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La pelle umana come rivestimento e abito

I.2. La pelle umana come oggetto materiale

I.2.3. La pelle umana come rivestimento e abito

Per concludere l'excursus sulle attestazioni della pelle umana intesa come oggetto materiale presentiamo due esempi in cui l'impiego dei verbi ḫalāpu e labāšu 217 Fuchs 1993: 37; Lyon 1883: 34-35; traduzione italiana dell'autrice. Per la traduzione di illuriš, come della relativa pianta, sono state avanzate varie proposte; la più recente, offerta in Fales 2017b: 204 (a proposito del passo Sarg. VIII, ii 135, cfr. n. supra), propone “poppies” .

218 Reiner 2006: 327-328.

219 Cfr. Frye 1983: 296-298. La vittoria di Sapore I sugli imperatori romani Filippo l'Arabo e Valeriano e la cattura di quest'ultimo sono celebrate in un rilievo di Naqš-e Rostam (n. VI), un'antica necropoli a 12 km da Persepoli (Canepa 2013: 865-867). La cattura di Valeriano è una scena ricorrente nell'iconografia sasanide (cfr. Canepa 2009: 68-71).

220 De mort. pers. 5.6: Derepta est ei cutis et exuta visceribus pellis infecta rubro colore, ut in templo

barbarorum deorum ad memoriam clarissimi triumphi poneretur, “Venne scorticato e la sua pelle,

strappata dalla carne, venne tinta di rosso così da poter essere disposta nel tempio degli dei barbari in memoria di una vittoria tanto epica”; traduzione italiana dell'autrice.

221 Reiner 2006: 329. Della sopravvivenza della pratica in Persia abbiamo ulteriori esempi: da un lato, l'episodio narrato da Erodoto a proposito del giudice Sisamne, punito da Cambise con lo scorticamento per la sua corruzione; dall'altro, la sorte di Mani, fondatore del manicheismo; cfr. Hdt. V, 25.

indica come la pelle potesse essere intesa rispettivamente come rivestimento e abito. Il rapporto tra pelle umana e pelle animale risulta concettualmente vicino non solo sul piano lessicale indicante la pelle stessa e le attività di scorticatura e tintura, ma anche sul possibile impiego di entrambe come abbigliamento e materiale di rivestimento.

L'abbigliamento – in quanto prodotto della mano dell'uomo – viene considerato uno dei tratti distintivi dell'uomo civilizzato. Questo assunto si può ricavare, per es., dalla presenza nelle fonti epistolari paleo-assire di motivi ricorrenti sulla necessità di procurarsi indumenti nuovi o sulla mancanza di vestiti puliti, ma anche nel Poema di

Gilgameš. Enkidu viene introdotto nella comunità dei pastori solamente dopo essere

stato ricoperto con metà della veste della prostituta Šamḫat.222 Qui si compiono gli ultimi atti del suo processo di umanizzazione: in primis, il nutrimento con pietanze preparate e cucinate; quindi, la cura del corpo da parte del barbiere che, con la rasatura e l'unzione di unguenti a base di olio, lo trasforma in essere umano. Con l'indossare una veste, egli diventa un guerriero, un vero uomo.223 Viceversa, la riduzione allo stato bestiale di Gilgameš, nel quale l'eroe sprofonda per il dolore della perdita di Enkidu, viene sottolineata dall'uso come indumento della pelle di un leone;224 la sua reintegrazione nella comunità civile ripropone i motivi del lavaggio, della rasatura, dell'unzione e delle vesti pulite.

In via eccezionale, nelle fonti neo-assire dove il riferimento allo scorticamento è più o meno esplicito, emerge che anche la pelle umana poteva essere lavorata ed impiegata come rivestimento e veste, al pari del cuoio di derivazione animale. L'azione esemplare dello scorticamento dei nemici viene associata in modo ricorrente all'ulteriore gesto dimostrativo di usare le pelli delle vittime scuoiate per ricoprire pile di teste o rivestire le mura della città (cfr. Assurnaṣirpal II 19, 91:mbur-ra-ma-a-nu EN ḫi-iṭ-ṭí a-

222 OB II, ii 69-72 // SB II 34-35: iš-ḫu-uṭ [l]i-ib-ša-am iš-ti-nam ˹ú˺-la-ab-bi-ís-su li-ib-˹ša˺-[a]m ša-ni-

a-am ši-˹it˺-ta-al-ba-aš, “Lei strappò il suo abito, con una parte vestì lui, l'altra la indossò lei stessa”;

cfr. George 2003: 174-175; traduzione italiana dell'autrice.

223 OB II, ii 106-113: ul-tap-pi-˹it˺ ˹ŠU˺.I / šu-ʾu5-ra-am pa-ga-˹ar-šu˺ / ša-am-nam ip-ta-ša-aš-ma / a-

wi-li-iš i-we / il-ba-aš li-ib-ša-am / ki-ma mu-ti i-ba-aš-ši / il-qé ka-ak-ka-šu / la-i ú-ge-er-re, “Il

barbiere trattò il suo corpo tanto peloso, egli si unse con olio e divenne un uomo. Egli indossò un abito / diventando come un soldato,/ imbracciò la sua arma / per combattere i leoni”; cfr. George 2003: 176- 177; traduzione italiana dell'autrice.

224 Gilg. VIII 90-91: ù ana-ku ar-ki-[a ú-šá-áš-šá-a ma-la]-a pag-˹ri˺ / al-tab-biš-ma KUŠ l[a-ab-bi- (im-ma) a-rap]-pu-ud EDIN, “E io, dopo che te ne sarai andato, io stesso [porterò i capelli arruffati del cordoglio, indosserò una pelle di [un leone] e [andrò a vagare nella steppa]; Gilg. X 45 (//52, 118, 125, 218, 225): [… pa-an lab-bi šak-na-ta-m]a ta-rap-pu-ud ED[IN], “[Perché … e] vaghi nella steppa [vestito come un leone?]”; George 2003: 656-657, 680-681 e passim; traduzione italiana dell'autrice.

ku-ṣu KUŠ-šú BÀD šá URU.si-na-bu ú-ḫal-lip …, “Scuoiai Bur-Ramānu, uomo

colpevole, (e) rivestii con la sua pelle le mura della città di Sinabu”).225 Il verbo impiegato in queste occorrenze è ḫalāpu. Il suo primo significato è riferito all'atto di introdursi scivolosamente, riferibile principalmente al movimento dei serpenti o di demoni come Lamaštu. Il secondo significato, “coprire, rivestire” viene impiegato per descrivere azioni riguardanti le persone (cfr. infra, § II.3.), le divinità o oggetti o strutture materiali, quali corone, statue, travi del soffitto e, come in questi casi, mura della città.226 La mostra delle prove della punizione dei capi nemici doveva costituire un impressionante monito dal forte deterrente contro possibili emulazioni di ribellione anti- assira.

Labāšu rappresenta uno dei verbi più comuni per designare l'atto dell'indossare

abiti, del far indossare, procurare vestiti o rivestimenti per qualcuno o qualcosa.227 L'ade di Esarhaddon, nella sezione delle maledizioni contro chi contravviene al patto di vassallaggio, presenta l'invocazione di uno scenario apocalittico, nella quale si auspica che gli eventuali trasgressori possano ridursi in una penuria di mezzi tale da essere costretti, per sopravvivere, non solo al cannibalismo, ma anche a vestirsi con pelle umana:449ina bu-ri-ku-nu UZU.MEŠ DUMU.MEŠ-ku-nu ak-la ina bu-b[u-ti]450ḫu-šaḫ-

ḫu LÚ UZU LÚ le-e-kul LÚ KUŠ LÚ451li-la-biš …, “In preda alla vostra fame mangiate la carne dei vostri figli! In preda al bisogno (e) alla carestia, possa un uomo mangiare la carne di un altro uomo; un uomo possa vestirsi con la pelle di un altro uomo … (SAA II 6, 449-451).228

225 RIMA II A.0.101.19; Grayson 1991: 261; traduzione italiana dell'autrice. Cfr. De Backer 2010: 405- 406: “We know that these parts of the walls had a specific religious meaning for the people of Me- sopotamia at this time, so this can be understood as iconoclasm or as the creation of a reserved space, or as a means to mark the newly conquered territory ... So, perhaps like the skin of a freshly hunted lion, human skin might be given a kind of symbolic, magical, or religious value”.

226 CAD H s.v. ḫalāpu A, 35-36.

227 CAD L s.v. labāšu, 17-22; il verbo ricorre, per esempio, nei passi del Poema di Gilgamesh riportati in nota, supra.

228 Cfr. Parpola – Watanabe 1988: 46; Wiseman 1958: 61-64; traduzione italiana dell'autrice. Si vedano anche gli altri riferimenti proposti in CAD M/1 s.v. mašku, 376; Ebeling 1928a: 114. L'uso di indossare pelli umane a fini rituali è documentato per la civiltà azteca, nel contesto dei rituali per il dio Xipe Totec; cfr. De Backer 2010: 405-406; Wegener 2007.