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I.2. La pelle umana come oggetto materiale

I.2.2. La tintura della pelle umana

Nel cilindro di fondazione proveniente da Khorsabad conosciuto Cilindro Rassam sono narrate le prime campagne militari di Sargon II. In particolare, vi possiamo isolare la relazione sulla scorticazione di Ilu-biʾdi, re di Hamath, che, come abbiamo già visto, è attestata anche da una riproduzione del relativo bassorilievo ad opera di M.E. Flandin, essendo la lastra andata perduta (cfr. supra, § I.2.1. e Fig. 1).207 Nel 720 a.C. ca. Ilu-biʾdi organizzò una rivolta anti-assira inducendo la sollevazione delle città Arpad, Ṣimirra, Damasco e Samaria, già sotto potere assiro. Sargon II, stando all'iscrizione, riuscì a sconfiggere l'alleanza nemica nella battaglia campale di Qarqar, catturò Ilu-biʾdi e i suoi familiari, conducendoli in Assiria per poi scuoiarli.208

In questa iscrizione possiamo trovare due riferimenti distinti allo scorticamento del nemico e di un conseguente processo di colorazione della pelle di rosso. Per descrivere il primo processo viene impiegato il verbo ṣarāpu; per il secondo, invece,

samu. In entrambi i casi, le azioni descritte dai verbi sono ampliate da paragoni con

oggetti di colore rosso per antonomasia, come la lana nab/pāsu e il fiore illūru.

Ṣarāpu significa “tingere, tingere di rosso, immergere (durante il processo di

conciatura” e rappresenta uno degli sviluppi della radice proto-semitica *ṣrp. A quest'ultima vengono ascritti due significati di base, entrambi attestati in accadico: “raffinare (metalli)” e “conciare (cuoio), tingere con allume”.209 È plausibile che in accadico quest'ultimo valore si sia esteso a “tingere di rosso” alla luce della colorazione caratteristica del cuoio lavorato.210 Nelle fonti cuneiformi ṣarāpu risulta ampiamente attestato nelle descrizioni della tintura della lana, specie nei casi in cui l'esito della lavorazione è la lana nabāsu, distinta per il suo colore rosso. In recenti studi sui tessuti antichi si è discusso se la pigmentazione dei materiali fosse effettivamente dovuta al processo di tintura o non sia piuttosto da ascrivere alla colorazione naturale.211 Nell'antica Mesopotamia i colori venivano impiegati deliberatamente per esprimere un significato simbolico e/o rituale o una posizione sociale e gerarchica, in considerazione

207 Reiner 2006: 328; Botta – Flandin 1849, tav. 120. 208 Hawkins 1976-1980: 272.

209 AHw 1083; CAD Ṣ s.v. ṣarāpu A-B, 102-105. 210 Bulakh 2003: 11-12.

211 Michel – Nosch 2010a: xv. Waetzoldt 2010: 202-203 sostiene che nel periodo della III Dinastia di Ur i tessuti venissero tinti solamente in casi eccezionali.

del costo elevato delle sostanze coloranti e del processo di tintura (cfr. infra, § V.6.). Per quanto riguarda il periodo neo-assiro, la menzione di tessuti di colore rosso è quella dominante, specialmente in riferimento a prodotti di pregio.212

Il tessuto nabāsu doveva essere un prodotto conosciuto se nelle fonti letterarie il tramonto o altri fenomeni implicanti una colorazione rossa vengono descritti con la clausola topica kima nabāsi, “come lana rossa nabāsu”.213 A partire da Tiglath-pileser I, questa espressione ricorre nelle iscrizioni dei sovrani assiri per esprimere in modo vivido la carneficina dei nemici in scontri bellici: in questi casi, il paragone col processo della tintura di rosso viene impiegato per descrivere lo spargimento di sangue sul campo di battaglia e nell'ambiente circostante (montagne, terreni e corsi d'acqua).214 Nel cilindro di fondazione da Khorsabad, eccezionalmente, la similitudine viene associata anche alla pelle del nemico: qit-ru-du la a-dir tuq-ma-te na-si-iḫ šur-uš KUR A-ma-at-

te ša ma-šakmI-lu-bi-iʾ-di ḫa-am-ma-ʾi-i iṣ-ru-pu na-ba-si-iš [...], “(Sargon) valoroso, che non teme battaglie, che ha distrutto il paese di Amattu, che ha fatto tingere di rosso la pelle del ribelle Ilu-biʾdi come la lana nabāsu (nabāsiš) […]” (Lyon n. 1, 25).215

Successivamente, il cilindro presenta un altro riferimento alla colorazione della pelle del nemico di rosso: in questo caso, l'azione viene espressa con la radice D del verbo samu “essere / diventare rosso” e quindi traducibile come “rendere / far diventare rosso” (cfr. infra, § V.6, ii).216 Gli editori del CAD presentano come esempio, oltre alla

212 Michel – Nosch 2010a: xv-xvi; Villard 2010: 396-398. Waetzoldt 1980-1983: 20 sostiene che la lana rossa venisse tinta, fosse particolarmente costosa e, pertanto, riservata alla confezione di indumenti per sovrani e divinità; cfr. Zawadzki 2006: 40.

213 CAD N s.v. nabāsu, 21-22.

214 Per es., Tiglath-pileser I 1 (= RIMA II A.0.87.1), iv 18-21:18ERIM.MEŠ muq-tab-li-šu-nu i-na gi-

sal-lat KUR-i 19a-na gu-ru-na-a-te lu-qé-ri-in 20ÚŠ.MEŠ-šu-nu KUR.ḫi-ri-ḫa21ki-ma na-ba-si lu aṣ-

ru-up, “Con i [cadaveri] dei loro (= della gente di Sugu) guerrieri ho ammassato mucchi sui

pianerottoli della montagna (e) con il loro sangue ho tinto il monte Ḫiriḫu di rosso come lana”. Vi sono anche attestazioni di ṣarāpu in compresenza di paragoni al fiore rosso illūru (per il quale si veda

illuriš al punto successivo); Grayson 1991: 20; Tiglath-pileser III 20 (= RINAP I), 3'-4'a:3'[da-me]

˹LÚ˺.qu-[ra-di-šú] ˹ÍD˺.x […] x x šam-ru 4'[aṣ]-ru-pa [il]-lu-ri-[iš …], “[Col sangue dei suoi]

guer[rieri ho] tinto il fiume […], un [torrente] impetuoso, di rosso [come (il fiore) il]lūru [...]”; Tadmor – Yamada 2011: 59. Le iscrizioni dello stesso Sargon II non sono indifferenti a questo motivo, cfr. Sarg. VIII, ii 135: ÚŠ.MEŠ-šú-nu ḫur-ri na-at-ba-ki ÍD-eš ú-šar-di-ma ṣe-e-ri ki-i-di ba-

ma-a-te aṣ-ru-ba il-lu-reš, “Feci scorrere il loro sangue a fiumi, in burroni e canali; tinsi la steppa, la

campagna e le pianure di rosso, come fossero ricoperte [da campi] di illūru” (cfr. Thureau-Dangin 1912: 24-25; Mayer 1983: 80-81; Fales 2017b: 204); traduzioni italiane dell'autrice.

215 Cfr. Fuchs 1993: 35; Lyon 1883: 32-33; traduzione italiana dell'autrice. L'uso avverbiale di nabāsu nella forma nabasiš è attestato in un altro passo di Sargon: me nārātišu … ina dami qurādišu iṣrupu

nabasiš, “Col sangue dei suoi guerrieri egli tinse le acque dei suoi canali di rosso, come lana nabāsu”

(Winkler Sar. Tav. 34: 130); traduzione italiana dell'autrice. Cfr. CAD N s.v. nabasiš, 21. 216 CAD S s.v. samu, 131-132.

menzione di tintura di pelli di capra, il seguente passo: mu-ab-bit KUR Kar-al-la ša pa-

a-ri mA-šur-le-ʾi EN URU-šú-nu il-lu-ri-iš ú-si-mu-mamA-da-a KURŠur-da-a-a e-mì-du

ni-ri Aš-šur…, “(Sargon) che ha distrutto completamente il paese di Karalla, che ha

tinto la pelle di Assur-leʾi, sovrano della loro città (= Karalla), di rosso come la pianta

illūru, e che ha imposto il giogo di Assur su Adā di Šurda” (Lyon n. 1, 33). Il metro di

paragone, diversamente dal caso precedente, è la pianta illūru, ampiamente impiegata come materia medica e caratterizzata da fiori e bacche rosse.217

La prassi di tingere di rosso la pelle di un nemico scuoiato sembra essere stata praticata, oltre che nelle iscrizioni di Sargon II, anche in età sasanide. Come notato da E. Reiner, i passi sargonici rappresentano una prova a favore della veridicità della narrazione di Lattanzio sul destino di Valeriano (253-260 d.C.).218 L'imperatore romano, impegnato in Mesopotamia contro i Persiani Sasanidi, venne imprigionato dal re Sapore I (241-272 d.C.) nella battaglia di Edessa e quindi scorticato (260 d.C.).219 La versione dell'episodio di Lattanzio è l'unica a far menzione della tintura di rosso della pelle di Valeriano.220 L'attestazione di una simile prassi in un testo successivo di quasi mille anni, secondo l'assiriologa, può riflettere la realtà o, in alternativa, essere testimonianza della memoria storica sulla crudeltà dei sovrani orientali.221