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Le credenze sulle condizioni dermatologiche

Le malattie cutanee, alla luce della loro aperta visibilità, dovevano condizionare i rapporti interpersonali di chi ne era affetto: quest'ultimo, oltre a patire le involontarie reazioni di disgusto e i comprensibili timori di contagio del prossimo, subiva anche il peso di credenze religiose o pregiudizi condivisi dalla comunità, a partire dai concetti di purezza e di colpa.

Le fonti cuneiformi non ci hanno trasmesso una teorizzazione sul concetto di purezza condiviso nell'antica Mesopotamia e non siamo pertanto in grado di codificarne la concezione.259 Tuttavia, questa idea risulta onnipresente nella documentazione rituale, religiosa, ma anche giuridica, specialmente con riferimento all'azione concreta della purificazione.260 I termini sumerici e accadici sono indicativi dello stato di purezza e, per estensione, anche della brillantezza e della lucentezza di metalli e altri materiali.261 Il sumerico KUG / KÙ “puro, sacro”, per esempio, rappresenta un elemento base nell'identificazione dell'oro (KUG.SIG17, lett. “metallo giallo”) e dell'argento (KÙ.BABBAR, lett. “metallo bianco”); analogamente, il suo corrispondente accadico,

ellu “pulito, puro, sacro” (sum. KÙ, SIKIL), designa materiali preziosi di alta qualità e

259 Diverso è il caso dell'Antico Testamento e delle religioni abramitiche in generale, cfr. Haber 2008; Blidstein 2015.

260 Guichard – Marti 2013: 47-48.

261 Analisi approfondite sul lessico della purezza sono offerte in Sallaberger 2006: 195 e Feder 2014: 95- 99.

la radiosità del cielo.262 Esso è indicativo, in primo luogo, della pulizia, intesa come assenza di sporco, e solo secondariamente di sacralità.263 Tra i suoi significati, ellu fa riferimento anche a uno stato di ritrovata libertà da vincoli di schiavitù, e quindi a una condizione di libertà.264

Ebbu “lucido, lucente, pulito, puro, sacro” (sum. DADAG, scritto UD.UD),

descrive le qualità di metalli, legno e pietre preziose.265 Il verbo ad esso correlato,

ebēbu, designa il ritorno allo stato di pulizia dopo una transitoria impurità rituale, anche

in riferimento a malattie (cfr. infra, § III.3), e a un'assenza di colpa e obblighi legali, mentre la sua forma D ubbubu descrive atti di pulizia concreta, per esempio, il lavaggio dell'abbigliamento.266

Un ulteriore termine significativo è l'aggettivo zakû “pulito, puro”, ma anche “limpido, chiaro” in riferimento a liquidi (come acqua e birra) e al cielo; come ellu, esso può indicare la purezza dei metalli e l'assenza di vincoli per merci o persone, con particolare riferimento agli schiavi manomessi.267 Il verbo correlato, omografo, analogamente indica “l'essere /diventare pulito o libero”; la sua forma D zukkû, l'atto di pulire da impurità, lavare, ma anche liberare, in riferimento a uomini e animali.268

Qašdu, infine, designa la santità delle divinità, dei templi e delle offerte; il

femminile, qadištu, la “donna sacra”, è identificativo di un ordine di sacerdotesse che svolgevano attività ostetriche, con presumibile specializzazione nei rituali magici utili ad assistere le partorienti.269

K . Van der Toorn ha posto la questione della purezza sul piano della gradevolezza estetica e della pulizia, in termini di piacevolezza e dell'adeguatezza di una persona nel suo stare a contatto con le persone e le divinità.270 Da questa premessa è possibile analizzare il tema della purezza in due prospettive: da un lato, la pulizia e l'igiene quotidiana, richiesti da norme morali ed etiche per una vita serena nella comunità; dall'altro, la purificazione cultuale e la purezza religiosa, requisiti necessari nel momento in cui ci si doveva relazionare con le divinità e il divino. In generale, la 262 Cfr. CAD E s.v. ellu, 102-106.

263 Van der Toorn 1985: 27. 264 Sallaberger 2006: 295. 265 Cfr. CAD E s.v. ebbu, 1-4.

266 Cfr. CAD E s.v. ebēbu, 4-8; Van der Toorn 1985: 28; Feder 2014: 96. 267 CAD Z s.v. zakû (agg.), 23-25. Cfr. Sallaberger 2006: 195.

268 CAD Z s.v. zakû (v.), 25-32; Feder 2014: 97.

269 CAD Q s.v. qašdu, 146-147; Scurlock 1991: 142; più recentemente, Stol 2016b: 608-615. 270 Van der Toorn 1989: 343-345.

distinzione dei due piani riferibili alla purezza implica anche quella tra sporcizia quotidiana e impurità rituale: ciò che veniva percepito come sporco e sgradevole, benché indesiderato, non era considerato necessariamente come impuro sul piano religioso e cultuale.271

La nozione della purezza, nella sua duplice interpretazione, concerne anche aspetti di interesse dermatologico. L'impeccabilità e l'assenza di difetti cutanei rappresentano un presupposto necessario, ma non sufficiente, per la purezza rituale. Sul piano dermatologico, questa premessa comporta un'importante distinzione: se, da un lato, ad alcune malattie cutanee viene associata impurità rituale (vedi infra, § II.3), le lesioni cutanee semplici risultano essere segni dello sporco quotidiano. W. Sallaberger, a questo proposito, menziona tre termini interpretabili come lesioni cutanee, di particolare interesse perché derivanti dalle medesime radici verbali indicanti uno stato di sporcizia: urāšu, uršu e lūtu (luʾtu).272

Il primo vocabolo è attestato solamente in fonti fisiognomiche: fu F.R. Kraus a identificare nella lettura IB / URAŠ il termine urāšu, noto in grafia sillabica da altre fonti.273 Alla luce delle occorrenze prevalentemente fisiognomiche, è possibile che il termine sia indicativo di un'anomalia cutanea, come una cicatrice profonda e impura o una macchia.274 Della sezione di Alamdimmû dedicata ad urāšu ci rimangono solamente 10 righe ; complessivamente, all'insorgere di una lesione urāšu viene ascritto un valore sfavorevole (Šumma urāšu, 1-10, cfr. infra, § III.1. ix).275

La lesione uršu è registrata soltanto in alcune istruzioni terapeutiche legate a patologie ano-rettali. La traduzione proposta da W. von Soden (“Schmutzfleck, dunkler Pickel”) rimane più aderente al valore etimologico della radice *wrš “(essere) sporco”. Negli studi più recenti sui testi medici per problemi rettali, tuttavia, il significato generalmente accolto è quello di “emorroidi” (cfr. § VI.2.).276 Nell'uso del termine si 271 Sallaberger 2006: 295-296; Guichard – Marti 2013: 48. Nei medesimi passi, gli autori concordano sul fatto che la purezza nell'antica Mesopotamia avesse in primo luogo una valenza cultuale-religiosa, morale e giuridica, ma presentano opinioni divergenti sull'eventualità che essa potesse riguardare la comunità intera (Guichard – Marti 2013) o non far parte della vita quotidiana (Sallaberger).

272 Sallaberger 2006: 295-296.

273 Come sottolineato in Böck 2000: 203, n. 674, la lettura di IB rimane dubbia, essendo già stato proposto dallo stesso Kraus che possa trattarsi di una pietra.

274 CAD U s.v. urāšu A, 210a (“a dermal patch or abnormality); AHw III 1428a s.v. urāšu II. 2 (“eine tiefe, unreine Narbe”); Böck 2000: 29 e 203 (“unreine Narbe”); Scurlock – Andersen 2005: 241 si limitano a riportare i riferimenti precedenti.

275 Böck 2000: 202-203.

può riconoscere un'associazione tra ano e sporcizia.

Il significato del terzo vocabolo, luʾtu (lūtu), e la sua interpretazione in quanto lesione cutanea risultano più incerti rispetto a quelli dei termini precedenti. La possibile derivazione da luʾû “violare, dissacrare, sporcare” porterebbe a ipotizzare, anche in questo caso, un legame con lo sporco. Tuttavia, i significati proposti dai dizionari fanno riferimento a stati quali la mollezza, la debolezza, la decomposizione o la putrefazione, da intendere come malattia:277DIŠ U4 u G[I]6 NAM.ÉRIM DIB-su : lu-ʾa-ti DIB-su, “Se [soffre per da … ] giorno e notte, lo affligge una maledizione; var., lo affligge lo sporco” (Sakikkû XXII, 24).278

La purezza costituiva uno stato necessario sia per avvicinarsi alla sacralità dei templi sia per comunicare con le divinità: essa poteva essere raggiunta tramite atti purificanti, come il lavarsi le mani o i rituali che prevedevano il lavaggio della bocca tramite acqua (miš pi), ma ancor di più doveva essere presente nel corpo dei singoli esponenti religiosi.279 Gli aspiranti sacerdoti e divinatori, per essere ammessi nei rispettivi ordini, oltre che vantare un buon lignaggio, dovevano disporre anche di un corpo perfetto, privo di malformazioni, imperfezioni, nonché uno stato di buona salute: tra questi, alcuni testi babilonesi di I millennio menzionano l'assenza di arti irregolari, viso asimmetrico, denti rotti, dita mutilate, ma anche problemi oculistici, renali o cutanei, come la malattia saḫaršubbû (cfr. infra, § II.3.) o altri segni cutanei (cicatrici da scottatura qalû, marchi di servitù šimtu, cfr. infra, § III.3., vii).280 I candidati venivano

Andersen 2005: 230. 277 Cfr. CAD L s.v. 256b-257a.

278 Cfr. Labat 1951: 182 (“faiblesse”); Heeßel 2000: 259 (“Beschmutzung”); Scurlock 2014: 189 (“dirty substances”); traduzione italiana dell'autrice.

279 Sallaberger – Huber Vulliet 2005: 620-621; Van der Toorn 1989: 345-346.

280 Un testo bilingue sumero-accadico di fine II millennio con probabile origine a Nippur, ma attestatoci da una copia neo-assira, specifica che chi aspirava ad essere ordinato sacerdote nešakku o pašišu nel tempio di Enlil e Ninlil a Nippur doveva avere “un corpo puro come una statua dorata degli dei” (cfr. Scheyhing 1998: 74). Inoltre, viene specificato quanto segu:39[x] x LÁ? [x] IZI TA?40 [x] š/ze?-es qa-

le-e [x] IZI T[A? … ]41[še-gín? D]U? SIG

7-ALAM nu-si-sá lú-bi/ra ŠU [xxx]42[ša]k-na šim-ta bu-un-

na-an-nu-ú/né-e la i-šá-ru-tú LÚ x [xx]43[èš-dEn]-líl-dNin-líl-lá-šè nu-ku

4-ku4 níg-gig-é-a-[kam?] 44ana ÉdMIN u dMIN ul ir-ru-ub ik-kib B[IT]?, “39-40chi è affetto da una cicatrice41-42da un viso

irregolare, quest'uomo […]43-44egli non può entrare nel tempio di Enlil e Ninlil, a lui è interdetto

(l'accesso) al tempio”; cfr. Borger 1973: 163b, 165, i 39-43; Scheyhing 1998: 44. Römer 1987: 173, n. 41a, in una sua più recente traduzione, ipotizza che non si tratti di una cicatrice, bensì di un marchio di proprietà. Analogamente, il testo Enmeduranki (conservato da esemplari neo-assiri) specifica che i candidati alla bārûtu dovevano provenire da buone famiglie di Nippur, Sippar o Babilonia e non dovevano avere imperfezioni fisiche. Non poteva accedere a quest'officio e alle aree ad esso dedicate:

30mar ḪAL šá za-ru-šú la SIKIL ù šu-u ina gat-ti u ŠID.MEŠ-šú 31la šuk-lu-lu zaq-tu IGIII.MEŠ ḫe-

s í r ZÚ.MEŠ32nak-pi ŠU.SI ŠIR DIR.KUR.RA ma-le-e SAḪAR.ŠUB.BA-e, “30Il divinatore di

rasati e sottoposti a un esame fisico al fine di accertarne la perfezione (e pertanto, la purezza) fisica, intesa come assenza di malformazioni e lesioni cutanee. Testi tardo- babilonesi da Ur attestano la corresponsione di prebende per queste due attività di controllo, rispettivamente indicate come gallabûtu e ša-bānûtu (cfr. infra, II.3.).281

Nella concezione mesopotamica la malattia poteva essere contratta a seguito di un'interazione, più o meno violenta, tra il paziente e un agente esterno.282 Tale evento era ritenuto un segno evidente dello squilibrio raggiunto nel rapporto tra l'individuo e la sua divinità personale: una mancanza rituale nei confronti del dio stesso, un peccato o una colpa grave nei confronti della comunità potevano indurre il nume tutelare a privare l'individuo della propria protezione dagli agenti negativi attivi nel mondo esterno (cfr.

supra, § Introduzione, i). La colpa, che rappresentava una forma di impurità, era

ritenuta alla base dell'insorgere di una malattia, ma viene registrata in Sakikkû solamente in rari casi.283 Alcune malattie vengono attribuite ad alcuni atti commessi nella sfera religiosa e sessuale: tra questi, vengono menzionati peccati (XXII, 28), empietà (IV 29) e atti sacrileghi generici (X, 28), ma anche un voto non mantenuto (XL, 20), incesto (XII, 125''), adulterio (IV, 116-117; VI, 16; XIII, 37; XVII, 41-42; XVIII, 15-16) e relazioni con sacerdotesse del proprio dio tutelare (XIII: 23-24).284 Una sezione particolare associa una colpa anche alla manifestazione di lesioni cutanee:

100. [DIŠ TA SAG.D]U-šú EN GÌRII-šú

U4.BU.BU.UL SA5 DIRI u SU-šú BABBAR KI

MUNUS ina KI.NÁ KUR ŠU d30

101. [DIŠ TA SAG.D]U-šú EN GÌRII-šú

U4.BU.BU.UL SA5 DIRI u SU-šú GI6 KI.MIN

KI.MIN

100. “[Se dalla] sua ˹testa˺ ai suoi piedi, egli è pieno di bubuʾtu rosse e la sua pelle / il suo corpo è bianco, è stato “colto” a letto con una donna; mano di Sîn.

101. [Se dalla] sua ˹testa˺ ai suoi piedi, egli è pieno di bubuʾtu rosse e la sua pelle / il suo corpo è scuro, idem (= è stato “colto” a letto con una donna), idem (= mano di Sîn).

dito amputato, un testicolo 'rotto', affetto da saḫaršubbû”; cfr. Lambert 1967a, Lambert 1998: 142- 144, 149; Waerzeggers 2008: 4-5.

281 Cfr. UET IV 57, 58; Joannès 1995:17-18; Jursa 2005: 1133-134 e n. 1033; Waerzeggers 2008: 21-22. 282 Il contatto è esplicitamente indicato sia dall'espressione qāt / ŠU … “mano di ...”, ma anche da verbi

come lapātu (log. TAG) “toccare”, maḫāsu “colpire”, ṣabātu “prendere”. Cfr. Labat 1951: xxi-xxii; Salin 2015; Heeßel 2000: 55; Van der Toorn 1985: 68 ipotizza che l'insorgere di una malattia fosse concepito in termini analoghi alle ferite di guerra – esito di un'azione umana – ma ascritto a agenti sovrannaturali.

283 Per le colpe indicate nella serie Sakikkû, si veda Heeßel 2000: 79-81. 284 Cfr. Prioreschi 1995: 421-424.

102. [DIŠ T]A SAG.DU-šú EN GÌRII-š[ú]

U4.BU.BU.UL DIRI u SU-šú SIG7 KI.MIN ŠU d15

103. [DIŠ T]A SAG.DU-šú EN [GÌRII-šú

U]4.BU.BU.UL BABBAR DIRI u SU-šú GI6

KI.MIN ŠU dUTU

104. [DIŠ TA] ˹SAG˺.DU-[šú] ˹EN G˺[ÌRII-šú

U]4.BU.BU.UL GI6 DIRI u SU-šú SA5 KI.MIN

ŠU d[UTU]

102. [Se] ˹dalla˺ sua testa ai suoi piedi, egli è pieno di bubuʾtu e la sua pelle / il suo corpo è giallo, idem (= è stato “colto” a letto con una donna), mano di Ištar.

103. [Se] ˹dalla˺ sua testa ai [suoi piedi], egli è pieno di bubuʾtu bianche e la sua pelle / il suo corpo è scuro, idem (= è stato “colto” a letto con una donna), mano di Šamaš.

104. [Se dalla sua] testa ai [suoi] ˹piedi˺, egli è pieno di bubuʾtu scure e la sua pelle / il suo corpo è rosso, idem (= è stato “colto” a letto con una donna), mano di [Šamaš].

(Sakikkû III, 100-104)285

Come osservato da M. Stol, l'aver intrattenuto relazioni sessuali con una donna “libera” non rappresentava un peccato fatale; ciò che è notevole in questo passo è il riconoscimento di una causa per la comparsa di vescicole bubuʾtu.286 La confessione della propria colpa agli dei rappresentava un passo fondamentale per il ritorno allo stato di salute. Alla luce di questo dato si spiegano le attestazioni in cui i protagonisti lamentano la propria inconsapevolezza nell'aver compiuto qualcosa di male o per la mancata guarigione, nonostante l'ammissione e la confessione delle proprie mancanze.287

Il nesso tra la purezza, la salute e la malattia è stato approfondito solo recentemente e si estrinseca nella nozione di contagio. Questo ritardo, come sottolinea Y. Feder, è da ascrivere alle cautele degli studiosi nell'interpretazione delle malattie menzionate nelle fonti, sebbene i riferimenti al contagio fossero evidenti (in particolare negli archivi paleo-babilonesi di Mari).288

285 Scurlock 2014: 17, 23-24; traduzione italiana dell'autrice.

286 Cfr. Stol 1991-1992: 44-45; Scurlock – Andersen 2005: 223 ipotizzano che in questi casi bubuʾtu sia indice di forme erpetiche dovute a contatti venerei.

287 Cfr. Prioreschi 1995: 426-427. Si vedano, per es., la lettera EA 147 (= CDLI n. P271021) r. 27-37, in Oppenheim 1967: 132; Ludlul II 33-35: lu-u i-de ki-i it-ti DINGIR i-ta-am-gur an-na-a-ti34ša dam-

qat ra-ma-nu-uš a-na DINGIR gul-lul-˹tum˺35ša ina ŠÀ-bi-šú mu-us-su-kàt UGU DINGIR-šú dam-

qat, “Avessi saputo (prima) che queste cose erano gradite al dio, e che ciò che è buono per una

persona può essere un sacrilegio per la divinità, e ciò che è miserabile per la prima può essere buono per la seconda!”; cfr. Annus – Lenzi 2010: 20; BBR 26 v 78-81, in Lambert 1974: 168; IV R2 10 r. 30-

47, in Maul 1988: 238; traduzioni italiane dell'autrice. 288 Feder 2016: 101; cfr. Sierra – Vidal 2014: 16-18.

In Sakikkû sono presenti, insieme alle menzioni di una colpa individuale, anche delle prescrizioni igieniche: le indicazioni sul lavaggio delle mani denotano che il contatto con altri individui potesse avere conseguenze sul proprio stato di salute.289 La stessa convinzione è riaffermata dall'allusione all'interazione con mani sporche, come nel caso seguente: DIŠ MUNUS ina GIG-šá ŠUII-šá ú-na-aš-šak ŠU.MEŠ lu-uʾ-a-ti TAG, “Se una donna durante la malattia si morde le mani, delle mani sporche l'hanno toccata” (Sakikkû XXXVII, 16).290

L'azione del toccare, in questa occorrenza, è indicata dal verbo lapātu (log. TAG).291 Il suo sostantivo derivato liptu designa, invece, sia il senso (al plurale, liptātu) che l'atto concreto.292 Isolate menzioni in Sakikkû attestano liptu come una possibile diagnosi, talvolta anche in stretta associazione con qātu: DIŠ ÉLLAG 15-šú GU7-šú na-

kid : TAG ŠUdMAŠ.[TAB.BA], “Se gli fa male la sua zona renale destra, (il dato) è preoccupante : (var.) “tocco” della mano dei ˹Gemelli˺” (XII, 73'').293 In questo primo caso la designazione comune qāt … “mano di …” viene integrata premettendo liptu allo stato costrutto. Il nesso lipit qāti, oltre che nei testi medici, è attestato anche in altri tipi di documentazione. Nell'ambito della divinazione, per es., l'espressione designa un atto rituale tramite il quale il bārû introduceva l'animale sacrificale ai riti dell'estispicina;294 inoltre, lipit qāti può anche indicare il lavoro manuale: in questi casi, attestati generalmente nelle iscrizioni reali, il nesso non fa riferimento a occupazioni quotidiane o private, quanto alle attività edificatrici del sovrano e assume, pertanto, una valenza simbolica.295 Nelle osservazioni diagnostiche, dunque, l'espressione di lipit qāti potrebbe indicare, dunque, il semplice “tocco” della mano delle divinità oppure l'esito della loro 289 Cfr. Feder 2016: 103; Scurlock – Andersen 2005: 16, con riferimento a SpTU I 47, r. 3-5 e STT 324,

10-11, un possibile caso di congiuntivite aggravato dal contatto con mani sporche. 290 Scurlock 2014: 255; traduzione italiana dell'autrice.

291 Generalmente, le attestazioni del verbo lapātu nei testi medici possono essere tradotte anche “far male”; quelle nei presagi, invece, come “essere sfavorevole” (cfr. Geller 2009: 66).

292 È necessario notare che per il sostantivo, a differenza del verbo di origine, il significato legato al toccare è secondario: il primo valore risulta legato a quello di lavoro manuale e artigiano, con particolare riferimento alla creazione degli uomini, cfr. CAD L s.v. liptu, 200-202; AHw 554-555. 293 Seguendo Scurlock 2014: 95; si noti che l'integrazionedMAŠ.[TAB.BA] è stata effettuata dall'autrice

sulla base della diagnosi seguente (XII, 74'': DIŠ ÉLLAG 150-šú GU7-šú TIN:dMAŠ.TAB.BA, “Se

gli fa male la sua zona renale sinistra, egli guarirà: (var.) “tocco” della mano dei Gemelli”); diversamente, R. Labat suggerisce “Nergal” (MAŠ.[MAŠ], cfr. TDP 104 iii 10); traduzioni italiane dell'autore.

294 Cfr. Jeyes 1991-1992: 23-24, dove viene individuata la seguente sintesi sui compiti del bārû: lipit

qāti immeri naqē niqe nēpešti bārûti, “il 'tocco della mano', la restrizione (?) della pecora, l'offerta del

sacrificio, l'esecuzione dell'estispicina”; cfr. CAD L s.v. liptu A, § 4, 202; traduzione italiana dell'autore.

azione.

L'indicazione della “mano” di Ištar è ampliata da una singolare precisazione in tre passi di Sakikkû: ana / aššum lipit lēti (MU TAG TE), “tramite il (lett. a causa del) tocco della guancia”.296 M. Stol ha osservato come l'espressione, ricorrente nei testi

relativi a cerimonie matrimoniali, possa avere connotazioni di tipo amoroso e sessuale, anche alla luce della correlazione con la dea.297 J.A. Scurlock e B.R. Andersen sostengono l'associazione di malattie veneree a Ištar; inoltre, ipotizzano che il riferimento ad arti ed estremità in uno dei casi sia indice di artrite associata alla gonorrea.298

Generalmente, l'espressione di liptu sembra descrivere l'azione concreta con la quale viene innescato il processo di malattia, ma potrebbe identificare anche la zona interessata dal contatto e le possibili manifestazioni cutanee del “tocco”.299 È possibile distinguere una sezione dedicata a questa condizione anche nei colofoni di due tavolette di Sakikkû.300 La citazione, di natura ridotta, non consente di avere un quadro completo della sintomatologia implicata, ma la menzione di šiknu “natura, aspetto” è notevole. Il termine potrebbe suggerire una caratterizzazione generica per la lesione liptu, ma dai tratti chiaramente osservabili: si potrebbe dunque trattare di una “malattia” (più in linea con la contestualizzazione in Sakikkû), oppure di una “macchia”.301 La seconda opzione è supportata dalle attestazioni fisiognomiche, dove liptu dà il nome a una sotto-serie del manuale fisiognomico, e viene descritta come una lesione riscontrabile in ogni parte del

296 Sakikkû XVIII, 19: [(DIŠ?)…]-˹x˺-uš ŠUd15 ana TAG TE, “[(Se …)] … : mano di Ištar, tramite il

tocco della guancia”; la medesima precisazione è riportata anche in Sakikkû XXII, 39, ma i due testimoni consultabili presentano opposti esiti prognostici (cfr. Heeßel 2000: 255; Scurlock 2014: 187); Sakikkû X, v. 17 (= TDP 88, r. 17): DIŠ KÙŠ.MEŠ-šú MURUB4.ME-šú u GÌRII-šú 1-niš

GU7.MEŠ-šú ŠU d15 MU TAG TE, “Se i suoi avambracci, i suoi fianchi/stinchi e i suoi piedi gli fanno

male continuamente, “mano” di Ištar tramite il “tocco” della guancia”; Scurlock 2014: 77; Scurlock – Andersen 2005: 728, n. 38 (“'Touching the cheek' is presumably a prelude to seduction”); traduzioni italiane dell'autrice.

297 Stol 1991-1992: 45, n. 16 supera quindi la lettura TAG-te = lipte, proposta in CAD A/2 s.v. aššum, 470a, d., dove si fa riferimento a una patologia dermatologica. Così anche Scurlock – Andersen 2005: 728, n. 38.

298 Scurlock – Andersen 2005: 255-256.

299 Una prima interpretazione del nesso è stata proposta da Stol 1991-1992: 45; cfr. CAD L s.v. liptu, 200b, 1a.

300 Rispettivamente, quelli delle Tavv. XVII e XXII (in Heeßel 2000 e Scurlock 2014; XIX in Labat 1951); entrambi menzionano una sezione intitolata DIŠ U4.1.KÁM GIG-ma GAR TAG-ti “Se (il

paziente) è malato da un giorno e l'aspetto del 'tocco'”; cfr. TDP 168: 108, 176: 55; Heeßel 2000: 206 (colofoni A e E), 257 (colofone A). Entrambi i colofoni non sono riportati nell'edizione di Scurlock 2014; traduzione italiana dell'autrice.

corpo (cfr. infra, § III.1., xi).302

Se nelle fonti fisiognomiche e diagnostiche i valori di liptu oscillano tra macchia cutanea e malattia generica, il termine assume un carattere più concreto nelle fonti non mediche, specialmente nei documenti paleo-babilonesi dove vengono descritti fenomeni di carattere chiaramente epidemico.303 In questo senso, il rapporto tra il verbo lapātu e il sostantivo derivato liptu anticipa quello che si ripresenta in latino – e viene mantenuto nelle lingue romanze – tra tangere e contagium.304 Nel Codice di Hammurabi, per esempio, si può apprezzare una menzione di un “tocco del dio” (lipit ilim) riferito chiaramente a un'epidemia del gregge.305 Ulteriori riferimenti si possono estrapolare dagli archivi epistolari di Mari. Anche in questi casi, il verbo che descrive l'azione del dio irato è lapātu, mentre le persone o l'area afflitta dagli episodi epidemici vengono descritti in quanto “toccati” (laptū).306

I dati combaciano con un isolato riferimento in Sakikkû al “tocco del demone Namtaru” (XXXIII, 114: TAGdNAM.TAR / lipit Namtari)307. Sebbene il dato risulti di difficile interpretazione per l'assenza di informazioni ulteriori, rimane suggestiva la menzione del demone, attestato in un ampio numero di fonti con altre entità sovrannaturali associate a malattie e talvolta personificante la pestilenza (mūtu,

mūtānu). In un esemplare testo sumerico da Tell Haddad, Namtaru stesso viene indicato