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CAPITOLO II. UN TENTATIVO DI ASSIOMATIZZAZIONE DELLA TEOLOGIA: LE R EGULAE CAELESTIS

10. La psicomachia e la vittoria finale dell’uomo nuovo

Venuta a conoscenza tramite la Fama delle virtù dell’uomo nuovo, la furia Aletto convoca intorno a sé tutti i Vizi (Vitia), affinché cospirino contro la nuova creatura. Nel corteo di coloro che intendono muovere guerra allo Iuvenis si schierano Livore (Livor), Rabbia (Rabies), Follia (Furor), Ira (Ira), Terrore (Pallor), Danno (Damnum), Impeto (Impetus), Disprezzo (Despectus), Difetto (Defectus), Dolore (Dolor), Pallore (Pallor), Distruzione (Caedes), Malattia (Morbus), Tedio (Taedium), Errore (Lapus), Indolenza (Languor),

85 Cf. ibid., 556B-557C, pp. 166-169, 329-404. 86

Cf. BOEZIO,De consolatione Philosophiae, II, 1, 662A, ed. C. Moreschini cit. (cap. I, nota 3), p. 30, 55-59: «Fortunae te regendum dedisti: dominae moribus oportet obtemperes. Tu vero volventis rotae impetum retinere conaris? At, omnium mortalium stolidissime, si manere incipit, fors esse desistit».

Tristezza (Tristitia), Lussuria (Luxuries), Eccesso (Excessus) e Morte (Mors). A fomentare l’odio verso il giovane contribuiscono Ebbrezza (Ebrietas), Orgoglio (Fastus), Presunzione (Iactantia), Crapula (Crapula) e Lusso (Luxus), mentre a Voluttà (Voluptas), Reato (Reatus) e Malevolenza (Velle malum) è affidato il compito di preparare le armi. Accorrono anche Chiacchiera (Garritus), Futilità (Nugae), Apatia (Ignavia), Ozio (Otium), Sonno (Somnus), laddove nell’accampamento di Empietà (Impietas) dimorano Frode (Fraus), Violenza (Violentia), Ingiustizia (Nequitia) e Strage (Strages). Mentre Regna il Caos, le Furie imperversano nel campo di battaglia e persino Cerbero ha moltiplicato le sue teste. Nonostante tale dispiegamento di forze contrarie, Natura rimane salda e non si lascia irretire dalla paura, anzi si adopera affinché l’homo coelestis sia armato di tutto punto dal corteo delle Virtù, e in particolare dell’elmo di Saggezza, della corazza di Pietà, dei dardi della vera Fides e della spada di Ragione88. Quando i due eserciti sono ormai schierati, la battaglia ha inizio e diviene il riflesso esteriore di una psicomachia che si combatte interiormente in uno scontro ancora più violento.

Il primo assalto viene intrapreso da Discordia che scaglia contro il giovane numerosi dardi, che lo Iuvenis respinge prontamente prima di passare al contrattacco e ucciderla. Con lei cadono tutti i suoi alleati, ossia Follia, Odio (Odium), Lite (Lis), Ira, Rabbia, Timore (Timor), mentre le Virtù dell’uomo nuovo combattono corpo a corpo contro i corrispettivi Vizi. Il secondo assalto viene compiuto da Povertà (Paupertas) che, sostenuta da Fame (Esuries), Sete (Sitis), Digiuno (Ieiunium), Fatica (Labor) e Affanni (Curae), cerca di far cadere il giovane, ma anch’ella viene sconfitta. Mediante un raffinato gioco linguistico, («Paupertas proprium moriens depauperat agmen»), Alano evidenzia come l’esercito dei Vizi appaia ulteriormente impoverito dopo la morte di Povertà. Animata dallo spirito di vendetta

per la perdita dei propri compagni, Infamia accompagna con parole ingiuriose e con la spada il proprio attacco, che si conclude comunque con la sconfitta. Sospinta dal furore, Vecchiaia (Senectus) si scaglia contro il giovane, ma naturalmente senza arrecargli alcun danno. Impietosito dalla sua scarsa agilità, lo Iuvenis non le dona la morte che avrebbe desiderato e impone piuttosto alla Vecchiaia, attraverso un discorso, di continuare a vivere, per cui ella abbandona fuggendo il campo di battaglia. Subentrano perciò dapprima le Lacrime (Lacrimae), Pianto (Fletus) e Lutto (Luctus), poi la dea Venere che è l’unica capace di infondere nell’uomo nuovo un certo timore per la violenza dei suoi colpi. Alla fine però anche Venere viene colpita da una saetta e muore. Poiché la Vittoria combatte con l’esercito delle Virtù, Eccesso, Superbia (Fastus), Pena (Pena) e Lusso cadono rispettivamente sotto i colpi di Moderazione (Moderantia), Ragione, Tolleranza (Tolerantia) e Sobrietà (Sobrietas). Le tentazioni vengono messe fuori combattimento dalla Ragione, Saggezza sconfigge Stoltezza (Stultitia), mentre gli attacchi di Empietà sono contrastati dalle preghiere e dalla spada di Pietà. Frode tenta ancora di irretire il giovane, ma le sue menzogne vengono smascherate da Fedeltà, mentre i colpi dell’Avarizia (Avaritia) vengono sventati da Generosità. Alla fine l’esercito dei Vizi è sconfitto, per cui il trionfo delle Virtù incarnate nell’homo novus viene celebrato come una rinascita dell’Età dell’Oro89

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Pugna cadit, cedit iuveni Victoria, surgit Virtus, succumbit Vitium, Natura triumphat, regnat Amor, nusquam Discordia, Foedus ubique. Nam regnum mundi legum moderatur habenis ille beatus homo, quem non lascivia frangit, non superat fastus, facinus non inquinat, urget luxuriae stimulus, fraudis non inficit error. (...) Iam coelo contendit humus, iam terra nitorem induit aethereum, iam terram vestit Olympus90.

Lo Iuvenis può garantire il ripristino del rectus ordo voluto dal Creatore, proprio perché egli

89 Cf. ibid., IX, 566C-574A, pp. 185-196, 1-383. 90 Ibid., 574A-B, p. 196, 384-390, 394-395.

stesso ha conseguito la perfezione in prima persona, vincendo ogni vizio e attuando in sé pienamente ogni virtus ricevuta dalla Provvidenza divina. L’opera della Natura si è dunque degnamente compiuta nella beatitudine dell’uomo nuovo: egli costituisce non soltanto un segno profetico dei tempi futuri e dunque un exemplum da additare agli altri uomini, ma addirittura, in maniera conforme allo schema classico della tradizione antica, l’incarnazione di ogni bene che apre un tempo di pace e di giustizia, in cui la terra assume lo stesso splendore delle realtà celesti. Un segno concreto che inaugura quest’età felice per il cosmo, assimilabile alla condizione del creato antecedente il peccato, è rappresentato dalla generazione spontanea dei frutti da parte degli alberi.

Sotto il profilo politico l’Anticlaudianus rappresenterebbe pertanto l’unico testo del XII secolo che fonda l’ordine sociale ideale non più sulla sola sovranità o su un corpus di leggi, quanto piuttosto sulla fiducia in un consensus virtuoso dell’umanità nel bene comune che l’uomo nuovo è venuto a istituire91. Lungi dall’aspirare a una forma utopica di Stato

ideale, il filosofo di Lilla sembra piuttosto alludere a una societas plasmata dal messaggio evangelico che riconosca nell’osservanza della legge naturale e nell’imprescindibilità di determinati valori etici gli elementi fondanti di un agire personale e sociale secondo giustizia, perché conforme alla volontà del Creatore, unico vero bene di tutti e di ciascuno.

Nella conclusione del poema Alano difende nuovamente l’opera ormai terminata dalle accuse dei suoi detrattori, come aveva già fatto nel prologo, con la consapevolezza di aver raggiunto l’obiettivo prefissatosi: delineare l’archetipo di un’umanità rinnovata, un modello di

itinerarium mentis in Deum degno di essere emulato da chiunque desideri intraprendere quella via perfectionis che ha nell’integrazione di artes e scienza teologica il suo metodo e nel

91 Cf. J.-C.P

AYEN, L’utopie du contrat social dans l’«Anticlaudianus», in Alain de Lille, Gautier de Châtillon cit. (cap. I, nota 43), [pp. 125-134], in partic. p. 131.

conseguimento della beatitudine eterna la sua felice meta92.