CAPITOLO II. UN TENTATIVO DI ASSIOMATIZZAZIONE DELLA TEOLOGIA: LE R EGULAE CAELESTIS
6. Saggezza attraversa i cieli: l’incontro con Teologia
Salutato il corteo delle arti liberali, il carro guidato da Ragione si libra nell’aria e incomincia a scrutare ogni singolo elemento che incontra nel suo iter, interrogandosi sulla natura dell’aria e delle nubi, del fuoco e dei fulmini, del vento, della pioggia. Nel suo viaggio Ragione rimane particolarmente colpita sia dalla capacità di volare degli uccelli che dalla presenza degli spiriti demoniaci che abitano l’aria, i quali decisero di spogliarsi di quella luce divina di cui erano rivestiti, preferendo le tenebre al loro Creatore. Rifiutando il sostegno della grazia divina, Lucifero, l’angelo ribelle il cui nome indica Venere come la stella più luminosa del firmamento, decadde irrimediabilmente dalla propria condizione in un doloroso esilio eterno che esclude ogni possibilità di redenzione50.
Hoc casu fit gemma lutum, fit purpura saccus, lux tenebrae, species confusio, gloria casus, risus tristities, requies labor, alga iacinctus. Coelestis sic stella cadit, sic Lucifer, ortus nescius, occasu premitur, sic civis Olimpi exulat eiectus nec temperat exulis omen. Spes reditus, spes omnis abest ceditque timori51.
La caduta del diavolo genera significative conseguenze anche sulla sorte degli uomini. Sulla
50 Cf. AnCl, ibid., 524A-525C, pp. 113-115, 213-299. L’idea dell’aria come abitazione dei demoni è ripresa da
GUGLIELMO DI CONCHES,Philosophia mundi, I, 20, ed. G. Maurach, Pretoria 1974, p. 17, 199-207. 51 AnCl, ibid., 525C, pp. 115-116, 300-306.
scia dell’angelo ribelle l’uomo viene indotto a trasgredire i comandi divini e, nel tentativo illusorio di superare i propri limiti, rimane invece vittima del proprio orgoglio:
Extra se cogit hominem se quaerere, de se exit homo, factusque sibi contrarius a se discrepat oblitusque sui se nescit et ultra transgrediens evadit adhuc, plus esse laborans quam sit, nec propria contentus origine, sese esse cupit maior et se superare laborat;
quod petit amitens, perdens quod postulat, optans quod sibi mentitur, falsum venatur honorem52.
Ascendendo attraverso l’etere, Saggezza ode una dolce melodia prodotta dalle sfere celesti che diventa sempre più soave nei cieli superiori. Così ella attraversa dapprima il cielo della Luna, poi quello del Sole, che le offre l’occasione per riflettere sulla fondamentale importanza dei suoi movimenti e della luce per la nascita della vita sui diversi pianeti. Di qui Prudentia passa tra Venere e Mercurio, ritenuti particolarmente vicini secondo la cosmologia dell’epoca; avanza poi nel palazzo infuocato di Marte e tra i fuochi innocui di Giove, che preannuncia con la sua serenità e la sua pace la salvezza del mondo. Con la sua influenza benefica Giove tiene a freno gli impeti violenti di Marte. Giungendo nel cielo di Saturno, Saggezza sperimenta invece un’atmosfera gelida prodotta dalla lontananza del pianeta dal sole, che genera a sua volta il pallore, i gemiti, la tristezza e il pianto che regnano in questo cielo53. Nel cielo delle stelle fisse ella osserva le dodici costellazioni zodiacali emanare una luce così intensa che i suoi occhi non riescono a trattenere a lungo lo sguardo su di esse. Questa luce accecante disorienta i passi di chi accede a tale cielo, per cui la Ragione è costretta ad arrendersi dinanzi al rifiuto dei cavalli di proseguire oltre. Abbandonata anche dal sostegno dei cinque sensi che l’avevano accompagnata sin lì, Saggezza comprende di aver bisogno necessariamente di una
52 Ibid., 525D-526A, p. 116, 316-323.
guida che possa condurla per quei luoghi reconditi senza perdersi54. Ed ecco che appare improvvisamente una giovane fanciulla interamente protesa verso la realtà divina quanto incurante delle realtà mondane, che considera il Creatore come il principio e il fine di tutte le cose:
Ecce puella poli residens in culmine, coelum despiciens, sursum delegans lumina, quiddam extramundanum toto cognamine visus
vestigans, nil corporeum venata sed ultra transcendens, incorporei scrutata latentem causam, principium rerum finemque requirens, visibus offertur Phronesis, visumque nitore luminis offendens, mentem novitate relaxat. (...) Nil terrestre gerens facie, nil ore caducum insinuans, mortale nihil genitumque puellae demonstrat facies, tantum coeleste quod offert forma puellaris. Hanc argumenta decoris
esse deam monstrant, instantia nulla refellit
quod decor ipse probat faciesque simillima coelo55.
La Teologia risplende della stessa dignità regale di Dio: ella viene presentata con un diadema impreziosito di gemme sul capo, con uno scettro nella mano sinistra e un libro nella destra. Il suo sguardo si posa però più sul libro che non sullo scettro, segno di una magnanimità che non desidera esercitare in modo tirannico il proprio potere56. Questa donna indossa inoltre una veste intessuta con fili d’oro e d’argento, sulla quale sono raffigurati i misteriosi disegni di Dio mediante immagini che mostrano ciò che il linguaggio non riesce a esprimere:
Hic arcana Dei, divinae mentis abyssum subtilis describit acus formaque figurat
informem, locat immensum monstratque latentem. Incircumscriptum describit, visibus offert
invisum, quod lingua nequit, pictura fatetur: quomodo Naturae subiectus sermo stupescit, dum temptat divina loqui, viresque loquendi perdit et ad veterem cupit ille recurrere sensum, mutescuntque soni, vix balbutire valentes,
54 Cf. ibid., V, 529A-530D, pp. 123-125, 1-82. 55 Ibid., 530D-531B, pp. 125-126, 83-90, 95-100. 56 Cf. ibid., 531B, p. 126, 101-113.
deque suo sensu deponunt verba querelam; qualiter ipse Deus in se capit omnia rerum
nomina, quae non ipsa Dei natura recusat,
cuncta tamen, mediante tropo, dictante figura concipit et voces puras sine rebus adoptat.
Ens iustum sine iustitia, vivens sine vita, principium sine principio, finis sine fine, immensus sine mensura, sine robore fortis,
absque vigore potens, sine motu cuncta gubernans, absque loco loca cuncta replens, sine tempore durans, absque situ residens, habitus ignarus habendo
cuncta simul, sine voce loquens, sine pace quietus,
absque novo splendore nitens, sine luce coruscans57.
La veste di Teologia descrive in modo figurato la dottrina della translatio nominum secondo la quale ogni termine, se riferito al Creatore, deve necessariamente essere considerato al di là delle capacità semantiche proprie che assume in ambito naturale. In un contesto teologico anche le stesse categorie aristoteliche si rivelano incapaci di definire la realtà divina, che esula da ogni forma di comprensione e di significazione. L’essenza divina infatti non presenta alcuna compositio, per cui non si può predicare una qualitas inerente alla sua sostanza, in quanto ciascun predicato s’identifica perfettamente con la sua natura. Per questo motivo la scienza teologica non costituisce una sorta di deificatio delle arti liberali; anzi nel solco della tradizione pseudodionisiana, il filosofo di Lilla privilegia il metodo della teologia negativa, che egli considera sicuramente più adeguato alla superessenzialità della sostanza divina, nella misura in cui è in grado di sfruttare la vis negatrice di ogni attribuzione, che può dirsi soltanto impropriamente della natura del Creatore58. Per parlare di Dio le artes non sono sufficienti, ecco perché è preferibile individuare i nuovi significati mediante un approccio più noetico che dianoetico nei confronti di tale subiectum59. Sulla vesta di Teologia è rappresentato in maniera mirabile lo stesso mistero trinitario, l’unità della sostanza divina e la trinità delle persone che
57 Ibid., 531C-D, pp. 126-127, 114-135. 58
L’ipotesi di un sapere teologico inteso come deificatio delle artes è stata avanzata da G.R.EVANS, Alan of
Lille. The Frontiers of Theology in the Later Twelfth Century, Cambridge 1983, in partic. p. 62 e pp. 78-79. 59 Cf. D.S
CHIOPPETTO, Dal laboratorio delle arti: la nuova organizzazione del sapere e il pensiero teologico, in
è l’oggetto per antonomasia di tale sapere:
Hic legitur tamen obscure tenuique figura qualiter una, manens, simplex, aeterna, potestas,
fons, splendor, species, via, virtus, finis, origo,
ingenitus genior, vivens Deus, unicus auctor,
unus in usia, personis trinus, in uno
unicus esse manet, quem trina relatio trinum reddit et in trino manet unus, trinus in uno.
Qua ratione Patris speculum, lux, splendor, imago,
Filius est a Patre Deo Deus unus et idem,
principium de principio, de lumine lumen, sol de sole micans, splendor productus ab igne, a simili similis, a vero verus, ab uno
unus, ab aeterno nascens aeternus, ab aequo aequalis, bonus a summo, sublimis ab alto; qualiter ardor, amor, concordia, forma duorum
Spiritus est, in quo proprie Pater oscula proli donat et in nato sese Pater invenit, in quo
se videt ipse parens, dum de se nascitur ipse alter et ingenito splendet gignentis imago60.
Il mysterium Trinitatis espresso in forma poetica sublima la profondità del contenuto teologico esplicitato nei versi, in cui sono enucleati i principali termini della relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Padre è una sostanza semplice, eterna, il principio e il fine di tutto ciò che esiste; il Figlio, della stessa sostanza del Padre, è l’immagine e lo specchio dell’essenza del Padre e lo splendore della sua luce; mentre lo Spirito Santo è l’amore nel quale il Padre genera il Figlio ed è amato dal Figlio.
La Teologia conosce i propri contenuti attingendoli direttamente alla fonte divina, evitando così ogni mediazione offerta dalle realtà sensibili. Allo stesso modo l’intellectus del teologo viene sospinto a elevarsi sino all’Intelletto divino al fine di ricevere la verità tramite un’illuminazione diretta da parte del Verbo di Dio, che è il pensiero eterno e immutabile del Padre mediante il quale il Creatore ha parlato e ancora si comunica agli uomini:
60 AnCl, V, 532A-B, pp. 127-128, 147-154. Per lo speculum e l’imago il riferimento biblico è a Sap 7, 26.
L’espressione lumen de lumine viene ripresa da AGOSTINO,De Trinitate cit., XV, 14, 23 [PL 42, 1076], II, p.
496, 1-4: «Verbum ergo dei patris unigenitus filius per omnia patri similis et aequalis, deus de deo, lumen de lumine, sapientia de sapientia, essentia de essentia, est hoc omnino quod pater, non tamen pater quia iste filius, ille pater».
Cultibus hiis afflata poli regina caduca deserit atque Dei secretum consulit, haeret divinis, mentem terrenis exuit, ipsam haurit mente Noym (...)61.
Una volta raccolte le proprie idee, la Saggezza si rivolge alla «regina poli, coeli dea, filia summi / artificis» con un atteggiamento umile e sommesso, palesando apertamente il proprio disorientamento. Nonostante il timore reverenziale nei suoi confronti, Phronesis illustra alla Teologia il progetto di Natura, spiegandole il motivo del suo faticoso viaggio nelle regioni celesti: chiedere a Dio di dar forma a un uomo perfetto, in cui si attui pienamente ogni virtù e mediante il quale la Natura possa riscattare i propri errori passati. Alla supplica di Saggezza la Teologia si offre di guidarla personalmente alla dimora di Dio, intimandole però di lasciare lì il suo carro sotto la guida di Ragione, la quale comunque non sarebbe stata in grado di proseguire oltre con le proprie forze. Tuttavia la Teologia concede alla Saggezza solo il secondo cavallo, perché possa procedere in maniera più spedita al suo seguito proprio grazie all’uso dell’udito, l’unico senso capace di ascendere fino al Creatore in quanto rimanda all’ascolto attento della Parola di Dio62
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