale, dall’altro appaiono paritetici, non gerarchizzabili razionalmente. Nel mezzo si pone il modello più diffuso a c.d. struttura gerarchico-piramidale variabile o ad espansione contingentata, in cui il codice ha una sua riconosciuta centralità e la legislazione

extra codicem è immessa nel sistema secondo limiti stabiliti da apposite regole. A sua volta, il sistema

assume una struttura piramidale, nella quale il vertice è senz’altro occupato dal codice, ma il confine rispetto al corpo della piramide non è fisso ma varia al variare della politica criminale.

In argomento anche GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2001; ID., Codici: qualche

conclusione tra un millennio e l’altro, in CAPPELLINI-SORDI (a cura di), Codici. Una riflessione di fine millennio, Milano, 2002, p. 579.

questo bene; la bioetica, esempio tipico di valori non ancora consolidati ma che inducono forti domande e bisogni di pena, come si è avuto modo di osservare in merito alla controversa questione della fecondazione assistita; il diritto penale sportivo: ciò che diverte come passatempo diventa, nella sua dimensione economico-sociale, un induttore di forti domande di pena.

L’abnorme sviluppo della legislazione penale speciale si caratterizza non solo per l’aspetto quantitativo, ma anche per i suoi risvolti qualitativi sotto il profilo sia di politica criminale che di tecnica legislativa249. Diversi sono gli indicatori di questo processo erosivo dei connotati tipici del modello classico di diritto penale della protezione dei beni giuridici250: l’emersione e l’espansione di beni giuridici ad ampio spettro, di natura collettiva o superindividuale (ambiente, territorio, salute) privi di un reale substrato materiale concretamente aggredibile; la connessa proliferazione di fattispecie di pericolo astratto e di

249 FIANDACA-MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale?, in Riv. it. dir. pen. e proc., 1994, p. 23. 250 Oggi la dottrina focalizza i suoi studi soprattutto sui principi consistenti più che altro in direttive di politica criminale destinate ad incidere più o meno direttamente sui contenuti delle opzioni criminalizzatrici, quali i principi di offensività e di extrema ratio. (Si veda, ad esempio, PULITANO’, voce Politica criminale, in Enc.

dir., Milano, 1985, XXXIV, p, 73; PALIERO, Il principio di effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1990, p. 430; MOCCIA, Politica criminale e riforma del sistema penale, Napoli, 1984.)

Tali canoni non appartengono alla categoria dei principi espressi e neppure hanno natura normativa, nel senso cioè che la loro osservanza non si impone al legislatore con forza cogente, come avviene, ad esempio, per il principio di legalità. Essi costituiscono piuttosto dei corollari di una relazione logica di adeguatezza allo scopo, nel senso che la loro osservanza nella formazione della legge penale si pone come strumento e garanzia di una migliore efficacia della legge medesima. Premesso un tanto, il primo canone che interessa segnalare riguarda l’elaborazione delle norme punitive di parte speciale, definibile della “costruzione tipologica della fattispecie”. Certamente la formulazione del reato per tipi è innanzitutto uno strumento per realizzare pienamente il principio di legalità, ma prima ancora è un requisito interno al funzionamento stesso del precetto penale. È indubbio che il tipo condiziona la formulazione della fattispecie, ma prima ancora esprime l’idea fondamentale di un’omogeneità di disvalore accomunante l’eterogeneità naturalistica delle condotte. Tale omogeneità valutativa fondante il tipo è ciò che, da un lato, consente di rendere afferrabile la fattispecie ai consociati, facendo sì che la norma che lo contiene possa funzionare effettivamente come precetto, e, dall’altro, permette al legislatore di assicurare al legislatore il rapporto di proporzione tra gravità dell’illecito e gravità della sanzione, nel presupposto che il compasso edittale di quest’ultima debba essere contenuto entro un arco ragionevole. Orbene, non vi è dubbio che la formulazione legislativa del tipo è un problema di natura linguistica, ma prima di essere formulato, il tipo deve essere pensato alla luce della realtà. Attualmente sembrano essere due le situazioni più ricorrenti in cui il legislatore nazionale si allontana dalla costruzione tipologica della fattispecie. Per un verso, vi è la situazione di forte tensione emotiva suscitata da gravi fatti cui il legislatore intende fornire una risposta rapida. Conseguenze ultime di un simile modo di legiferare, sono la moltiplicazione delle fattispecie, spesso poi di infrequente applicazione, nonché le difficoltà di coordinamento tra norme convergenti sulla medesima materia. Per altro verso, vi sono le situazioni di obiettiva complessità della materia da disciplinare, spesso caratterizzata da una sorta di artificialità, e quindi scarsa afferrabilità, degli interessi in gioco. È evidente, come in tali casi, il ricorso alla sanzione penale appaia ridursi all’uso di uno strumento rafforzativo dei meccanismi di governo delle attività socialmente rilevanti. Il recupero del criterio tipologico nella fase di formazione della legge penale non è semplice, non solo perché appare insufficiente il controllo successivo esercitabile sul piano della legalità-determinatezza della fattispecie, ma soprattutto perché si tratta di un canone metodologico, inespresso e privo di forza normativa. Un recupero del canone tipologico si potrebbe forse ottenere se la progettazione legislativa di natura penale cessasse di essere dispersa tra i vari uffici legislativi dei Ministeri di volta in volta competenti, per trovare un passaggio obbligato in organi più sensibili alle esigenze proprie della legislazione penale. Sul tema si veda, in dottrina, SGUBBI, Il reato come rischio sociale, Bologna, 1990 e, in giurisprudenza, Corte Costituzionale, sentenza 16 maggio 1989, n. 247, consultabile in Riv. it. dir. proc.

fattispecie omissive proprie, ad esempio, nell’ambito del diritto penale economico; la conseguente bagatelizzazione del diritto penale e perdita di legittimazione della pena; la mancanza di reale efficacia dell’intervento penale e il prevalere di una sua funzione simbolica.

Un altro settore in cui è andata registrandosi una profonda divaricazione rispetto ai principi idealtipici del diritto penale classico è costituito dalla normativa dell’emergenza. Il legislatore dell’emergenza privilegia una concezione accentuatamente strumentale del diritto penale: l’obiettivo prevalente a cui tendere è quello di usare lo strumento penale come mezzo efficace, o almeno simbolico, di lotta contro il crimine e di difesa della società, mettendo in secondo piano le istanze di giustizia ed equità del trattamento punitivo nel caso concreto.

Come evidenziato da un’attenta dottrina, se si osserva lo sviluppo della legislazione penale nei vari corpi normativi, esso appare riconducibile a due direttrici alternative, che riflettono il problema di adattamento reciproco tra parte generale esistente e parte speciale in evoluzione, sia a livello strutturale che contenutistico251.

Da una parte le c.d. mutazioni genetiche, in base alle quali la parte generale subisce un vero e proprio mutamento adattativo derivante dagli inputs provenienti dall’evoluzione della parte speciale e rispondenti ad una logica di sistema. Al riguardo si pensi ai classici reati di lesioni e omicidio quando vengono inquadrati nella sfera di responsabilità del produttore: qui il modello di evento viene deformato e si trasforma in modello di rischio; la causalità, da paradigma sequenziale chiuso si converte nello schema aperto delle reti causali dai bandoli inestricabili; il dolo da volontà di evento di trasfigura in consapevolezza del rischio252.

Dall’altra parte le deformazioni temporanee della parte generale che rispondono ad una logica politica contingente. Esemplificative in tal senso la legislazione antiterrorismo e quella sulla criminalità organizzata, che certamente deformano irreparabilmente la parte generale. Questa opera di rimodellamento ermeneutico, tutta condotta a spese della certezza del diritto, ha creato così, da tempo, un sub sistema chiuso, di fonte prevalentemente giurisprudenziale, che esprime un corpo normativo diverso rispetto ai principi comuni.

251 Al di là delle differenze tra i due tipi di alterazione, comune sembra la causa: invero, il più delle volte, ad innescare il processo di trasformazione è proprio un’esigenza processuale, segnatamente probatoria, che non può più essere efficacemente soddisfatta coi vecchi paradigmi di diritto sostanziale.

Il dato che, però, appare più preoccupante è che, se in passato la sicurezza era argomento circoscritto a singoli settori delle leggi speciali o dell’ordine pubblico, oggi sembra il centro delle attenzioni del legislatore penale e dell’opinione pubblica. Quasi ogni tematica può essere letta dall’angolo visuale della sicurezza, vale a dire della garanzia delle condizioni affinché determinati beni giuridici siano preservati da attacchi e aggressioni, prima ancora che da eventi lesivi253. Da qui il menzionato proliferare di normative, oltre che nel contrasto di fenomeni internazionali di sicuro rilievo per i diritti fondamentali, come il terrorismo, la tratta di esseri umani, la pedopornografia o il traffico internazionale di armi e stupefacenti254, dove la tutela si spinge verso spinte di anticipazione dell’illecito a carico del mero consumatore, anche sul versante dei reati colposi o di quelli di impresa e in contesti dove il rischio è allocato al di fuori di contesti specificamente criminali o di danno. La sicurezza del lavoro, del prodotto, della privacy, della circolazione stradale, dei dati informatici, degli alimenti, dell’ambiente, dell’informazione societaria ne rappresentano l’emblema255.

Naturalmente quest’ansia preventiva sposta l’accento delle incriminazioni dall’evento lesivo alla condotta pericolosa e a volte addirittura alle condizioni prodromiche che riguardano l’organizzazione concreta di condotte devianti (dolo) e la regolazione di sociale di condotte standard (colpa): dall’evento al pericolo, dagli atti preparatori agli accordi, dalla colpa al rischio, dai beni da proteggere al disvalore dell’azione, dal fatto offensivo agli autori pericolosi.

L’uso dello strumento penale, in questa direzione, fa parte della tradizionale disponibilità di un mezzo a basso costo, come è stato tradizionalmente quello penale, per tranquillizzare la paura prima ancora che per neutralizzare rischi, pericoli ed eventi lesivi; d’altro canto il diritto penale è il ramo dell’ordinamento più segnato da bisogni di controllo dell’irrazionale.

253 DONINI, Sicurezza e diritto penale, in Cass. pen., 2008, p. 3558.

254 RUGA RIVA, La nuova legge sulla droga: una legge stupefacente in nome della sicurezza pubblica, in

Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 234; MANES, La riforma della disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti, in INSOLERA (a cura di), La legislazione penale compulsiva, Bologna, 2006, p. 119.

255

Riguardo a tali categorie di reato pare più opportuno parlare, più che di diritto penale di pericolo, più propriamente di diritto penale del rischio, la cui disciplina costituisce la risposta più logica e sicura, a livello penale, alle scarse tenute della causalità e della sua prova rispetto ai classici delitti di evento in settori eziologici multifattoriali e complessi: disancorati dalla causalità e da una colpa fondata su regole cautelari a base scientifica, gli illeciti c.d. di rischio introducono criteri di imputazione oggettiva (aumento del rischio) o soggettiva (mera precauzione) che infrangono i tradizionali parametri del fatto proprio, dell’offensività e della colpevolezza. Ampiamente, in argomento, DONINI, Modelli di illecito penale minore, in DONINI-CASTRONUOVO, La riforma dei reati contro la salute pubblica. Sicurezza del lavoro, sicurezza alimentare,

sicurezza dei prodotti, Bologna, 2007, p. 258; PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale,

Bologna, 2004, p. 480; DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, Bologna, 2004; PIGHI, Sicurezza, legalità

Con il passare del tempo, le ripetute riflessioni della dottrina contro l’uso inflazionistico e meramente simbolico di un diritto penale votato all’inefficacia, hanno fatto sì che si affermasse presso i media e il legislatore l’idea che la vera prevenzione si debba effettuare rendendo più efficace ed effettiva la pena256.

L’effettività della sanzione sarebbe garanzia dell’efficacia della prevenzione, o almeno della prevenzione che si può pretendere da un diritto penale ormai orientato a costruire fattispecie prodromiche e anticipate, non perché cariche di disvalore in sé, ma in quanto utili in chiave preventiva.

Le tendenze tratteggiate trovano riscontro nei dati normativi di ogni ordinamento riguardanti la lotta al terrorismo, introdotti in generale dopo l’11 settembre 2001257: data la dimensione che il pericolo qui può raggiungere, si è posta l’esigenza di una risposta preventiva accentuata, che controlli alla radice le fonti di rischio, piuttosto che i pericoli concreti. Il problema è in che misura ciò spetti al diritto penale anziché all’azione preventiva di intelligence e polizia: quando un ordinamento penale punisce anche il semplice consenso-accordo che una persona dà per essere addestrata, in futuro, come terrorista (art. 270 quinquies e 304 c.p.), è ormai oltre la soglia del diritto penale della volontà e dell’intenzione o della pericolosità soggettiva e il terrorista in pectore è già trattato penalmente come un nemico dello Stato.

Bisogni impellenti di tranquillizzare l’opinione pubblica, prima ancora che di contrastare efficacemente fenomeni sociali, sollecitano le risposte dei vari pacchetti sicurezza che periodicamente il Governo, a qualsiasi fazione appartenga, introduce nel sistema. Che si tratti di criminalità di strada a base violenta o di quella più organizzata, di semplici furti o scippi, di stranieri illegalmente presenti nel territorio, di recidivi, di reati sessuali o incidenti sul lavoro, il passepartout mediatico di tutte le misure di lotta è appunto la sicurezza. In questa accezione la sicurezza è sinonimo di ordine pubblico ideale in quel dato contesto storico: non importa che cosa sarà scelto tra sei mesi o un anno per colmare quel bisogno sicuritario.

Espressione tipica del nuovo clima di sicuritarismo, a livello internazionale, è la disciplina dell’immigrazione, su cui oggi si vincono o comunque si scommettono le elezioni politiche.

256 Secondo MANTOVANI, Insicurezza e controllo della criminalità, in VINCIGUERRA-DASSANO (a cura di),

Scritti in memoria di Giuliano Marini, cit., p. 489, il diffuso senso attuale di insicurezza non è il mero prodotto

dell’amplificazione mediatica della criminalità, essendo riconducibile a due fenomeni: l’aumento quantitativo della criminalità, soprattutto di quella diffusa e dal peggioramento qualitativo della stessa, sempre più immotivatamente e sproporzionatamente violenta, crudele, spregiudicata.

257 SPATARO, Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nell’esperienza giudiziaria: implicazioni

etniche, religiose e tutela dei diritti umani, in DE MAGLIE-SEMINARA (a cura di), Terrorismo internazionale e diritto penale, 2007, p. 173.

Emblematico al riguardo il recente pacchetto sicurezza258, il quale ha introdotto nel codice penale un’aggravante, di cui ampiamente in seguito, a carico dello straniero irregolare rispetto a qualsiasi reato, doloso o colposo, commesso, con equiparazione al latitante o all’evaso, ma in assenza di precedenti titoli di provvedimenti restrittivi e con presunzione di una diversa e maggiore capacità criminale. Una sorta, insomma, di diritto penale di classe: la sicurezza come mera pubblica sicurezza dell’ordine pubblico e l’equiparazione dei poveri, dei neri e degli immigrati ai delinquenti, le eterne classi pericolose da cui occorre proteggere la gente per bene259.

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