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La moltiplicazione delle modalità di restituzione

Nel documento Etnografie Militanti. Prospettive e dilemmi (pagine 135-155)

Sebbene recentemente Dei (2017), Allovio e Favole (2018) abbiano caratterizzato l’antropologia radicale, intesa come studi accademici di illustri cattedratici, per una certa impostazione teorica a loro avviso ingiustamente iper-criti- ca verso lo Stato e “non così ingenua da avanzare linee di azione” (Allovio e Favole 2018, p. 7), dalla rassegna di lavori di etnografi militanti italiani emerge invece una convergenza non tanto nell’apparato teorico quanto su questioni eminen- temente pratiche, legate alla volontà di implementare “linee di azione” intese come restituzione, una delle dimensioni più cruciali della relazione tra etnografo e contesto militante. A differenza degli approcci critici astratti, la tensione politica che nutre la ricerca militante genera un coinvolgimento per- sonale tra ricercatore e soggetto studiato che si instaura nella fase di ricerca ma non si esaurisce durante la raccolta della documentazione: investe le forme in cui l’esperienza di inda- gine viene resa fruibile, innanzitutto a chi l’ha resa possibile accettando la collaborazione con l’etnografo. Pubblicazioni accademiche o frequentazioni di ambienti ‘alternativi’ non sono spesso viste dal contesto di movimento come forme di restituzione sufficienti: la ricerca deve ‘tornare’ in termini di benefici tangibili. La dimensione politica della relazione amplifica le aspettative rispetto alle possibili applicazioni del sapere prodotto su entrambi i fronti, quello del ricercatore

(a sua volta etnografo e attivista) e quello del contesto. È un momento particolarmente delicato perché la prospettiva del ricercatore viene esplicitata pubblicamente e gli attivisti pos- sono valutare sintonie e divergenze rispetto alla raffigurazio- ne che viene data di loro; il sodalizio che spesso si crea nelle etnografie militanti viene messo alla prova dalla divulgazione.

Melucci (1982, p. 152) aveva colto la rilevanza degli usi pubblici delle esperienze di ricerca soffermandosi sulla ne- cessità di stabilire equilibri nel potere di rappresentazione tra il ricercatore, suo produttore, e il contesto studiato che ri- schia di essere estromesso dalla costruzione della narrazione:

In un mondo in cui ‘nominare’ equivale sempre più a ‘far esistere’, la debolezza degli attori è una privazione o deforma- zione della parola. Difficilmente ci può essere contratto [tra ricercatore e contesto studiato] senza restituzione/ riappro- priazione della parola.

Oggi gli attivisti hanno canali accessibili e competenze per adoperare la parola indipendentemente dall’etnografo. La salutare perdita del monopolio accademico della narrazione pubblica – che gli scienziati sociali in molti casi hanno eser- citato fino alla esplosione della comunicazione in rete – ha moltiplicato i discorsi prodotti sui contesti politici, eppure le rappresentazioni e la documentazione esposta dall’etnografo continuano ad essere soggette ad un attento scrutinio.

La restituzione richiesta all’etnografo in contesto militan- te non è intesa esclusivamente come produzione di narrazio- ni. La forma e il modo in cui l’etnografo rende un servizio al circuito attivista è frutto di un continuo processo di ne- goziazione costruito insieme mentre si progettano iniziative, si partecipa a riunioni, si collabora su questioni intellettuali e pratiche, si stilano e fanno circolare appelli, si discutono e rivedono documenti. È l’intimità quotidiana del rapporto, consolidata dalla affinità politica, a permettere di immagi- nare e realizzare scambi che il contesto attivista può ritenere benefici. Come fa notare Pozzi, quando l’etnografia cerca

una valenza militante la restituzione tangibile diventa quasi ineludibile, a differenza di modalità politicamente più neutre di condurre indagine sociale. La richiesta che avanza l’etno- grafo di un’ospitalità collaborativa per permettere la raccolta dei dati, viene in genere contraccambiata con iniziative tese a rendersi utile agli interlocutori, in maniera concreta.

Probabilmente non si realizza davvero la ricerca militante se non restituisci. Il cuore della ricerca militante è esattamente la re- stituzione. Se no il meccanismo rimane un po’ inceppato. Se non restituisci non riesci neanche a fondarlo e migliorarlo questo lavo- ro militante; nel senso che se le persone con cui lavori poi non ti dicono cosa ne pensano di questa cosa […] cosa lo stiamo facendo a fare […] Se restituiamo solamente all’accademia non parliamo di ricerca militante (comunicazione personale, aprile 2019)

Apoifis (2017, p. 4, 50) esemplifica una sensibilità diffusa quando sostiene che l’etnografia militante

richiede ai ricercatori di dimostrare partecipazione e solida- rietà politica con i loro soggetti di studio, oltre ad un impegno a condividere i risultati della ricerca una volta completata, in uno stile attento alle implicazioni politiche […] l’obiettivo è quello di produrre conoscenza politicamente implementabile dai movimenti. La sua dimensione militante deriva dalla ricer- ca e diffusione di suggestioni partigiane […] Oltre a questo libro ho vigorosamente condiviso, in forme diversificate, la mia esperienza e suggestioni Ateniesi con numerosi anti-fascisti, anarchici, anti-autoritari.

In questo capitolo e in quello successivo, partendo dalle esperienze degli autori ci chiediamo: Come fare (in termini di linguaggio usato e canali di comunicazione) a rendere non solo interessante ma comprensibile (contenendo la comples- sità concettuale e analitica) e quindi praticamente usufruibile la ricerca etnografica? Quali tensioni può creare l’asimme- tria di potere generata da una rappresentazione ‘esperta’ e ‘accademica’ dell’attivismo? Che succede quando ciò che emerge dalla indagine non è quello che il contesto studiato

si aspettava? Quanto si può discostare la rappresentazione dell’etnografo da quella che il movimento fa di se stesso? Se ci si discosta eccessivamente si corre il rischio di tradire o di compromettere lo sforzo profuso da un movimento con cui il ricercatore può anche sentire una discreta sintonia? Quanto quindi si deve dimostrare un appoggio entusiasta, un alline- amento simpatetico con il movimento o quanto si può eser- citare liberamente la critica culturale? Come caratterizzare la rappresentazione etnografica del movimento rispetto alle altre che circolano? Infine, quali sono i potenziali rischi per l’etnografo di un atteggiamento schierato?

1. Restituzioni pratiche

Se in diversi ambiti di ricerca universitaria, la restituzione è spesso limitata alla divulgazione dei risultati, spesso attra- verso pubblicazioni con un taglio scientifico, in molti conte- sti in ci si svolge ricerca militante, le pubblicazioni sono solo una delle possibili forme di resa: l’uso pubblico delle indagi- ni prende forme molteplici e complesse che accompagnano tutte le fasi dalla ricerca militante. Il ricercatore quando assu- me pienamente un ruolo da attivista diventa una risorsa che interagisce nel gruppo offrendo abilità e tempo, portando avanti progetti e contribuendo a definire strategie e tattiche. Come altri attivisti, l’etnografo ha competenze specifiche che possono essere utili già nel corso della ricerca; ad esempio spesso condivide materiali di potenziale interesse per il grup- po studiato quali documenti e filmati prodotti o rintracciati dal ricercatore che, visionati dal contesto attivista, possono essere ripresi e fatti circolare per pubblicizzare il movimen- to (vedi ad esempio Ravenda 2018, p. 47). Casas-Cortés, Osterwill e Powell (2013, pp. 212-213) raccontano come delle note stilate come documentazione finalizzata ad una tesi di dottorato comincino a circolare, vengano modifica- te per finire stampate e diffuse sul web. Ad un gruppo di ricercatori che promuove una etnografia collaborativa con i

gruppi di resistenza agli sfratti a Granada, vengono avanzate in assemblea due richieste che esulano dalle loro competenze universitarie: un approfondimento di ordine legale e un cor- so di formazione politica (scelgono di accettare la seconda ma non la prima) (Olmos Alcaraz e altri 2018; cfr. Sebastiani e Cota 2018). Irene Peano rispetto alla ricerca condotta con la mobilitazione dei lavoratori agricoli migranti, spiega che

una parte della nostra militanza è volta proprio a creare stru- menti di disseminazione della conoscenza acquisita (ad esempio sulle leggi che regolano il lavoro, l’immigrazione, il sex work; sull’accesso ai servizi; sul funzionamento delle questure…). È appunto attraverso la conoscenza raccolta e poi ri-disseminata che è stato possibile organizzare momenti di lotta collettiva.

La restituzione più rilevante avviene, in genere, a ricerca avanzata o terminata, quando alcuni risultati o spunti vengo- no divulgati o resi fruibili nel contesto attivista per stimolare una riflessione condivisa. In genere l’etnografo quando si esprime in pubblico, con i suoi scritti ma anche in dibattiti, presentazioni, documenti esprime simpatia e sostegno al cir- cuito studiato, come d’altronde tendono a fare gli etnografi anche in contesti meno militanti, e al contempo prova a capi- re come il sapere generato nella ricerca possa essere concre- tamente reso utile per gli obiettivi politici che condivide con il movimento. In alcuni contesti l’etnografo è coinvolto nel- le strategie giuridiche del gruppo studiato sia per validare, come professionista, diritti consuetudinari “indigeni” sia in contesti più militanti per smontare analiticamente la repres- sione giudiziaria dei movimenti (vedi ad esempio Hale 2006 ma anche Chiaramonte e Senaldi 2015). Nadia Breda spiega bene, esemplificando dinamiche ricorrenti tra gli etnografi militanti, i molteplici impatti imprevisti che può avere l’inda- gine sull’uso sociale di alcune zone paludose in Veneto.

La mia ricerca è sempre stata restituita, da subito, in tempi rapidi, attraverso libri, articoli, interventi pubblici, ma soprat- tutto attraverso la mia presenza sul campo, partecipazione a

riunioni, assemblee, dalle raccolte di firme sulle piazze […] In realtà, dopo 25 anni dall’inizio della storia, e dopo 9 dall’uscita del mio libro che racconta questo conflitto […], credo che la mia ricerca abbia avuto una doppia utilità:

1. Il libro Palù [Breda 2001] serve per conoscere questo territorio, che nelle sue parti più belle e non coinvolte dall’au- tostrada oggi è valorizzato. I palù di Polcenigo sono patrimonio Unesco, e altri sono dei SIC (Siti di Interesse Comunitario) per l’Europa. Molti dei soggetti coinvolti […] leggono i miei studi e li usano. Vari studenti universitari e dei licei hanno fatto ricer- che su diversi aspetti di questo paesaggio.

2. Il libro BIBO [Breda 2010] costituisce una sublimazione per molti cittadini che sono stati vittime del processo di vio- lenza al territorio e che si riconoscono nelle mie parole, come mi hanno testimoniato. Vari hanno pianto riconoscendo in ciò che descrivo cosa sia successo a loro stessi e sentendo legittima- to per la prima volta questo dolore sociale […] Il mio lavoro è stato ripreso da varie scuole che hanno dedicato degli studi storici/ botanici/ biologici/ geologici/ artistici ai territori da me esplorati. Hanno fatto mostre e manifestazioni, hanno parte- cipato ai concorsi e segnalato i palù al FAI [Fondo Ambiente Italiano], per esempio. Ma la cosa più notevole è il gruppo di musicisti che ha tradotto il libro BIBO in uno spettacolo che stanno portando in tournée in vari paesi. Ne hanno scelto delle parti, ne fanno lettura, musica e recitazione. Il pubblico è sem- pre caloroso e le testimonianze a fine spettacolo sono significa- tive: la gente comprende, si interroga su cosa sia successo nella nostra Regione, sul valore dell’ambiente…. La vicenda che ho narrato è ripresa anche in altri due libri, da due narratori che la incorporano nei loro romanzi […] Più di una volta i colleghi hanno anche firmato appelli e preso posizioni. Abbiamo porta- to questa storia anche in musei francesi e svizzeri e raccolto le firme lì (comunicazione personale, luglio 2019).

Per Staid risulta addirittura sorprendente come i prodotti di una ricerca possano essere spontaneamente adottati dagli attivisti come strumenti di formazione e di lotta:

È imprescindibile la restituzione ai soggetti studiati, non capisco come possa essere giusto il contrario. Mi ha stupito molto come i miei due libri sul mondo delle migrazioni siano

stati usati negli anni non solo in università ma da collettivi, scuole di italiano per migranti e gruppi di discussione militan- te. Una cosa molto bella per il mio lavoro sul meticciato (Staid 2011) è stata la scoperta che parte del mio testo era diventato un manifesto collettivo per dei gruppi che si occupavano di antirazzismo. Altra cosa curiosa ma bella, a Berlino il giornale che esce in 12 lingue Daily resistance ha utilizzato le nostre tavole (Francesca Cogni e me) per illustrare le pagine del loro giornale di lotta per i diritti dei rifugiati. Oppure mi capita spesso quando presento Abitare illegale [Staid 2017] di trova- re persone e anche piccoli collettivi che mi dicono che dopo aver letto quel libro hanno cambiato il loro modo di abitare e hanno rivoluzionato la loro vita quotidiana nello spazio abita- tivo (comunicazione personale, giugno 2019).

2. La moltiplicazione degli stili e dei canali divulgativi Restituire fuori dall’università pone immediatamente la necessità di alterare in profondità i registri comunicativi per rendere comprensibili il senso e i risultati della ricer- ca a chi non è addentro ai tecnicismi formali, lessicali ed analitici praticati in università. Una delle questioni che si è posta quindi con insistenza agli etnografi militanti è come divulgare in un linguaggio accessibile analisi che sono spesso impostate secondo canoni accademici. Se questo è un pro- blema di qualsiasi esposizione pubblica dell’antropologia, la particolarità della restituzione per l’etnografo militante è che la rilevanza data alla implementazione politica del sapere rende la capacità di divulgare la ricerca in modo appetibi- le, una dote cruciale. Nel tentativo di diffondere i risultati dell’indagine, il ricercatore si trova a sperimentare molteplici e nuove tecniche narrative per tradurre – avendo ben presen- ti i pericoli che la semplificazione pone – ricerche complesse in messaggi tarati per un ampio pubblico. L’autore sceglie quindi di differenziare i registri, gli stili, la lunghezza delle rappresentazioni, cercando di generare o di collaborare nel generare testi caratterizzati da una complessità linguistica e

teorica compatibile con una divulgazione non specialistica. Herzfeld (2005) ragiona su come rendere accessibile una presenza antropologica schierata nel dibattito pubblico.

Dobbiamo provare a scrivere in vari modi senza abbandona- re la nostra devozione fondamentale allo studio rigoroso e acca- demico. Dobbiamo dimostrare il valore di quello che facciamo e che il contributo che un antropologo può dare al dibattito pub- blico è sempre una prospettiva alternativa a quella generalizzan- te, favorita da burocrati e da gestori della vita pubblica.

Per la maggior parte degli etnografi non si tratta di sce- gliere se produrre o meno un testo redatto secondo i canoni universitari, ma di affiancare agli scritti con un taglio acca- demico, altri stili di scrittura e registri narrativi più agili, digeribili, ammiccanti.

Rimanendo nell’ambito della restituzione attraverso le pubblicazioni divulgative, si può dare un breve assaggio delle possibili opzioni per esemplificare dinamiche ricor- renti. Sergi (2009a, 2009b) dopo anni di attivismo e ri- cerca presso le comunità zapatiste in lotta nel sud-ovest messicano cura una voce enciclopedica che da dignità scientifica ad una narrazione che mostra una evidente sin- tonia con il contesto attivista di cui si parla. I blog curati da antropologi permettono di divulgare in modo accessi- bile riflessioni che spesso hanno una sensibilità morale, ecologica o politica sugli eventi in corso1. Il taglio acca-

demico e militante caratterizza Interface: una rivista per

e sui movimenti sociali che rivendica un ruolo operativo:

“abbiamo riunito persone che fanno ricerca ed elaborano teorie sui movimenti per contribuire alla produzione di conoscenza che può aiutarci a imparare dalle rispettive lotte”2. In Italia la rivista Zapruder in ambito storico e il

1 Vedi ad esempio, Fuori tempo massimo. Un blog in ritardo di Piero Vere-

ni o La giusta distanza. Piccolo osservatorio etnografico sull’isolamento a cura di Antro Day Milano.

sito lavoroculturale.org hanno assunto un ruolo analogo, quello di offrire uno spazio aperto, approfondito ma non settario, per ricerche, anche etnografiche, politicamente schierate e allo stesso tempo comprensibili ed utili per il contesto studiato e per lettori generici.

Sulle finalità delle pubblicazioni, Staid è molto esplicito:

ho cercato di costruire ricerche profonde e con metodologie appropriate, ma non ho mai pubblicato o cercato di pubblicare con editori accademici; il mio primo interesse è farmi leggere anche e forse soprattutto da non antropologhe/antropologi, cercare di fomentare pensiero critico, fornire degli occhiali da vista per vedere meglio la realtà […] preferisco pubblicare sul

Tascabile della Treccani o sul Corriere della sera o su A rivista

dove ho una rubrica mensile o sul settimanale Left con il quale collaboro, come altre riviste online con un pubblico vario (co- municazione personale, giugno 2019).

Staid, come Sopranzetti, si cimenta in una graphic novel proprio nel tentativo di raggiungere lettori che rifuggono la complessità accademica (Staid e Cogni 2018; Sopran- zetti, Fabbri, Natalucci 2019). Abbandonate le strettoie della pubblicazione esclusivamente ‘scientifica’, si aprono spazi di manovra per pianificare un impatto rilevante nel tessuto sociale.

Ogni progetto di ricerca che porto avanti viene immagi- nato per tre pubblici distinti: uno prettamente accademico, uno di persone interessate nell’area di studio ma non ac- cademiche, e infine un pubblico più ampio e generale […] scrivo pezzi diversi con linguaggio e forme narrative diverse per ognuno di questi pubblici […] Onestamente penso che la mia scrittura accademica abbia avuto poca rilevanza per i movimenti che ho studiato ma molta più ne abbiano avuti i pezzi che scrivo regolarmente per giornali internazionali. Per esempio lo scorso anno una serie di articoli che ho scritto sul- la scomparsa di dissidenti Thailandesi in Laos sono stati usati da alcuni dissidenti, in particolare un gruppo punk Thailan- dese, per supportare le loro richieste di asilo politico (Claudio Sopranzetti, comunicazione personale, dicembre 2019).

Koensler, Loce-Mendes e Zappa (2018) presentano una

conversazione circolare e collaborativa tra la squadra del Peasant

Activism Project [un progetto universitario che vede coinvolti i pri-

mi due autori] e Andrea Zappa che rappresenta una rete italiana di piccoli produttori e trasformatori alimentari [Terra Terra]

L’oggetto della riflessione (Chi ha il diritto di certificare il cibo?) è ripreso da una delle campagne degli attivisti e lo scritto è organizzato a più voci, dandogli il taglio informale di una chiacchierata. Un’altra commistione tra voci acca- demiche e più prettamente politiche riguarda una pubbli- cazione sul primo sciopero auto-organizzato dai braccianti migranti contro il caporalato che affianca analisi di sociologi con interventi di militanti italiani e leader migranti (Nigro e altri 2012). La pubblicazione dialogica e collaborativa è un’espressione di una più ampia riflessione su quanto il cir- cuito attivista, normalmente considerato oggetto di indagine ricerca, possa e debba essere coinvolto come soggetto attivo.

3. L’ombra del tradimento

La tensione che l’etnografo sente al momento della divul- gazione della ricerca in un circuito politico con cui sente una affinità, più o meno pronunciata, è spesso legata al giudizio del contesto studiato sulla rappresentazione che viene resa pubblica, in forma orale (durante le discussioni pubbliche o in seminari), in forma scritta (in quotidiani o riviste), o in for- ma audio-visiva (se si è prodotto un documentario o filmati). Per il circuito che è stato oggetto di scrutinio e interlocutore dell’etnografo durante il periodo di ricerca, la restituzione è l’atteso frutto di una relazione che, a volte in modo pro- blematico, si è deciso di percorrere. Il contesto che viene rappresentato guarda con estrema attenzione la descrizione etnografica con l’aspettativa che ci sia un giovamento com- pensatorio dello sforzo profuso nell’accogliere il ricercatore

e della fiducia che gli è stata accordata. Ci si attende inoltre una trattazione rispettosa degli intimi segreti a cui gli o le è stato concesso l’accesso. I rapporti che si instaurano durante il periodo di ricerca possono essere vissuti da entrambe le parti come più o meno piacevoli e proficui ma sono comun- que intimi e privati; la restituzione, invece, nella sua forma divulgativa investe in maniera decisiva l’immagine pubblica del circuito oggetto di indagine.

La circolazione di rappresentazioni su un movimento, un gruppo, un’associazione diventa particolarmente delica- ta se è frutto di ricerca universitaria. Rispetto alle immagini dell’attivismo politico che circolano sui giornali, in rete o nel senso comune, in cui può trasparire un posizionamento partigiano ritenuto legittimo o perlomeno comprensibile, la certificazione scientifica della ricerca richiede e prevede una accresciuta autorevolezza e credibilità, una validità superiore della rappresentazione. La diffusione dei risultati della inda- gine, soprattutto in un contesto come quello odierno di po- tenziale propagazione rapida e capillare di parole o scritti o – come succede più spesso – della semplicistica messa in rete di alcune sue parti, in genere quelle più clamorose, possono rafforzare le rivendicazioni del gruppo, amplificandone la vi- sibilità e i contatti, evidenziare la fondatezza delle motivazio- ni della mobilitazione (Aime 2016) o, al contrario, minarne la credibilità, metterne in discussione la trasparenza, rivelare aspetti che il gruppo studiato aveva deciso di segretare (De

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