7. L’INDUSTRIA DI TRASFORMAZIONE
7.1.3. La localizzazione degli impiant
La localizzazione geografica degli stabilimenti, che tuttora risultano dislo- cati in prevalenza nel Nord Italia (45,5%) ed in particolare in Emilia Romagna (17,7%), evidenzia, oramai da diversi anni, una lenta ma costante perdita di importanza delle regioni settentrionali a favore delle regioni centrali ed, in particolare, di quelle meridionali del Paese (tab. 7.6). Tra il 1981 ed il 2017, il calo totale, -43,4%, del numero di impianti risulta dalla riduzione nelle re- gioni del Nord (-68,1%) alla quale si contrappone la crescita nel Sud (77%) e nel Centro (4,5%). In termini di importanza percentuale, il Sud, attraverso questo processo di crescita è arrivato a superare numericamente le unità pre- senti nel Nord del Paese. Il Centro, viceversa, si mantiene con fasi crescenti e decrescenti vicino alle posizioni assolute che aveva nel 1981. Considerando Tab. 7.6 - Ripartizione per aree geografiche delle unità locali dell’industria lat- tiero-casearia in Italia nel 1981-2016
Nord Centro Sud Totale
1981 2.855 156 525 3.536 1991 1.930 159 661 2.750 2001 1.304 169 802 2.275 2011 962 162 847 1.971 2012 970 181 925 2.076 2013 955 177 928 2.060 2014 947 175 919 2.041 2015 904 165 897 1.966 2016 895 163 903 1.961
due periodi separati, tra il 1981 ed il 1990 e tra il 1991 ed il 2000, nel Nord Italia si evidenzia un calo attorno al 30% in ambedue i periodi, mentre il nu- mero di impianti al Sud e al Centro Italia crescono, anche se in maniera diffe- renziata. A partire dal 2001, e fino al 2008, la consistenza nel Nord continua a diminuire, anche se ad un tasso minore, e rallenta il tasso di crescita al Cen- tro e al Sud. Dal 2008 al 2017 l’andamento evidenzia di nuovo una certa di- namicità in negativo: al Sud hanno chiuso 92 stabilimenti (-9,2%), al Centro 23 (-12,4%) e al Nord tale dato raggiunge le 174 unità (-16,3%). Quindi, con intensità e variazioni differenziate per area e per anno. Tuttavia, se nell’area del nord e centro il calo è stato quasi sempre presente, molto più dinamica è la situazione nel Sud del Paese. In quest’area dopo un forte ridimensiona- mento, -148 aziende, continuato fino al 2011 (da 995 a 847unità in tre anni) i numeri sono tornati prima a crescere, e poi ad oscillare attorno alle 900 unità. Infine, nel 2017 la tendenza torna ad invertirsi, con +15 operatori al Nord, +26 al Sud, e l’area Centro immutata.
Il percorso evolutivo rilevato nel periodo è stato, quindi, assolutamente diverso nelle tre aree del Paese, a causa delle differenti condizioni iniziali ed in risposta ad una domanda complessiva, che in alcune aree permane in cre- scita e, pertanto, sembrerebbe ancora ampiamente superiore alle capacità pro- duttive dell’industria di trasformazione locale. Questo divario tra domanda e offerta solo recentemente ha trovato un’ulteriore spinta al cambiamento nella oramai avviata evoluzione e modernizzazione del sistema distributivo locale, nella crescita della presenza di operatori nazionali ed esteri e nel rilancio di prodotti tipici o anche solamente del territorio.
Comunque, le successive correzioni apportate alle serie storiche da Istat non consentono di evidenziare andamenti sicuri. La diminuzione degli im- pianti può trovare, infatti, spiegazione nei processi in atto di concentrazione delle produzioni o con le più restrittive norme sanitarie e di controllo/sicu- rezza degli alimenti. Mentre l’andamento opposto non è sempre di facile in- terpretazione, al di là di quanto indicato prima, potrebbe essere legato ad un più generale processo di frazionamento del tessuto produttivo in atto nel Mez- zogiorno. L’attuale rallentamento degli andamenti potrebbe significare sia una stabilizzazione strutturale, sia una pausa riflessiva visti gli andamenti e le attuali difficoltà di reperimento della materia prima.
Di certo, rimane la crescita delle forme distributive moderne, anche nel Sud Italia, e gli intensi accordi ed acquisizioni multiregionali effettuati negli ultimi anni, che hanno fortemente contribuito a cambiare radicalmente lo sce- nario competitivo di riferimento. Inoltre, la ricerca del prodotto tipico/tradi- zionale da parte del consumatore e gli sforzi compiuti da organismi privati (si pensi anche alla grande distribuzione e non solo ad operatori locali) e pubblici
per la valorizzazione delle produzioni del territorio, consentono alle imprese, anche di ridotte dimensioni, di trovare degli sbocchi su un mercato diverso da quello provinciale e regionale.
Alla luce di queste considerazioni, le differenze esistenti fra il Nord e il Centro-Sud del Paese (fig. 7.6) sono il risultato di un tessuto estremamente ricco di spirito imprenditoriale, capace di sfruttare le diverse condizioni am- bientali. Le imprese devono comunque confrontarsi con le diverse strategie che l’allargamento del mercato e il processo di globalizzazione e di personi- ficazione di massa dei consumi richiedono. In particolare alle imprese si do- manda un’offerta di beni e ancor più di servizi atti a soddisfare le sfaccettate esigenze del cliente finale, ma anche le sempre più pressanti necessità orga- nizzative, espositive e promozionali dettate dalla distribuzione.
Indirizzando l’analisi a livello della singola regione (tab. 7.7), i dati ripor- tano che, nel 2017, Lombardia, Puglia, Emilia Romagna e Campania sono, in ordine crescente, le quattro regioni italiane in cui si concentrano il maggior numero d’unità locali produttive; singolarmente presentano oltre il 10% del numero totale di stabilimenti. Segue fortemente distanziato, con 123 unità lo- cali, il Veneto. Sommando il peso di queste prime cinque regioni, quelle con oltre 100 unità locali, si riscontra un livello di concentrazione territoriale degli stabilimenti attorno al 64%.
Fig. 7.6 - Ripartizione territoriale delle unità locali dell’industria lattiero-casea- ria operanti in Italia nel 1981-2017
La forte differenza numerica dell’Emilia Romagna, che dal 2006 ha perso 143 unità, è riconducibile soprattutto alla particolarità delle strutture produt- tive del Parmigiano Reggiano. Infatti, in Emilia Romagna risiede il 40,1% del totale degli stabilimenti nazionali gestiti da cooperative e delle latterie turnarie e di prestanza, unità produttive dislocate ancora per oltre l’86% nel Nord Ita- lia. Questa forma societaria rappresenta circa il 55% del totale delle unità lo- cali dell’Emilia Romagna: dopo la crescita del 2012 era tornata a diminuire fortemente, -50 unità in due anni, per poi, prima restare stabile nel 2016, e ora tornare a crescere anche se solo di 2 unità. Non è in ogni caso la percentuale più elevata, poiché la provincia di Trento arriva al 70,1%. Rispetto agli anni passati questa categoria di stabilimenti si è fortemente ridotta nel Friuli Vene- zia Giulia e nella provincia di Bolzano. Quest’ultima evidenzia andamenti an- nuali molto altalenanti e molto particolari, tanto più se si considera che il nu- mero complessivo di unità locali dal 2010 al 2016 è variato di 1 solo stabili- mento. Complessivamente a livello nazionale, dopo anni di continua diminu- Tab. 7.7 - Numero di unità produttive operanti nel settore lattiero-caseario, per tipo e regione nel 2017
Regioni centrali delCaseifici e latte Stabilimenti di aziende agricole Stabilimenti di enti cooperativi agricoli (a) Centri di raccolta Totale
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 7 6 10 - 23
Piemonte 69 4 17 3 93
Liguria 8 1 1 1 11
Lombardia 123 8 82 15 228
Trentino- Alto Adige 12 1 22 - 35
Bolzano/Bozen 5 1 5 - 11
Trento 7 - 17 - 24
Veneto 71 1 39 12 123
Friuli Venezia Giulia 23 - 21 6 50
Emilia Romagna 124 24 190 9 347 Toscana 37 2 8 1 48 Umbria 15 - - 1 16 Marche 4 2 4 3 13 Lazio 56 7 12 11 86 Abruzzo 27 2 2 4 35 Molise 32 1 2 4 39 Campania 314 9 14 15 352 Puglia 218 2 5 11 236 Basilicata 44 2 4 2 52 Calabria 61 3 6 1 71 Sicilia 50 6 6 5 67 Sardegna 55 1 20 1 77 ITALIA 1.350 82 465 105 2.002
a Comprese le latterie turnarie e di prestanza.
zione le cooperative, dopo aver fatto registrare nel 2008 la prima inversione di tendenza, con una crescita di ben 23 stabilimenti, nel 2009 erano tornate a perdere oltre 90 stabilimenti, per poi proseguire nel 2010 e 2012 con un anda- mento nuovamente positivo. Nel periodo 2010-2016 sono sparite 73 unità. Infine, nel 2017 questa continua emorragia di imprese segna una inversione, +23.
In Campania e Puglia, con rispettivamente 352 e 236 unità, sono localiz- zati il 63,3% del totale degli impianti presenti nel Mezzogiorno. Sono sempre queste due regioni che hanno assunto ormai rispettivamente la prima e la se- conda posizione a livello nazionale per numero di “caseifici e centrali del latte”, con rispettivamente 314 e 218 stabilimenti. Seguono, sempre nel 2017, Lombardia e Emilia Romagna con circa 120 stabilimenti e, più o meno distan- ziati, Veneto e Piemonte (71 e 69). Queste sei regioni detengono il 68,1% del totale dei “caseifici e centrali del latte”. Inoltre negli ultimi due anni, solo nel Centro i caseifici diminuiscono, mentre Sud e Nord tornano a crescere.
Nelle regioni meridionali la prevalenza delle società di capitale di carattere privato è netta. Questa forma giuridica rappresenta, globalmente, l’86,2% del totale delle unità locali presenti e mediamente oltre l’80% del totale degli ope- ratori. Solo la Sardegna si discosta nettamente da questo fenomeno, regi- strando una percentuale di operatori privati inferiore, 71,4%, dovuto ad una maggiore presenza di realtà cooperative. Nel Centro Italia, l’Umbria arriva al 94% seguita da Toscana con il 77%; più distanti, sempre nel 2017, Lazio, 65,1%, e Marche, 30,8%. Nel Nord Italia, la Liguria e il Piemonte registrano la netta prevalenza di caseifici non sociali con percentuali attorno al 73, 74%. Le altre regioni presentano percentuali molto più basse. Trento è la provincia con la minor intensità di questa forma giuridica, 29,2%. Infine, gli stabilimenti annessi ad aziende agricole ed i centri di raccolta rappresentano complessiva- mente il 9,3% del totale delle unità locali operanti in Italia.
I centri di raccolta (5,2%) tornano a crescere di 7 stabilimenti nel 2017, e confermano di essere una realtà anche numericamente importante, in partico- lare nelle Marche ed in misura minore nel Lazio: rispettivamente hanno una quota del 23,1 e del 12,8%. Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Molise si posi- zionano vicino all’11%. In Trentino Alto Adige ed in Valle d’Aosta questa tipologia di operatori non viene riportata dall’Istat.
In Emilia Romagna si riscontra, anche nel 2017, il maggior numero di sta- bilimenti annessi ad aziende agricole, scesi a 24, il 29,3% del totale nazionale; una certa rilevanza è presente in Lazio, Campania e Lombardia, tutti comun- que con più di nove operatori. Tuttavia, in Valle d’Aosta e Marche questi ope- ratori presentano una certa rilevanza percentuale, rispetto al totale delle unità produttive operanti nella regione.
7.2. Le produzioni
Dopo una sintetica descrizione dell’andamento della produzione dell’in- dustria lattiero-casearia, si prendono in esame le disponibilità e gli utilizzi del latte di produzione nazionale e di importazione, e la situazione delle produ- zioni a denominazione di origine.