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I.2. La pelle umana come oggetto materiale

I.2.1. La scorticatura punitiva

Informazioni sullo scorticamento dei nemici possono essere desunte sia da fonti scritte che figurative. Confrontando le menzioni riportate nelle iscrizioni reali risulta che questa forma di punizione fosse riservata generalmente a personalità eminenti, ma in alcuni casi ne viene indicata l'applicazione anche a soldati o alla popolazione comune.187 Essa poteva avvenire in situ, ma sono anche attestati passi in cui le vittime venivano catturate e deportate in Assiria. In tali casi, la punizione poteva aver luogo nella capitale, Ninive, o ad Arbela.188 La menzione di questo centro assiro deve essere legata al culto della dea Ištar di Arbela che ricoprì una parte importante nella sensibilità religiosa di Esarhaddon. Da un oracolo di questo sovrano è possibile evincere come la dea venisse dichiaratamente associata alla scorticatura del nemico:18'a-na-ku d1 5 ša URU.arba-ìl19'na-ka-ru-te-ka ú-ka-a-ṣa!, “Io sono (la dea) Ištar di Arbela, scuoierò i tuoi nemici e te li consegnerò” (SAA IX 1.1, 18'-19').189

Nelle fonti neo-assire lo scorticamento del nemico si configura come una delle forme più crudeli di punizione. Le iscrizioni reali ci testimoniano un vario repertorio di mutilazioni e di condanne a morte: da un lato, accecamento, mutilazione di arti, naso e lingua, o castrazione; tra le misure capitali si possono ricordare, per es., l'impalamento o la decapitazione.190

La scorticazione veniva effettuata su soggetti ancora vivi: nei casi di punizione

in situ, essa veniva condotta in campo aperto, affinché i nemici potessero assistervi dalle

187 Per es., nel “Cilindro Rassam” (V R 1-10) lo scorticamento non è riservato alle personalità eminenti, ma generalizzato nei confronti della gente comune. Per ulteriori informazioni sulle casistiche riportate dalle fonti, si veda il prospetto in Bagg 2016: 59 e Minen in preparazione.

188 Per Arbela, si veda per es. Assur-dan II 1 (= RIMA II A.0.98.1), 33-41:33[ina] qí-bit aš-˹šur˺ [bēliia

ana KUR].˹kat-mu˺-ḫi lu DU-ik URU.ša-ra-[...]34[ … ap-pul] ˹aq˺-qur i-na IZI.MEŠ áš-ru-up mku-

˹un˺-[di-ib-ḫa]-˹le˺-e 35[MAN KUR.kat-mu-ḫi i]-˹na˺ MURUB

4 É.GAL-šu qa-˹a˺-ti lu ˹ik˺-[šu-su] 36[…] ˹ZABAR˺.MEŠ AN.NA.MEŠ ˹NA

4 KUR˺-e šu-˹qu˺-[ru]37[…] x.MEŠ-šu šal-la-su ˹DUGUD˺-

ta a-na ˹URU˺-[ia]38[aš-šur ub-la ...]-˹sil˺-la LÚ da-˹gil˺ pa-ni ša ra-ma-˹ni˺-[ia]39[ina kussî bēlūtišu

ušēšib?m] ku-un-di-˹ib˺-[ḫa]-˹le˺-e MAN KUR.kat-mu-ḫi 40[a-na KUR aš-šur ub-la i-na] arba-ìl lu ˹a-

ku˺-[uṣ] KUŠ-šu 41[BÀD ša URU.x]-x-na-áš ˹ú˺-ḫa-al-lip, “Per ordine di Assur, [mio signore],

marciai [contro il paese di Ka]tmuḫu. [Distrussi], saccheggiai [e] bruciai la città Šara[...]. Catturai Ku[ndibḫal]ê, [sovrano del paese di Katmuḫu], all'interno del suo palazzo. […] bronzo, rame, gemme preziose della montagna, […], il suo bottino pregiato [io portai] alla [mia] città, [Assur. Sul trono insediai ...s]illa, un uomo a me fedele. (Quanto a) Kundi[bḫal]ê, re del paese di Katmuḫu, [lo portai in Assiria (e) nella città] di Arbela (lo) scuoiai (e) appesi la sua pelle su[lle mura della città di ...]naš”; Grayson 1991: 133-134; traduzione italiana dell'autrice.

189 Luckenbill 1927: 239; IV R, tav. 61; Parpola 1997: 4; traduzione italiana dell'autrice.

190 Cfr. Minunno 2008: 76-80; Dolce 2016; Dolce 2018. Per più recenti studi sulla storia della violenza nella Mesopotamia antica si vedano Alonso 2017: 56-69, Girotto 2014: 183-201, Bagg 2016.

loro città assediate, ma a una distanza tale da non essere interrotta dall'azione degli arcieri. In tal modo, l'esercito assiro dimostrava l'impotenza dei nemici e la loro incapacità di salvare i propri uomini. Verosimilmente, le vittime venivano tenute prigioniere per alcuni giorni e lasciati a digiuno: la conseguente disitratazione dei tessuti avrebbe reso la scorticazione più agevole.191 Il procedimento prevedeva che le vittime venissero legate agli arti superiori e inferiori, in modo da far loro assumere la forma della croce di Sant'Antonio. In seguito, l'operazione iniziava incidendo le caviglie e, quindi, strappando la pelle, dal basso verso l'alto: tale accorgimento aveva il fine aumentare l'intensità del dolore. Le incisioni venivano effettuate su entrambe le gambe, fino al busto, in modo tale da ottenere un segmento di pelle in forma di Y. Ulteriori incisioni potevano essere effettuate sui polsi per procedere alla scorticazione degli arti superiori, al fine di ampliare la sezione di pelle strappata in precedenza. In alternativa, sempre per incrementare la sofferenza delle vittime, la tortura poteva prevedere lo scuoiamento di diverse strisce di pelle.192

La scorticazione richiedeva abilità avanzate, precisione, freddezza: pertanto, essa doveva essere eseguita da figure specializzate, e non dai sovrani, sebbene nelle iscrizioni reali neo-assire le scene di scuoiamento siano espresse alla 1a persona singolare.193 Il sovrano, tuttavia, poteva esserne lo spettatore d'onore: le vittime, legate a terra, assumevano una posizione di umiliazione e prostrazione di fronte al re vittorioso.194

È stato proposto che l'atto dello scorticamento umano potesse durare fino a un'ora, a seconda della porzione di pelle interessata: durante l'esecuzione della pena, il torturato doveva essere soggetto a una continua sequenza di perdita e ripresa dei sensi a causa degli intensi dolori provati. Il decesso non era immediato: questo poteva verificarsi per shock, perdita di sangue o altri fluidi, ipotermia o infezioni contratte nelle

191 L'autrice ringrazia F. De Backer per queste osservazioni.

192 De Backer 2009: 34. Il procedimento è testimoniato anche da evidenze archeologiche, come per esempio un frammento osseo da Ashdod che presenta tracce di scarificazione, cfr. De Backer 2013: 301.

193 Ibid.; Fuchs 2009: 88, n. 63: «Es hat sicherlich praktische Grunde, dass im Relief der Herrscher beim Vorgang des Schindens allerhöchstens als Zuschauer, jedoch nie selbst als unmittelbar Mitwirkender zu sehen ist ..., denn einem Menschen fachgerecht an einem Stuck die Haut abzuziehen, erfordert wohl doch ein hohes Maß an handwerklichem Geschick, das bei einem König nicht so ohne Weiteres vorausgesetzt werden kann – die wenigsten Könige absolvieren schließlich eine Kurschnerlehre». Cfr.

infra, in nota.

ore o nei giorni successivi al supplizio. Si tratta, quindi, di una pena di morte protratta nel tempo: non solo si doveva sopportarne l'inflizione prolungata, ma anche convivere con la consapevolezza di essere stato privato della propria forma umana.195 È possibile affermare, quindi, che lo scorticamento da vivi si ponga come via intermedia tra la mutilazione e la pena di morte: se le consuete forme di mutilazione alteravano l'aspetto e la dignità della persona, con la rimozione della pelle non si privava solamente una persona del proprio Io, ma anche della propria forma e apparenza umana, sancendo la morte della sua individualità prima ancora di quella del suo corpo.196

Alle fonti scritte si affiancano tre rappresentazioni figurative in basso-rilievo che sembrano fare esplicita mostra della prassi dello scorticamento.197 Ciascuna di esse è ascritta a periodi e sovrani diversi e si caratterizza per i tratti unici nella raffigurazione della pena:

1. in un dettaglio di una lastra del palazzo di Sargon II a Khorsabad (Stanza VIII, nn. 24-25) andata perduta, ma conservata in un disegno di M.E. Flandin (Fig. 1), si può vedere un guerriero assiro in piedi. Egli è intento a incidere la pelle del braccio sinistro della vittima (Ilu-biʾdi, re di Hamath; cfr. infra, § I.2.2.) sostenuta per il bacino, mantenuta a mezz'aria e con la mano destra e piedi legati.198 L'azione sul braccio potrebbe indicare che la vittima sia già stata sottoposta alla scorticatura degli arti inferiori. Per quanto è possibile notare dalla riproduzione, i tratti somatici della vittima, calva, appaiono deformati, specialmente nel viso. Ciononostante, non deve darsi il caso di scuoiamento, in quanto l'applicazione su questa parte del corpo sarebbe stata controproducente: l'area è molto ridotta, mentre la sua vascolarizzazione capillare avrebbe provocato un sanguinamento eccessivo;199

2. nella rappresentazione dell'assedio di Lachish di Sennacherib, proveniente dal palazzo di Sud-Ovest (Stanza XXXVI, pannelli 9-10; BM 124908-124909; Fig. 2) si possono vedere due prigionieri, verosimilmente con le mani legate a due

195 Jacobs 2009: 140; Jung 2007c: 69. 196 Jung 2007c: 70.

197 In questa sede escludiamo una quarta possibile raffigurazione in un frammento di lastra conservato al Wellesley College esaminato in Albenda 1970.

198 Botta – Flandin 1849, tav. 120; Thureau-Dangin 1933: 56; Reiner 2006: 328; Albenda 1970: 147. 199 L'autrice deve questa osservazione a F. De Backer.

perni distanziati. Ciascuno di essi è afferrato da due soldati assiri: è possibile distinguere la sola incisione attuata dal soldato raffigurato in primo piano. Il ruolo del secondo guerriero è dubbio: o è di semplice supporto nel tenere a bada le reazioni della vittima (se ancora viva), oppure è intento anch'esso ad infliggere il supplizio sull'altra gamba per velocizzare il processo e/o amplificarne il dolore. Questa rappresentazione propone, verosimilmente, lo stadio iniziale del supplizio;200

3. in un dettaglio della rappresentazione della battaglia sul fiume Ulai di Assurbanipal, sempre dal palazzo di Sud-Ovest (Stanza XXXIII, pannelli 4-6, BM 124802.a; Fig. 3) possiamo distinguere due prigionieri proni a terra, con mani e piedi legati con delle corde a dei paletti distanziati. I due personaggi sono ritratti in pose diverse: quello più in alto giace completamente prono al suolo; quello più in basso, invece, con un braccio alzato e il torace in torsione, sembra ritratto in un disperato tentativo di reagire al supplizio inferto. Essendo le vittime legate saldamente, è sufficiente un unico soldato per entrambe. I due guerrieri vengono raffigurati chini sul corpo dei nemici, intenti a inciderne la zona lombare: verosimilmente, la scena rappresenta l'azione in corso, iniziata a partire dagli arti inferiori.201

Da queste raffigurazioni è possibile distinguere varie tipologie e modalità diverse di somministrazione del supplizio. Lo scorticamento poteva riguardare zone più o meno estese del corpo, oppure il corpo stesso in tutta la sua estensione. Le vittime potevano essere legate a una sola mano, a entrambe e, eventualmente, anche ai piedi: l'accorgimento doveva variare a seconda dei mezzi a disposizione, ma doveva anche essere determinato dallo stato (vivo o morto) del prigioniero. Sulla base delle tre rappresentazioni a disposizione si può notare come solo nell'ultimo caso vi sia una vittima cosciente, raffigurata in un evidente tentativo di divincolarsi dalla punizione. Tuttavia, lo scorticamento punitivo aveva senso solo se effettuato su persone vive.202 200 Cfr. Barnett – Lorenzini 1975 (Tav. 81); Barnett – Bleibtreu – Turner 1998 (tavv. 329-339);

Ussishkin 1982: 77, 85, 87; Reade 1983: 50; Albenda 1970: 148-149.

201 Cfr. Layard 1853b: 451-458; Layard 1853a, tav. 47; Reade 1983: 61-65, figg. 95, 97-98; Albenda 1970: 149; Barnett – Bleibtreu – Turner 1998 (tavv. 301-302). F. De Backer suggerisce che il soldato sul livello superiore rappresenti una figura ausiliaria nell'esecuzione di supplizi, distinta da un copricapo caratteristico.

L'intervento di un secondo assiro nel processo non risulta dirimente: esso poteva essere dettato dal bisogno di assicurare la presa sulla vittima o di aumentarne l'intensità del dolore, ma poteva essere anche determinato dalla volontà di velocizzare il processo per ottenere la pelle come trofeo da esibire. Infine, una menzione dalle iscrizioni di Assurbanipal fa cenno a un tavolo apposito per scorticare (o macellare), GIŠmakāṣu.203

Il verbo che designa comunemente l'atto dello scorticamento è kaṣu. Esso è attestato principalmente in riferimento agli animali (in sede di macellazione per attività commerciale o sacrifici), ma in età neo-assira viene associato anche allo scorticamento punitivo.204 Nelle fonti la spellatura viene riferita alla pelle dei nemici oppure, in alternativa, al nemico stesso nominatim.205

Un altro verbo accadico col quale viene espressa l'azione dello scorticamento è

šaḫāṭu. Il suo primo significato è “togliersi un abito, un copricapo” (in proposito, cfr. infra, § II.3.). L'uso del verbo per la spellatura è impiegato, in primo luogo, con

riferimento agli animali, ma nelle iscrizioni di Assurbanipal diventa frequente per descrivere la punizione dei nemici. Nelle iscrizioni del sovrano, in particolare, si può notare come la scuoiatura rappresenti un elemento di una catena di atti volti a infierire sul corpo dei nemici e, anche dopo la loro morte, vilipenderne il cadavere.206

d i URU.ṣa-aʾ-nu ša ib-bal-ki-tú it-ti mtar-qu- u iš-ku-nu pi-i-šú-un URU.MEŠ šá-a-tu-nu ak-šu-ud

UN.MEŠ a-šib lìb-bi-šú-nu a-ni-ir ina GIŠ.TUKUL.MEŠ ADDA.MES-su-nu ina GIŠ.ga-ši-ši a-lul KUŠ.MEŠ-šú-nu áš-ḫu-uṭ BÀD URU ú-ḫal-líp) non è da intendere letteralmente come cadavere, ma come una designazione metaforica del corpo (cfr. infra, § I.3).

203 Prisma C vii 89; Luckenbill 1927: 335; Borger 1996: 108; cfr. PNA/1 s.v. Dunānu, 388a; Richardson 2007: 197.

204 CAD K s.v. kaṣu, 270-271.

205 Per il primo caso si vedano, per es., per es., Šamšī-Adad V 2 (= RIMA III A.0.103.2) iv, 5'-10':5'ina

˹GABA˺ ERIM.ḪI.A-ia ˹it˺-ba-a mdx-[x-x]6'a-˹di˺ ERIM.MEŠ EN-ḫi-ṭí ša ˹it-ti-šú˺ 7'˹bal-ṭú˺-su-nu

ina ŠU ú-ṣa-bit ina URU.NINA 8'URU tuk-˹la-te˺-ia ina x-ia ina x-ia lu ˹ar?˺-[x-x] 9'bal-ṭu-˹su-nu˺ x x

[x] x [x] ˹ú?-bal?˺-[x]10'˹KUŠ?˺.MEŠ-šú-˹nu˺ a-˹ku-uṣ˺ x [x] x ˹lu˺ x [x], “Egli (=Marduk-balāṭsu-iqbi)

attaccò per dichiarare guerra [e] conflitto contro le mie truppe. Io (lo) catturai vivo, insieme alle truppe criminali che lo accompagnavano. A Ninive, la mia fedele città, io li […], vivi io li […], (e) strappai la loro pelle … ”; Grayson 1996: 191; Sennacherib 17 (= RINAP III), iv 82-86:82 mki-ru-a

LÚ.EN.URU a-di šal-lat URU.MEŠ-š ú83ù UN.MEŠ URU.ḫi-lak-ki ša i-da-a-šú84is-ḫu-ru a-di

ANŠE.MEŠ GU4.MEŠ ù ṣe-e-ni85a-na URU.ni-na-a a-di maḫ-ri-ia ub-lu-ni86šamki-ru-a ma-šak-šú

a-ku-uṣ, “Essi portarono Kirūa, il sovrano della città, insieme al bottino dalle sue città e agli abitanti di

Ḫilakku che si erano alleati con lui; (essi portarono) inoltre asini, buoi, pecore e capre a Ninive, alla mia presenza. Io (=Sennacherib) scuoiai Kirūa (vivo)”; Grayson – Novotny 2012: 136; traduzioni italiane dell'autrice.