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Le condizioni dermatologiche e l'emarginazione sociale

Alla luce della visione mesopotamica della malattia in termini personalistici (cfr.

supra, § Introduzione, i), il verificarsi di tale fenomeno in una comunità richiedeva una

gestione sociale dell'evento. Sulla base di passi significativi della documentazione letteraria, scientifica e magica si può riconoscere la presenza di un processo paragonabile a quello dei rites de passage, come formulati da A. Van Gennep (1909). Tali riti prevedono: 1) una fase di separazione, in cui la persona malata viene isolata dalla comunità, tramite confino domestico o esclusione totale dal tessuto civile; 2) una fase liminale, durante la quale il paziente deve sottoporsi ad atti rituali che possano ristabilirne la salute, fino alla sua completa guarigione; infine, 3) una fase di reintegrazione, attraverso la quale l'individuo viene reintegrato nella comunità ripristinando l'equilibrio originario.312

Tracce di una fase di separazione si possono riconoscere nelle allusioni allo stato di isolamento del malato e alla sua conseguente esclusione sociale, dovuta a credenze e convinzioni associate a una data patologia. L'āšipu e il mašmaššu, come esemplificato nella prima sotto-serie del manuale Sakikkû, si recavano alla casa del paziente (cfr.

supra, § Introduzione, iii.a); il Giusto Sofferente, per contro, lamenta che la sua malattia

lo ha ridotto allo stato di un prigioniero in casa propria.313

Dall'analisi della documentazione si evince che l'isolamento e il confino fossero 310 Cfr. Farber 2004; cfr. CAD Š/1 s.v. šalāmu, 206-208.

311 Sallaberger 2006: 295. 312 Van Gennep 2009: 10-11.

313 Ricordiamo che il manuale Sakikkû è conosciuto anche con la prima linea iniziale dell'opera e della prima sezione, dedicata all'interpretazione dei presagi che possono verificarsi nel corso del tragitto (Enūma ana bit marṣi āšipu illaku “Quando l'esorcista va alla casa del malato”); cfr. anche Ludlul II, 95-96: a-ḫu-uz GIŠ.NÁ me-si-ru mu-ṣe-e ta-ni-ḫ[u] / a-na ki-šuk-ki-ia i-tu-ra bi-i-tu, “Presi un letto di confino, uscire (era) una pena, la (mia) casa divenne la mia prigione”; Annus – Lenzi 2010: 22; traduzione italiana dell'autrice.

prescritti per almeno due stati di salute: quello delle donne (in particolare, durante il ciclo mestruale o dopo il parto) e quello delle persone affette da malattie cutanee.314 All'insorgenza di queste ultime veniva associato solitamente un valore negativo, come emerge dalla seguente sequenza di presagi (cfr. infra, § III.1.):

20. DIŠ ina É [LÚ ša NIR].DA DINGIR DIR GÁL e-neš […]

21. DIŠ ina É [LÚ ša SAḪAR].ŠUB.BA-a DIR GÁL e-neš […]

22. DIŠ ina É LÚ[ ša kiṣ]-ṣa-a-tù DIR GÁL e-

neš […]

23. [DIŠ ina É LÚ ša] a-ga-nu-ti-la DIR GÁL e-

neš […]

24. [DIŠ ina É LÚ ša] ṣir-šá DIR GÁL e-neš […]

20. Se nella casa [di un uomo] è presente [qualcuno (ricoperto di) “puni]zione divina” – indebolimento della [casa].

21. Se nella casa [di un uomo] è presente [qualcuno (ricoperto di) saḫar]šubbû, – indebolimento della [casa].

22. Se nella casa di un uomo è presente

[qualcuno (ricoperto di) kiṣ]ṣatu – indebolimento della [casa].

23. [Se nella casa di un uomo] è presente [qualcuno (ricoperto di)] agannutillû – indebolimento della [casa].

24. [Se nella casa di un uomo] è presente [qualcuno (ricoperto di)] ṣiršu – indebolimento della [casa].

(Šumma ālu XXI, 20-24)315

Ad eccezione della “punizione divina”, indicazione piuttosto generica, le altre condizioni sono tutte caratterizzate da evidenti caratteri dermatologici. La loro visibilità pregiudicava forzatamente le normali relazioni interpersonali di chi ne era affetto, anche in riferimento alle ricadute che tali patologie potevano comportare sullo stato di pulizia

314 L'impurità è un tratto che caratterizza buona parte della vita di una donna, essendo essenzialmente legata al sangue del ciclo mestruale e alla fertilità (cfr. Van der Toorn 1989: 348-350; Sallaberger 2011: 23-25). La maturità e l'attività sessuale rendevano una donna inadatta alla partecipazione ad alcuni rituali: è emblematico, per esempio, che in alcuni casi sia prevista la partecipazione o di bambini o di donne anziane, presumibilmente in menopausa e sessualmente inattive (cfr. Harris 2000: 92; Biggs 2006: 43). Il confino era previsto, in particolar modo, anche dopo il parto ed era funzionale non solo all'osservazione dello stato di salute per scongiurare eventuali complicazioni, ma anche al reinserimento sociale della madre col suo bambino. In questi casi l'impurità della donna dopo il parto (definita ḫarištu, “donna in confino”) si estendeva anche al figlio (cfr. Stol 2000: 178-179; Scurlock 1991: 150).

315 Cfr. Freedman 1998: 308-311; traduzione italiana dell'autore. Si noti qui la nostra correzione con ṣir-

šá in luogo della lettura MUŠ.GAR proposta nell'edizione e la scelta di mantenere ṣiršu in luogo di ṣennitu nella traduzione (l. 24).

e purezza del singolo. Note di disgusto e tendenza ad allontanare le persone affette da patologie cutanee si riscontrano maggiormente nei casi di affezioni che, nel corso degli studi, sono state variamente interpretate come lebbra o come malattie ad essa assimilabili, come nel seguente presagio paleo-babilonese: 42DIŠ LÚ pa-ga-ar ši-ru-šu

pu-ṣa-am ku-ul-lu-u[m]-ma43ù nu-uq-di i-ta-ad-du44LÚ šu-ú it-ti i-lí-šu sà-ki-ip45it-ti

a-wi-l[u-ti]m sà-ki-ip, “42Se il corpo (o) le carni di un uomo mostrano una lesione bianca (pūṣu) 43e sono piene di noduli nuqdū, 44quell'uomo è stato respinto dagli dèi, 45(quell'uomo sarà) respinto dagli uomini” (VAT 7525, ii 42-45).316

***

Nelle fonti i riferimenti si concentrano sulla malattia saḫaršubbû e sulle patologie ad essa associate, garābu ed epqu (infra), ma si possono notare anche nel caso della patologia laʾbu. A quest'ultima si riferiscono le seguenti disposizioni del Codice di Hammurabi, che denotano come la manifestazione di questa malattia comportasse una posizione sociale di debolezza:

xxxi 65šum-ma a-wi-lum 66aš-ša-tam 67i-ḫu-uz-ma 68la-aʾ-bu-um 69iṣ-ṣa-ba-as-sí 70a-na ša-ni-tim 71a-

ḫa-zi-im 72pa-ni-su 73iš-ta-ka-an 74i-iḫ-ḫa-az 75aš-

ša-su 76ša la-aʾ-bu-um 77iṣ-ba-tu 78u-ul i-iz-zi-ib-ši 79i-na É i-pu-šu 80uš-ša-am-ma 81a-di ba-al-ṭa-at

it-ta-na-aš-ši-ši

xxxii1šum-ma MÍ ši-i 2i-na É mu-ti-ša 3wa-ša-ba-

am 4la im-ta-gàr 5še-ri-ik-ta-ša 6ša-iš-tu É a-bi-ša 7ub-lam 8u-ša-lam-šim-ma 9it-ta-al-la-ak

Se un uomo sposa una donna ma, in seguito, quella contrae la malattia laʾbu e lui decide di sposare un'altra donna, egli potrà sposarsi (ma) non divorzierà da sua moglie, affetta dalla malattia laʾbu; questa potrà risiedere nelle stanze che lui costruisce, quello dovrà continuare a mantenerla finché vivrà.

Se quella donna non vuole vivere nella casa di suo marito, lui dovrà restituirle la dote che lei aveva portato dalla casa di suo padre, e lei potrà andarsene.

(CH §§ 148-149, xxxi 65-81)317

Nel Codice sono presenti varie norme che ci forniscono informazioni di interesse

316 Per l'edizione del testo si veda Köcher – Oppenheim 1957-1958: 66; Van der Toorn 1985: 72-73; traduzione italiana dell'autore.

medico: alcune regolamentano le attività del professionista asû (cfr. infra, § VI.2.) e una norma tutela chi acquisisce schiavi che manifestino episodi epilettici;318 tuttavia, queste prescrizioni si distinguono in quanto vanno a tutelare espressamente una persona affetta dalla malattia laʾbu, per la quale viene riconosciuta una natura cutanea.319 Sulla base di altre attestazioni, la condizione dermatologica viene indicata anche con la grafia liʾbu.320 Il verbo laʾābu, dal quale deriva il termine tecnico laʾbu, viene tradotto nel CAD come “infettare, detto della malattia liʾbu”.321 Più recentemente, è stata notata una confusione terminologica tra le varie attestazioni di laʾbu / liʾbu, in quanto esse risultano indicare sintomatologie distinte, ma tutte accumunate da un carattere infettivo: una condizione cutanea, un tipo di febbre e una forma di espettorato.322 In quest'ultimo senso va interpretata l'attestazione di laʾbu nel contesto di affezioni delle vie respiratorie, come nel seguente caso:4'[... Ḫ]AR.MEŠ-šú KÚM.MEŠ-šú la-aʾ-ba DIRI u Ú[Ḫ …]5'[... Ḫ]AR.MEŠ GIG UŠ11 DIB-uš ana TI-šú (…), “4'[(Se) … i pol]moni (di una persona) sono caldi, è pieno di espettorato-laʾbu e ˹saliva˺ […],5'[… (quell'uomo)] è malato ai ˹polmoni˺; è stato colto dalla stregoneria; per guarirlo, …” (AMT 55/2, 4'-5').323

Diversamente, nel caso delle disposizioni di Hammurabi sopra riportate, la menzione di laʾbu alla base del caso legislativo è verosimilmente una malattia cutanea sfigurante e difficile da curare. Questa interpretazione può essere supportata alla luce del passo BAM III 240, 59, dove liʾbu, insieme alla lesione cutanea tirku, è uno dei sintomi di una patologia femminile (cfr. infra, III.1. viii). Il fatto che una donna contraesse tale condizione doveva minare a tal punto la serenità della vita coniugale da spingere il marito a contrarre seconde nozze. La misura si rivela in linea con altre 318 CH § 278; cfr. Stol 1993: 133-135; Roth 1997: 132; Richardson 2004: 116; Fales 2010: 21.

319 Cfr. CAD L s.v. laʾbu, 34-35 (“a skin disease”); cfr. Abusch 1987: 68-71 (“disease disfiguring the skin”).

320 Cfr. Rochberg-Halton 1988: 272, EAE 22 testo c, II, 8: GAN = ga-ra-bu, GAN-bu = li-ʾ-bu. In alcuni commentari a Sakikkû XIX (cfr. STT 394, 161-162, CT XVIII, 31, v. 15-16; SpTU I 38, 10) liʾbu viene equiparato a ziʾpu e šipu. Šipu indica una macchia o una scolorazione rossa, in particolare delle vesti; ziʾpu afferisce all'ambito della scrittura e delle impressioni di argilla, ma alla luce di questa attestazione isolata che la associa a liʾbu viene indicata da von Soden come una malattia della pelle. Cfr. CAD Š/3 s.v. šippu, 72; CAD Z s.v. zeʾpu, 86-87 (“clay tag with a seal impression or a short inscription”, “mold for casting metal objects”, “impression (on clay)”, “cast coin”), AHw 1529-1530 (“Gußform, Tonabdruck”, “eine Hautkrankheit”). Cfr. Von Weiher 1993: 47-48; Scurlock – Andersen 2005: 220 ritengono che ziʾpu possa indicare un rash cutaneo da febbre.

321 CAD L s.v. laʾābu, 6. 322 Stol 2007a: 12-14.

323 Stol 2007a: 11; tuttavia, lo stesso autore, in riferimento al medesimo passo, traduce laʾbu come “fever” in un precedente contributo (Stol 2006: 104, n. 4); Thompson 1934: 20, invece, opta per “flame”. Cfr. BabMed Corpora (ultimo accesso: 18-01-2018); CDLI n. P397860; traduzione italiana dell'autore.

disposizioni del Codice volte alla tutela della prima moglie: il marito può risposarsi a patto di non lasciare la moglie senza mezzi, sia nel caso che lei decida di continuare a vivere nella stessa casa, sia nel caso in cui opti per andarsene. L'inclusione di una simile norma giuridica deve indurre a pensare che vi fosse una tendenza ad operare nel senso opposto, ovvero, ad abbandonare la donna a se stessa. La situazione più verosimile è che queste donne, una volta abbandonate, si trovassero senza una famiglia alla quale tornare e senza risorse per mantenersi: se la legge prescrive la restituzione della dote, nella realtà essa presumibilmente non veniva corrisposta.324

***

Il termine saḫaršubbû (un prestito dal sumerico SAḪAR.ŠUB.BA, “colpito dalla polvere”) è attestato in varie tipologie testuali cuneiformi e si riferisce chiaramente a una delle patologie più temute nel mondo mesopotamico.325 La condizione viene descritta come una punizione divina, incurabile e impura, elementi sufficienti per proporne una precoce identificazione con la lebbra, sulla base delle analoghe caratterizzazioni della malattia biblica ṣaraʿat e della sua interpretazione.326 Dalle fonti lessicali emerge che la condizione fosse strettamente legata alle lesioni cutanee garābu ed epqu: il presente dato ha condizionato l'interpretazione anche di queste ultime.327

Come ha ricordato F. Köcher, la prima menzione di saḫaršubbû è stata riconosciuta in un kudurru medio-babilonese conservato al British Museum:

16. d30 na-an-nar AN-e SIKIL.MEŠ

SAḪAR.ŠUB.BA-a la te-ba-a

17. gi-mir la-ni-šu li-lab-biš-ma a-di u-mi NAM.MEŠ-šu a-a i-bi-ib

18. u ki-ma ANŠE.EDIN.NA i-na ka-mat URU.KI-šu li-ir-tap-pu-ud

16. Possa il dio Sîn, luce dei cieli puri, con una malattia saḫaršubbû che non può essere rimossa 17. ricoprire tutto il suo corpo, in modo tale che lui non possa essere puro fino al giorno della sua morte,

18. ma sia costretto a giacere come un asino selvatico al di fuori delle mura della sua città.

324 In particolar modo, risultano tutelate le mogli sterili (naturale o imposta) o incapaci di portare a termine una gravidanza; si vedano, per es., CH §§ 144-147 in Roth 1997: 108-109 e Richardson 2004: 86-87. Cfr. Saporetti 1993: 19; Fales 1976: 235-238.

325 AHw 1005; CAD S s.v. saḫaršubbû, 36-37. 326 Kitz 2007: 619-620.

327 Cfr. in particolare LÚ A, l. 27: LÚ.SAḪAR.ŠUB.BA = ša e-ep-qá-am ma-lu-ú, “una persona 'colpita dalla polvere' (è una persona) piena di lesioni epqu”; traduzione italiana dell'autore.

(BBSt. 7 = BM 90841 = 1863-08-26, 1, ll. 16-18)328

In questa clausola di maledizione sono racchiusi i principali motivi associati alla malattia. L'invocazione indirizzata al dio Sîn, del quale si invoca l'azione collerica, e la descrizione della patologia – che ricopre tutta la superficie del corpo in modo persistente – delinea saḫaršubbû come una malattia impura e incurabile. A chi era afflitto da questa malattia spettava un destino di solitudine in confino, al di fuori della città. Il paragone con l'asino selvatico, che ricorre spesso in queste formule, rimarca in modo esemplificativo l'allontanamento dalla vita civile e la progressiva perdita di umanità.

Si noti, in particolare, che lo stato di impurità viene indicato tramite l'espressione

ā ibbib, facendo quindi ricorso alla negazione di ebēbu “diventare pulito”, un verbo che,

come abbiamo visto, svolge un ruolo chiave nella designazione dello stato di purezza.329 La manifestazione dell'affezione da saḫaršubbû impediva ai candidati alla bārûtu di essere ordinati (cfr. supra, § II.2.).330 L'impurità della malattia saḫaršubbû emerge anche dal suo accostamento con musukku “persona impura” in un rituale curativo neo-assiro, come già evidenziato da Y. Feder.331 Il passo, nello specifico, suggerisce all'esorcista di strofinare la fronte di una persona impura o da saḫaršubbû con un ciuffo di lana tolta dalla fronte di una pecora; al termine della prescrizione, viene specificato che il malato può ritornare a casa senza guardarsi alle spalle.332 Ne consegue che la transitorietà dell'impurità, oltre che essere una caratteristica di una persona sotto tabù temporaneo, vada estesa anche a chi era afflitto da saḫaršubbû. Analogamente, in un commentario a 328 CDLI n. P472650. Cfr. Oppert – Menant 1877; King 1912: 37-42, tavv. 53-66; Köcher 1986: 27;

traduzione italiana dell'autrice. 329 CAD E s.v. ebēbu, 4-8. 330 Lambert 1998: 149, l. 32.

331 Feder 2016: 108; cfr. CAD M/2 s.v. musukku, 239-240 (“a person under (temporary) taboo”). Il femminile, musukkatu, designa una donna impura, durante il ciclo mestruale o subito dopo aver partorito; cfr. Stol 2000: 26; Stol 2016b: 439.

332 BMS 12, 96-100:96GIM KEŠDA it-tu-ḫu NÍG.NA ŠUK-su TIL-u SAG UDU.NÍTA KI GAR-nu la

KÚR-ár 97[SÍ]G pu-ti-šú ZI-ma lu ana UGU Ú.KA lu ana UGU ša SAḪAR.ŠUB.B-a 98[SI].A-u ŠUB-

si GIM ŠUB-ú ma-am-ma NU IGI-m a rdAMAR.UTU iš-pur-an-ni 99 dÉ-a ú-ma-ʾi-ir-an-ni 3-šú

DU11.GA-ma KEŠDA DU8-ár 100 LÚGI G ana É-šú SI.SÁ-ma ana EGIR-šú NU IGI.BAR, “96Non

appena l'allestimento del sacrificio giunge al termine e l'incensiere ha consumato la sua porzione (di incenso), senza spostare la testa della pecora dalla posizione in cui si trova97rimuovi della lana dalla

sua fronte e strofinala sulla fronte o di una persona impura o di un persona affetta da saḫaršubbû;

98nessuno deve vederti strofinarla. Recita (l. 99) 'Marduk mi ha inviato99Ea me lo ha ordinato' tre volte

e rimuovi l'allestimento del sacrificio.100Il malato ritornerà a casa, senza voltarsi indietro”; cfr Mayer

un testo emerologico viene specificato quanto segue: ana É-šú KU6 šá sa-ḫar-šub-ba-a DIR-ma DADAG-ma ana É-šú ir-ru-bu, “«Se una persona entra nella sua casa» (fa riferimento a un uomo) che era affetto da saḫaršubbû, ma poi si è purificato ed è (quindi) rientrato nella sua casa”.333 Anche in questo passo è attestato il verbo ebēbu (log. DADAG), che non designa una guarigione, ma il ritorno a uno stato di purezza.

A.M. Kitz sottolinea che l'utilizzo in BBSt. 7 di forme negative, quali ā ibbib (l. 17) e lā tēba (l. 16), implichi la curabilità e la transitorietà della condizione.334 Effettivamente, il quadro funesto indicato dalle maledizioni, oltre che dal punto di vista della purezza, si può riconsiderare anche alla luce degli avanzamenti nello studio delle fonti mediche che rivelano attenzioni sia diagnostiche e terapeutiche per la malattia. In

Sakikkû XXXIII è presente una sezione distinta di quattro righe (ll. 71-74); benché

molto frammentaria, si può riconoscere almeno nelle prime due la menzione della

saḫaršubbû. È possibile che alla patologia fosse dedicata l'intera sezione, chiaramente

isolata da righe dalle sezioni precedente e successiva.335 I testi terapeutici forniscono maggiori informazioni e confermano il fatto che la malattia fosse curabile:

5. DIŠ SU NA SAḪAR-ŠUB-bu-u it-tab-ši ina ˹x˺[…]

6. Úṣi-lu SÚD ina UGU LAL-ma [TI?]

7. DIŠ KI.MINÚṣa-rip-ta-nu ina UGU SAR-ár!

EN [U4.BÚ.BÚ.UL ḪÁD.DU-a]

8. ú-kal U4.B Ú . B Ú . UL ta-qàl-lap M U [ N

NA]GA.SI LAL-s[u-ma TI]

5. Se il corpo di una persona è afflitto da

saharšubbû, macina (l. 6) in [...]

6. della pianta ṣilu, applica sulla superficie con una fasciatura, ed (egli si rimetterà?).

7. Se idem, fumiga? della pianta ṣalabtanu sulla

superficie … [ ] tieni (l. 8) finché [( le vesciche

bubūʾtu non si seccano?)],

8. raschia le vesciche bubūʾtu, applica (della pianta qarnānu con?) una fasciatura (ed egli si

rimetterà).

333 Si tratta di un commentario a Iqqur ipuš § 16 (cfr. Labat 1965: 74), MLC 2627 (=BRM IV 24), ii 26- 27 (61); cfr. anche Frahm 2011: 216 e CCP 3.8.1.B. (http://ccp.yale.edu/P297024). Frahm 2011: 39 non ha trovato una spiegazione plausibile per la logica sottostante a questo commento, ma lo ritiene comunque di interesse per le nozioni di malattia e purezza in ambiente mesopotamico; traduzione italiana dell'autrice.

334 Kitz 2004: 317.

335 Sakikkû XXXIII, 71-72: 71[...] [...] È-a SAḪAR.ŠUB.BA [...], 72[...] ˹x˺ ma ga GIM a [...] È-a SUḪUŠ

SAḪAR.ŠUB.BA [...], “71[...] protrude, saḫaršubbû […] 72[...] protrude, 'fondamento' di saḫaršubbû

9. DIŠ KI.MIN ú-pi-zir RI.RI ina UGU S[AR] EN U4.BÚ.BÚ.UL ḪÁD.DU[-a]

10. ú-k[al] U4.BÚ.BÚ.UL ta-[q]àl-lapÚna-ma-nu

LAL-ma T[I]

9. Se idem, fumiga del “verme upizzir volante”336

sulla superficie, tieni (l. 10) finché le vesciche non si seccano,

10. raschia le vescicole bubūʾtu, applica della pianta namānu con una fasciatura, ed egli guarirà.

(BAM I 35, ii 5'-10')337

Il presente estratto testimonia non solo che esistessero delle ricette per saḫaršubbû, ma che fossero previsti diversi trattamenti. Uno di questi prevedeva un'azione diretta sulle vescicole bubuʾtu, una delle manifestazioni di saḫaršubbû: esse vengono trattate tramite fumigazione (per velocizzarne l'assorbimento) e raschiamento (cfr. infra, §§ V.1., vi; VI.2.). La malattia, dunque, si manifestava tramite diversi tipi di lesioni (epqu,

bubuʾtu), alle quali potevano corrispondere distinte patologie.

Da un testo medico di Emar emerge che esistessero varie manifestazioni di

saḫaršubbû: la tavoletta riporta delle ricette per la cura di casi neutri, “visibili” (l. 46:

SAḪAR.ŠUB.BA du-ug-li) o caratterizzati da una varia pigmentazione (bianca: ll. 53- 54; gialla: l. 55; rossa e nera: ll. 56-57; rossa e bianca: ll. 58-59; gialla e rossa: l. 60; rossa, bianca e nera: ll. 61-62, 70-71).338 Altri rimedi vengono menzionati tangenzialmente nel contesto degli archivi di stato neo-assiri (per es., in SAA X, 327). Questi riferimenti terapeutici dimostrano che i medici assiro-babilonesi disponessero di rimedi per la malattia saḫaršubbû e che li ritenessero sufficientemente efficaci per alleviare il dolore del paziente e curarlo.

Sebbene le fonti attestino la transitorietà degli stati di malattia e impurità legati a

saḫaršubbû, la caratterizzazione che emerge maggiormente è quella di un vero e proprio

flagello divino. Che il destino delle persone malate di saḫaršubbû fosse penoso emerge anche dal racconto sumerico di Bilgameš e l'Aldilà. In questa narrazione l'eroe di Uruk si informa col compagno Enkidu, intrappolato nell'Aldilà, sul destino degli uomini dopo la morte in base a determinati aspetti che hanno caratterizzato la loro vita. Il seguente passo, che propone i medesimi motivi topici, riporta quella che doveva rappresentare un'opinione condivisa sul destino ultraterreno dei malati di saḫaršubbû:

336 Contra Köcher 1986: 31-32, n. 32, dove si offre la letturaÚpi-zir “pianta pizzir”; cfr. Scurlock 1995:

95.

337 Köcher 1986: 31.

285. lú SAḪAR.ŠUB.BA igi bí-du8- à m

igi bí-du-am a-na-gin7 an-ak

286. gu d- g i n7 al-buluĝ5 uḫ im-da-gu7- e

286a. ú-ni al-bar a-ni al-bar ú gíd al-gu7-

e a-šeš al-na8- n a8 uru bar-ra-a al-tuš

285. «Hai visto l'uomo affetto da saḫaršubbû?» «L'ho visto» «Come sta?»

286. «si contorce (lett. si gonfia) come un bue, mentre i pidocchi lo divorano»

286a. «Il suo cibo è messo da parte, le sue bevande sono messe da parte, mangia piante estirpate, vive fuori dalla città».

(Bilgameš e l'Aldilà, 285-286a)339

Il caso dei morti affetti da saḫaršubbû si sottrae alla logica del contrappasso che caratterizza il destino nell'Aldilà di altre categorie di defunti. Per loro non si registrano significativi cambiamenti nella loro vita dopo la morte: le pessime condizioni di vita da vivi, nell'immaginario collettivo, non trovavano sollievo con la morte, ma caratterizzavano anche la loro vita nell'Aldilà. Saḫaršubbû, dunque, si configura come una punizione divina non soltanto per l'essere incurabile in vita, ma anche per non estinguersi con la morte: il dolore e la consunzione del corpo procedono (l. 286), come anche l'isolamento e la vita in confino (l. 286a).340

Nel passo risultano tratteggiati anche il motivo dell'esclusione dalla comunità e dalla stessa società. Se il dato della vita in confino risulta chiaro dalla menzione di cibo e bevande distanti e della vita al di fuori della città,341 la menzione delle piante estirpate come nutrimento accentua il dato di un ritorno a una vita primordiale, caratterizzata dall'assenza di usi propri della comunità civile. La menzione dell'ingestione di piante