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La posizione della pelle nelle conoscenze anatomiche

L'analisi dei termini che H. Holma aveva riconosciuto come identificativi della pelle umana ha apportato due principali risultati. In primo luogo, dei quattro vocaboli individuati dallo studioso (mašku, b/pāru , gildu / giladu, qilpu), solo mašku (e, in attestazioni isolate, pāru) fa riferimento concreto alla pelle umana; in secondo luogo, questi termini tendono a designare la pelle umana come entità distinta dal corpo, come oggetto risultante da un processo di scorticazione.

Ad esclusione di un'unica menzione esplicita della pelle nella documentazione medica (Sakikkû XIV, 255'-256';cfr. supra, § I.1), l'insorgenza di alterazioni cutanee non viene ascritta alla pelle in quanto tale, ma alla parte anatomica di attestazione, alla persona in generale o al suo corpo (cfr. infra, § V.1.). Questa tendenza è presente anche nelle lingue moderne e nel nostro modo di esprimere simili sintomatologie, che vengono riferite non propriamente alla pelle, ma alla persona o al corpo in sé.229 Nei casi in cui le manifestazioni cutanee vengono riferite genericamente al corpo, i termini accadici impiegati nelle fonti risultano essere i seguenti: amilu (log. NA) “uomo, persona, essere umano”; zumru (log. SU) “corpo”; pagru (log. LÚ.BAD), “cadavere”, raro nei testi medici, ma comune in quelli divinatori e nelle maledizioni (cfr. infra, § II.3.).230 A discapito del suo significato primario, in diverse attestazioni pagru indica anche il corpo vivente, fino a identificarsi con l'Io della persona stessa.231 Come pagru, anche zumru risulta impiegato per indicare l'integrità della persona e la sua struttura complessiva; lo stesso vale per širu “carne, membra” che è attestato con un analogo valore metonimico.232

A un esame più approfondito, però, si può notare come le attestazioni di zumru facciano riferimento a una maggiore concretezza corporea: al suo impiego, frequente nei testi medici, vengono riferite sia esperienze fisiche che emozionali.233 Inoltre, zumru risulta talvolta contrapposto al termine libbu (log. ŠÀ) in contesti dove si intende distinguere, rispettivamente, il corpo esterno dal corpo interno (cfr. supra, § 229 Cfr. Connor 2004: 29.

230 Cfr. CAD P s.v. pagru, 12-17.

231 Steinert 2012a: 234-242. In questo l'accadico pagru si distingue dai vocaboli sumerici ai quali esso viene equiparato nei vocabolari bilingui e dalle liste lessicali. Il sum. ADDA designa sempre un cadavere, mentre il sum. SU designa la struttura totale del corpo; cfr. Couto-Ferreira 2009: 352. 232 Steinert 2012a: 251-254.

Introduzione, i).234

Come premesso a proposito del lessico della pelle (cfr. supra, § I.1), mašku e

zumru vengono indicati dallo stesso segno cuneiforme (MEA n. 7) che assume

rispettivamente i valori KUŠ e SU. Se zumru, come abbiamo appena notato, fa riferimento al corpo della persona, fino a identificarsi con quest'ultima, le attestazioni di

mašku con riferimento alla pelle umana sono rare: esse fanno riferimento allo stato di

salute (con riferimento alla spellatura della superficie cutanea) o a stati di paura. Nella maggior parte dei casi, mašku (come anche pāru) fa riferimento alla pelle umana in quanto concreto oggetto materiale, esito per lo più di scorticamento punitivo.

La differenza tra i due termini sembra risiedere, dunque, nella condizione della pelle stessa: se nel caso di zumru si presume che la pelle sia “viva”, parte integrante di un corpo completo, per quanto riguarda mašku il riferimento è alla pelle in quanto oggetto, una pelle “morta” staccata parzialmente o interamente dalla sua persona. Particolarmente suggestivo, in proposito, è il raffronto con le lingue classiche, che presentano proprio questa opposizione tra pelle nel senso di “organo”, facente parte dell'anatomia corporea e pelle in quanto “oggetto” distinto dal corpo, risultante da un'operazione di scorticamento. Per esempio, in greco abbiamo rispettivamente chros e

derma; in latino, cutis e pellis. In entrambi i casi, il secondo termine viene impiegato

per indicare la pelle animale lavorata, ovvero il cuoio.235 Anche mašku, analogamente ai casi delle lingue classiche, trova maggiore impiego nella documentazione legata alla produzione e al commercio di prodotti in cuoio. Lo scorticamento degli animali era alla base di questo processo artigianale e, probabilmente dopo l'osservazione del dolore straziante che simile prassi doveva comportare su animali vivi, venne adottato anche come forma di punizione di nemici di guerra.236

Il fatto che la scorticatura trovi origine in ambito animale porta a un secondo ordine di riflessione. Gli antichi hanno ricostruito la propria anatomia interna sulla base dell'osservazione di quella animale (cfr. supra, § Introduzione, i); sulla base dell'analisi lessicale qui condotta si può affermare che il medesimo procedimento analogico abbia riguardato anche la concezione della pelle, non essendoci distinzioni terminologiche 234 Steinert 2012a: 231, n. 2.

235 Connor 2004: 10-11; cfr. Pigeaud 2005: 23-27; Grondeux 2005: 113-115. 236 Jung 2007b: 54.

rilevanti per uomini e animali. La presenza di KUŠ / mašku nel lessico UGU.MU rappresenterebbe, pertanto, un esempio ulteriore dell'estensione di terminologia relativa all'anatomia animale a quella umana.

Alla luce di questa sostanziale identità doveva risulta pienamente logico che anche gli uomini potessero essere scuoiati – sia idealmente che concretamente – proprio come gli animali. La prassi (e la narrazione) dello scorticamento punitivo rappresenterebbe, quindi, un'ulteriore declinazione della riduzione del nemico allo stato bestiale, a sua volta ascrivibile al topos tipicamente mesopotamico della denigrazione dei rivali.237 Specie nei casi effettuati in Assiria, è verosimile che la pratica di questa tortura non fosse del tutto neutrale sul piano ideologico: la scorticazione del nemico implicava che quest'ultimo venisse considerato e trattato proprio come un animale. Nel complesso, la punizione veniva applicata non solo per la sua funzione politico-militare (nel dimostrare, al contempo, la propria forza e la debolezza dei nemici sconfitti) o per l'immediata sofferenza inflitta, ma anche per il fatto di violare l'integralità della persona separandolo dal rivestimento che gli conferiva naturale protezione, forma e identità. Il pensiero poteva andare anche alla mancata sepoltura: anche ammettendo che ci fosse stato modo di recuperare il cadavere del defunto, quest'ultimo sarebbe stato difficilmente riconoscibile.238

Possiamo dunque affermare che la pelle non fosse concepita come un organo in quanto tale, ma come una componente fondamentale per l'integralità del corpo (zumru); inoltre, la presenza concreta della pelle (mašku) veniva notata solamente quando essa veniva separata dal corpo. In questo senso, si configura anche il presunto tabù contro la violazione del corpo interno. Le interazioni con quest'ultimo, di fatto, erano previste dalle misure terapeutiche mesopotamiche: tubicini venivano inseriti nel dotto urinario maschile (cfr. infra, § VI.2); per facilitare la gravidanza e il parto si poteva intervenire 237 Cfr. Fales 1982; Zaccagnini 1982; Milano 2005; si veda Richardson 2007: 197 per le metafore della

macellazione animale.

238 Sull'importanza religiosa della sepoltura nell'immaginario religioso antico-mesopotamico, si veda Scurlock 1995: 1883-1887; sulla dispersione dei cadaveri dei nemici defunti, cfr. Richardson 2007: 199-200. Cfr. Alonso 2017: 49: “El oprobio infligido a los cadáveres incapacitaba a los muertos para el ejercicio de la vida en ultratumba, por lo que descuartizarlos significaba no solo privarlos de su vida terrena, sino también de la existencia en el más allá, lo que añadía terror al dolor futuro y al sufrimiento padecido en el presente. Un terror que afectaba no solo al caído, sino a la estructura social a la que pertenecía, tanto en su familia, por lo que significaba para los deudos el conocimiento de que el cuerpo había quedado insepulto, como para el poder político que había sido incapaz de asegurar un ritual cuya trascendencia compartían todos los súbditos de un estado sumido en una profunda teocracia”.

ungendo prima il canale del parto, poi inducendo la rottura delle acque con un bastoncino e impiegando strumenti di supporto;239 tamponi e supposte venivano introdotti negli orifizi naturali; misure basilari di chirurgia (come l'applicazione di punti di sutura) venivano effettuate per trattare ferite superficiali o lesioni cutanee.240 Tutte queste misure implicavano certamente un'interferenza col corpo interno, ma nel contesto di vie e aperture naturali; il trattamento delle eruzioni cutanee implicava incisioni delimitate e asportazioni circoscritte di superficie cutanea già danneggiata (cfr. infra, § VI.2.).

239 Per i casi ostetrico-ginecologici menzionati, si vedano rispettivamente Finkel 2000: 169 (testo 16), ll. 1-3; Scurlock 1991: 144-145; Scurlock – Andersen 2005: 263.

Capitolo II

Le credenze e la percezione sociale delle condizioni dermatologiche

241

I termini accadici coi quali è possibile tradurre il concetto di “pelle” risulta essere ristretto. Essi riflettono uno o più valori – “pelle” (di uomini e animali), “cuoio”, “buccia”, “pellicola, rivestimento” – che nelle lingue moderne vengono riassunti generalmente da un unico termine: il suo primo significato è riferito alla pelle umana, intesa come organo e rivestimento del corpo.242 Diversamente, nel lessico accadico analizzato questa valenza è attestata in misura minore; inoltre, anche qualora il riferimento alla pelle umana risulti evidente, i termini accadici identificano la cute non come una parte integrante del corpo, ma quale oggetto materiale, distinto dal corpo stesso. Esemplare è il caso della documentazione ufficiale neo-assira, dove le attestazioni identificano la pelle come oggetto risultante dallo scorticamento di esseri umani.

Alla povertà di termini riferibili alla pelle in quanto organo fa da contraltare un ricco insieme di nomenclature relativo alle lesioni e alle patologie cutanee (cfr. A.1.2.). Sebbene la maggior parte di queste derivi da fonti mediche e fisiognomiche, esse si possono riscontrare anche in altre tipologie di testi. Oltre alle voci lessicali in vocabolari monolingui e bilingui e liste di malattie riportate in incantesimi, si possono individuare menzioni di aspetti cutanei, per esempio, in testi letterari, giudico-economici e nell'epistolografia. L'ipotesi che i problemi cutanei fossero comuni nell'antica Mesopotamia deriva dalla considerazione delle particolari condizioni ambientali e di vita della regione: il clima arido, le esposizioni prolungate al sole e le prassi igienico- sanitarie costituivano verosimilmente i presupposti per la manifestazione di condizioni dermatologiche spiacevoli.243

241 Una sintesi parziale di questo capitolo è stata pubblicata in lingua inglese in Minen 2018.

242 Cfr. Treccani.it, Vocabolario on line, s.v. pèlle (www.treccani.it/vocabolario/pelle; ultimo accesso: 13-11-2017); Oxford Dictionary of English, s.v. skin (https://en.oxforddictionaries.com/ definition/ skin; ultimo accesso: 13-11-2017); Duden Online-Worterbuch, s . v . Haut (www.duden.de/ rechtschreibung

/ Haut; ultimo accesso: 13-11-2017); Dictionnaire de l'Académie française, s.v. peau (http://atil.atil.fr/academia9.htm; ultimo accesso: 13-11-2017); Diccionario de lengua española, s.v.

piel (http://dle.rae.es/?id=Sx8TogY; ultimo accesso: 13-11-2017). 243 Biggs 1995: 1916-1917.

Il nutrito gruppo di terminologia di interesse dermatologico, prescrizioni mediche di interesse cutaneo e menzioni esterne ai corpora medici non solo rinforza questa ipotesi, ma consente anche di valutarne l'aspetto storico-culturale e sociale. Dal ricco insieme di attestazioni si può evincere come le condizioni cutanee fossero complessivamente ritenute non solo un segno dell'ira divina, provocata da un peccato o una mancanza commessa da un individuo, ma anche un segno di sgradevolezza, sporcizia quotidiana e impurità rituale. Le problematiche arrecate da queste sintomatologie condizionavano il singolo nelle attività comuni, mentre i caratteri manifesti e sfiguranti delle lesioni ne condizionavano le relazioni sociali, fino alla completa emarginazione nei casi di possibile contagio. Simili osservazioni possono essere dedotte anche per le lesioni cutanee asintomatiche, che nei testi fisiognomici appaiono associate complessivamente a presagi negativi (cfr. § infra, III.1).

Nel corso di questo capitolo introdurremo le nozioni di lesione e malattia cutanea, a partire dall'analisi del segno GIG, per poi analizzare le credenze associate alle manifestazioni dermatologiche. Particolare attenzione sarà riservata ai casi chiaramente correlati a forme di emarginazione sociale, in particolare laʾbu/liʾbu, saḫaršubbû, epqu e garābu. Per concludere, verranno presentate le divinità ritenute responsabili di queste condizioni.

II.1. Premessa

Nel corso degli studi è stato riconosciuto che il termine più generico per indicare una lesione cutanea sia simmu (log. GIG). Esso viene frequentemente impiegato in testi di varia natura (letterari, legali, diplomatici, epistolografia) con riferimento alle manifestazioni dermatologiche evidenti, ma anche per designare una malattia in senso generale. Simmu, dunque, può ricoprire vari ambiti di interesse dermatologico: i dizionari propongono sia dei significati di base, come “ferita” o “malattia”, sia dei termini più specifici, come “ascesso” e “carbonchio”.244

L'indicazione di ferite è evidente specialmente nei contesti dove essa viene definita lazzu “persistente, incurabile” o ṣarrišu “crescente, proliferante”, ma anche in inni alla dea Gula o in clausole di maledizione come la seguente:245

461. dGu-la a-zu-gal-la-tú GAL-tú GIG ta-né-ḫu

[ina ŠÀ-bi-ku-nu]

462. si-mu la-zu ina zu-um-ri-ku-nu liš-k[un da-

mu u šar-ku]

463. ki-ma A.MEŠ ru-[un-ka]

643. ki-i LÚ.KUR-ku-nu ú-pa-ta-ḫu-ka-nu-ni 644. LÀL Ì.MEŠ zi-in-za-ru-ʾu MÚD GIŠ.ERIN

645. a-na šá-kan pi-it-ḫi-ku-nu li-iḫ-liq

461. Possa Gula, il grande medico, porre malattia e spossatezza [nei vostri cuori] 462. e una ferita incurabile sul vostro corpo. Possa immergervi (l. 463) [in sangue e pus] 463. come in acqua!

643. Qualora i vostri nemici vi feriscano, 644. possano non essere a (vostra) disposizione (l. 645) miele, olio, zenzero o resina di cedro 645. da applicare sulla vostra ferita!

(SAA II 6, 461-463, 643-645)246

A questo significato si possono affiancare allo stesso modo significati più generali o specifici. Da un lato, per esempio, simmu può designare genericamente una “malattia originaria”, la cui origine risale alla creazione del mondo e richiede una ricerca accanita di trattamenti efficaci.247 Dall'altro, il termine può anche assumere la valenza “incisione”, come nel caso delle attestazioni di simmu kabtu nel Codice di 244 CAD S s.v. simmu, 276-278; AHw II 1045b; cfr. Fincke 2011: 171.

245 Cfr. Durand 1988: 552-553; Böck 2014: 60; per la relazione tra la dea Gula e le condizioni cutanee, cfr. Böck 2014: 22-24.

246 Parpola – Watanabe 1988: 48, 57; traduzione italiana dell'autrice. 247 Geller 2006a: 3; cfr. anche Stol 1991-1992: 63.

Hammurabi (§§ 215- 218, cfr. infra, § VI.2).248

In definitiva, simmu rappresenta un vocabolo indicativo per un'insieme di manifestazioni cutanee comprendente sia lesioni che malattie; negli studi in lingua inglese, il termine viene ormai comunemente tradotto in modo più neutro tramite “sore”, essendo condivisa l'idea che ogni tentativo di offrire una traduzione più precisa possa essere fuorviante.249

L'ambiguità tra i valori di lesione cutanea e malattia vera e propria è particolarmente evidente nella tavola Sakikkû XXXIII, dove accanto a termini che indicano chiaramente delle malattie a manifestazione cutanea se ne profilano anche altri interpretabili su base contestuale come lesioni cutanee. In questo caso, l'incertezza di traduzione deriva dall'impiego del logogramma GIG in luogo di scritture sillabiche: il segno, in assenza di complementi fonetici, può essere interpretato sia come simmu che come murṣu. Quest'ultimo termine deriva dalla radice *mrṣ, comprendente tutto il campo semantico legato all'essere malato (per es., marāṣu, marṣu) e viene tradotto senza riserve come “malattia”.250 Il medesimo logogramma, dunque, identifica due termini che vanno ad indicare rispettivamente delle patologie “interne” e delle condizioni “esteriori” e superficiali. Per distinguere tra le due opzioni in base al contesto sono state suggerite alcune osservazioni: per esempio, viene indicata come preferibile la lettura di simmu nei casi in cui sia attestato il verbo a ṣ û “venir fuori, spuntare, protrudere”, oppure nei contesti in cui il segno GIG faccia chiaro riferimento a una specifica parte del corpo.251

L'espressione GIG GAR-šú in Sakikkû XXXIII è stata resa fin dall'inizio come

murṣu šikinšu “l'aspetto della sua malattia” sulla base di precedenti attestazioni.252 L'associazione tra murṣu e šiknu, infatti, era già nota nella locuzione šikin murṣi presente, per esempio, in Ludlul II, 110: ul ú-šá-pi a-ši-pu ši-kin mur-ṣi-ia, “il medico- esorcista non fu in grado di diagnosticare la mia malattia (lett. non fu in grado di dichiarare la natura della mia malattia)”.253 Altre occorrenze speculari, ma col logogramma GIG e complementi fonetici (šikin GIG-ia), si possono riscontrare in altri 248 A proposito del valore “incisione”, si è espresso recentemente Stol 2001; cfr. Mander 2005: 22-23. 249 Durand 1988: 552-553; Scurlock – Andersen 2005: 209; Geller 2010a: 63, 185, n. 75.

250 Cfr. CAD M s.v. murṣu, 224-227; AHw 676-677.

251 Cfr. rispettivamente Stol 1991-1992: 63 e CAD S s.v. simmu, 278.

252 La prima attestazione della linea si ha a partire da Finkel 1988: 143, dove però non viene fornita una traduzione; seguono invece questa direzione von Weiher 1993: 81-82 e Heeßel 2000: 364.

documenti neo-assiri.254

I n Sakikkû XXXIII la natura cutanea delle sintomatologie descritte è evidente, ma non sempre è possibile distinguere se una determinata nomenclatura sia da interpretare come una patologia vera e propria: in alcuni casi, infatti, i medesimi termini sono attestati in testi fisiognomici dove non viene espresso esplicitamente alcun carattere sintomatico. Per questi casi, alcuni studiosi ritengono che si possa trattare di termini non univoci, designanti al tempo stesso sia manifestazioni semplici che più complesse. Solo più di recente J.A. Scurlock e B. Böck hanno proposto anche per

Sakikkû XXXIII la traduzione più neutra “sore”.255

Le ambiguità terminologiche ci devono indurre a riflettere se in antico vi fosse un'effettiva distinzione concettuale tra lesione e malattia sul piano cutaneo, al pari di quella moderna. Sulla scorta di quanto già indicato dalle studiose, riteniamo che nel caso di Sakikkû XXXIII il segno GIG sia da interpretare come simmu. Con questa resa facciamo riferimento esplicito all'aspetto dermatologico indicato dall'insistenza nel testo sull'apparenza delle lesioni, siano esse semplici o sintomi di malattie dermatologiche o a manifestazione cutanea. La nostra convinzione è che questo capitolo del manuale diagnostico fosse mirato a riconoscere le diverse malattie e condizioni in base al loro aspetto; tale distinzione veniva operata sulla base delle caratteristiche che si potevano esaminare a partire dall'osservazione della pelle. Ponendo l'accento sull'aspetto esteriore delle lesioni che possono variamente manifestarsi sul corpo di un paziente si può trovare una logica più lineare anche per l'inclusione nella stessa tavoletta di patologie gastro- intestinali ed epatiche come buʾšānu, amurriqānu e aḫḫāzu, ma contrassegnate anch'esse da caratteri cutanei.256

In tal caso simmu può trovare una più agile traduzione come “lesione”, da intendersi quale manifestazione cutanea osservabile e della quale vengono notate l'aspetto e la sintomatologia associata, di tipo generale (presenza di febbre, perdita di peso) o soggettivo (prurito, bruciore, dolore). Di ciascuna condizione distinta viene successivamente fornito il nome, indifferentemente che si tratti di una lesione (con manifestazioni acute) o di una malattia.

Simmu risulta assurgere a categoria generale per ogni manifestazione cutanea nel

254 Si vedano, per es., SAA IV, 317 e SAA X, 319.

255 Scurlock – Andersen 2005 passim; Scurlock 2014 passim; Böck 2014: 56. 256 Cfr. Scurlock – Andersen 2005: 666-667.

lamento di un esorcista riportato nel seguente incantesimo:

29. [ÉN e-n]u-ma da-nu ir-ḫu-ú [KI-tim]

30. [DINGIR.(MEŠ)? GA]L?.MEŠ i-ši-mu ši-

mat ma-[a-ti]

31. [dgu-la? ša]r-ra-tum GAL-tum na-bu-ú [šu-

nu?]

32. [dgu-la] a-zu-gal-la-tú ma-na-na […]

33. [si-im-mu m]a-ʾa-du su-mi-su-nu [ul i-di]

34. [im-ta-na-a]q-qu-tú ˹ki˺-ma mi-iq-ti

35. [im-ta-na-ar-ri]-˹qu˺ [k]i-ma NIM.GÍR

36. [… k]i-ma la-a-mi

37. […] u a-ṣu-u ki-ma šam-mi

38. [… gir]-giš-šu a-mur-ri-qa-nu aḫ-ḫa-zu 39. [… -tu]m ki-is-sa-tú i-šá-tú

40. [… i]-du-ú lim-ḫur-˹ka˺

41. [ÉN ul ia-ut-tu-un] ÉN dé-a u dasal-lú-ḫi

29. [Incantesimo.] ˹Quando˺ Anu fecondò [la terra] e

30. [i grandi dei] stabilirono il destino per il [paese],

31. essi incaricarono [Gula], la grande regina,

32. [Gula], il grande medico … i tendini … 3 3 . Ci sono cosi tante lesioni – [Non ho saputo nemmeno (tutti)] i loro nomi!

34. [Ancora e ancora] esse cadono come un

fulmine,257

35. [Ancora e ancora esse] colpiscono come una saetta,

36. […] come braci.

37. […] e sono spuntate come una malerba: 38. […] girgiššu, amurriqānu, aḫḫāzu, 39. […] kissatu, išātu,

40. […] che io [non] conosco – possa lei portarve[le] via!

41. [L'incantesimo non è mio], (ma) è l'incantesimo di Ea e Asalluḫi.

(K. 6057+, ii 29-41)258

L'incantesimo ascrive l'origine delle malattie e delle lesioni all'alba dei tempi. Esse vengono descritte come discendenti dal cielo, con la violenza e la rapidità di fulmini e saette, e capaci di svilupparsi e moltiplicarsi sulla terra come erbacce. Segue un elenco di termini tecnici riferibili a condizioni di natura dermatologica. 257 M. Stol, seguendo le indicazioni del catalogo di C. Bezold (II 759), offre la seguente traduzione: “I do not know the names (šumu) of the numerous simmu's, I do not know the terms (nibu) of the numerous miqtu's” (cfr. Stol 1993: 11 e n. 62). Il termine nibu, tuttavia, non viene integrato nella più recente edizione di Böck 2014: 110. L'autrice traduce miqtu con “collapse” e birqu / NIM.GÍR con “lightning”. Il primo termine, oltre a indicare diverse patologie (e in tal senso è stato interpretato da Stol 1993: 11; cfr. infra, § III.4.1.21.), può significare anche “caduta” di corpi celesti e fulmini. In considerazione della menzione del fulmine nella riga successiva e degli usi stilistici nei testi letterari accadici (per i quali si impiegano due versi per esprimere lo stesso concetto), abbiamo proposto una diversa traduzione, in linea con quanto espresso nel verso successivo.

L'incantesimo insiste sulla molteplicità di lesioni e malattie e il lamento (alle ll. 33 e 40) risulta più che giustificato in considerazione dell'insieme dei termini tecnici di interesse dermatologico. Dallo spoglio dei dizionari e delle fonti si possono isolare oltre un centinaio di voci rilevanti: anche restringendo il focus ai soli testi medici e fisiognomici, raggruppando le varianti grafiche e tralasciando i termini derivati da letture errate o dubbie dei segni cuneiformi (e così rimasti nella letteratura secondaria), il numero complessivo rimane consistente (cfr. infra, § A.1.1). Una simile ricchezza lessicale per lesioni e patologie cutanee è impressionante, specie se raffrontata alla generalizzata assenza di terminologia per indicare la pelle umana di per sé.