CAPITOLO II. UN TENTATIVO DI ASSIOMATIZZAZIONE DELLA TEOLOGIA: LE R EGULAE CAELESTIS
7. Le regole filosofiche (CXVI-CXXXIV)
È particolarmente significativo constatare che Alano introduce le regole di filosofia naturale alla fine degli assiomi di teologia sacramentaria. Nelle ultime righe del commento alla regola CXV egli accenna alla necessità di considerare anche alcune fondamentali massime filosofiche che non contrastino con il sapere teologico o siano comuni a esso, avvertendo il lettore che ciascuna di queste regole assume una valenza differente, a seconda se viene ripresa
40 Cf. RTh, CX-CXV, 679C-681C, pp. 213-217. Sulla metafora del naufragio e delle due zattere in relazione al
in theologicis o in naturalibus. Oltre a tale presupposto metodologico, è utile notare inoltre
che il filosofo di Lilla non deduce sempre necessariamente una regola dall’altra, la successiva dalla precedente, ma talvolta sembra presupporre ulteriori massime sottese alla sua argomentazione, non esplicitate forse perché facenti parte, nella loro autoevidenza, del bagaglio comune di conoscenze del teologo. A conferma di quanto suddetto si colloca anche un altro dato: Alano non evidenzia alcun legame deduttivo sussistente tra le regole che vanno dalla CXVI alla CXXXIV. Un esempio di questo modo di procedere è offerto dal commento alla regola CXVI, introdotta ex abrupto e sciolta da ogni concatenazione alle regole precedenti. È sufficiente infatti la ripresa della sola auctoritas di Ilario per approfondire l’assioma secondo il quale ogni enunciato dipende necessariamente da una causa senza la quale risulterebbe privo di senso logico, anche se tale regola presuppone un altro assioma, di per sé evidente e dato già per acquisito dal maestro di Lilla, per il quale ogni cosa viene detta in base a una causa. La regola CXVII stabilisce che ogni enunciato differisce dalla propria causa. Tale principio è applicabile sul piano delle realtà naturali, ove «aliud homo, aliud humanitas», ma non in ambito teologico, in quanto non è possibile distinguere la deitas dal Creatore, l’essenza divina dalla sua esistenza. La regola CXVIII sottolinea che una causa viene generalmente detta in maniera diversa da come è esposta. Ogni causa viene ‘detta’ nella misura in cui si considera l’effetto che produce, mentre viene ‘esposta’ allorquando mostri ciò che essa è in se stessa. Tale assioma risulta pertanto comune sia alla filosofia che alla teologia, come la regola CXIX, la quale afferma che la causa di un enunciato è diversa dall’oggetto cui si riferiscono l’enunciato e la causa. Come nelle realtà naturali il colore che rende un corpo colorato è differente dalla colorazione stessa, così in ambito teologico Dio viene detto giusto a parte hominis per la giustizia che realizza come effetto della sua natura e che rende giusto ogni uomo, ma è anche giusto in sé in virtù della sua stessa giustizia. La
regola CXX distingue le cause intrinseche da quelle estrinseche. Se la causa intrinseca è quella per mezzo della quale un effetto è o è qualcosa di determinato, come il corpo che è tale in virtù della corporeità; la causa estrinseca è invece quella per cui non si dà un effetto, né un qualcosa di determinato senza fare riferimento a un fattore esterno a essa, come nel caso della paternità. In ambito teologico tali cause coincidono, poiché in Dio essere e esser buono sono il medesimo. L’assioma CXXI specifica che vi sono cause per sé in quanto non sono in relazione con nessun’altra realtà e cause in rapporto ad altro, le quali sono evidentemente in comparazione con un’altra res. La regola CXXII distingue le cause prime dalle cause seconde. Se una causa prima non dipende da altre cause che la precedano eccetto se medesima, come quella per la quale Dio è Dio e l’uomo è uomo, una causa seconda deve far riferimento necessariamente a una causa prima che la preceda e renda conto di essa, come la facoltà di ridere per l’uomo, o in divinis, quella per cui il Padre è padre. La causa prima è dunque o la
natura subsistentis o una sua proprietas (regola CXXIII). In ambito teologico l’applicazione
di tale assioma individua nella divinità la natura del soggetto e in ciò per cui le tre persone divine sono le proprietà personali del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che distinguono Dio da ogni altro soggetto. La causa seconda è relativa piuttosto o alla natura del soggetto o a una sua proprietà (regola CXXIV). È possibile inoltre rintracciare la sola causa di un enunciato relativa a tutte le cause di ciò che è enunciato nell’unità, come quella che lega l’esser uomo di Socrate a Socrate (regola CXXV). Soltanto due cause, la qualità specifica e quella che inerisce a un sostrato, sono sottratte a tale ricomprensione nell’unità come causa suprema di ogni enunciato. La regola CXXVI, secondo la quale ogni causa essendi è composta di parti o di effetti della propria ratio, appartiene esclusivamente alla filosofia e non alla teologia. Infatti le cause sostanziali delle realtà naturali sono principalmente i generi e le specie, scomponibili in parti nella loro definizione sulla base della differenza specifica,
mentre le definizioni delle cause accidentali sono suddivisibili in diverse parti secondo i loro effetti. La definizione dell’essenza divina risulta invece assolutamente semplice e perciò non definibile. L’assioma CXXVII stabilisce che due res sono identiche o differiscono secondo la natura o secondo la proprietà. Ciò accade nel mondo naturale, ma non si verifica in ambito teologico, dove ogni distinzione in Dio può avvenire soltanto secondo la proprietà delle tre persone, data l’assoluta simplicitas del Creatore. La regola CXXVIII afferma che tutto ciò che è identico lo è o per natura o per proprietà. Riprendendo la teoria della conformitas di matrice porretana, Alano mostra che due uomini condividono l’identità per natura sul piano della conformità e non su quello della singolarità, in quanto partecipano entrambi dell’idea di umanità che li rende tali, laddove al contrario l’identitas singularitatis è propria della natura trinitaria. Allo stesso modo a un’identità di proprietà facilmente riscontrabile tra due individui corrisponde una singolarità di proprietà tra le tre persone divine. Se l’identità di genere o di natura consiste nella conformità, allora soltanto nella similitudo tra nature è possibile rinvenire una certa conformità (regola CXXIX). Per questo motivo l’assioma CXXX chiarisce che la conformità è una piena somiglianza sussistente tra nature singolari. La diversità è invece o solo di singolarità, come nel caso di quella riscontrabile tra Socrate e Platone, o di dissomiglianza, quale quella sussistente tra un uomo e un asino (regola CXXXI). Come per l’identità, così anche la diversità di dissomiglianza è o di natura o di proprietà. Se dunque tra Socrate e Platone si ha una diversità di dissomiglianza di proprietà, tra un asino e un uomo si ha evidentemente una diversità di dissomiglianza di natura (regola CXXXII). L’assioma CXXXIII precisa ulteriormente che l’applicazione di tali concetti sul piano delle realtà naturali non si verifica ugualmente sul versante teologico, dal momento che in Dio non sussiste alcuna diversità di singolarità, né di dissomiglianza di nature. Ogni soggetto può esser diverso da un altro per dissimilitudo naturae o per dissimilitudo proprietatis (regola
CXXXIV). Il maestro di Lilla allude alla prima forma di diversità con il termine aliud, alla seconda con alius. Per quanto tali termini possano essere riferiti in maniera impropria rispettivamente anche alla divinità e a Dio, egli ribadisce che Deus e deitas si coappartengono reciprocamente in quanto Dio non è diverso dalla divinità41.
Poiché queste ultime nove regole dell’opera, dalla CXXVI alla CXXXIV, sono
41 Cf. RTh, CXV-CXXXIV, 681C-684C, pp. 217-226. La regola CXVI viene approfondita a partire dall’autorità
di ILARIO DI POITIERS, De Trinitate, IV, 14 [PL 10, 107C], ed. P. Smulders cit. (cap. I, nota 42), vol. I, p. 116, 26-27: «Intelligentia enim dictorum ex causis est adsumenda dicendi». Le regole CXVI-CXXXIV e alcuni commenti a esse sono riprese quasi testualmente tra le Sententiae attribuibili al magister Pietro di Poitiers e raccolte nella Summa Zwettlensis (d’ora in poi semplicemente: Summa Zwettl.), I, 18-21 (I-XXXIV), ed. N. M. Häring, Die Zwettler Somme, in «Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mittelalters – Neue Folge», 15 (1977), [pp. 25-215], pp. 30-34. La regola CXVI è ripresa dalla Summa Zwettl., I, 18 (I), p. 30: «Omne namque dictum usque adeo a causa est ut, si causa non fuerit, ipsum quidem vacuum sit»; la regola CXVII riprende ibid., (II), p. 30: «Aliud itaque dictum est, aliud dicendi causa: veluti cum hoc corpus dicatur album, causa dicendi albedo est»; l’incipit del commento alla regola CXVIII riprende ibid., (III), p. 30: «Causa namque tunc dicitur cum quid ipsius res ab ea sit ostenditur ut homo est bonus. Tunc vero causa exponitur quando quid ipsa sit aperitur ut: quo bonum est, est bonitas. Bonitate namque bonum est»; la regola CXIX riprende ibid., (IV), p. 30: «Item diversa est causa dicendi a re cuius est et dictum et causa. Aliud namque est color, aliud coloratum»; l’inizio del commento alla regola CXX riprende ibid., (VI-VIII), p. 31: «Item causa dicendi alia intrinseca, alia extrinseca. Intrinseca causa dicendi est per quam res cuius est vel est aliquid velut corporalitate et color lapis est corpus et est aliquid i. e. coloratus. Extrinseca vero dicendi causa est per quam res cuius est nec est nec est aliquid sed aliquo modo se habet ad aliquid aliud extra se ut paternitas per quam qui est pater nec est nec est aliquid sed habet extra se aliquid quod nec pater nec paternitas est i. e. filium»; l’inizio del commento alla regola CXXI riprende ibid., (IX-XI), p. 31: «Item causa dicendi alia per se dicitur, alia ad aliud. Causa dicendi per se est que nullius dicitur conparatione ut albus. Ad aliud vero causa dicti dicitur que alterius dicitur conparatione ut dominus»; l’incipit del commento alla regola CXXII riprende ibid., (XII-XIV), p. 31: «Item causa dicendi alia prima, alia secunda. Causa dicendi prima est que pre se nullam habet causam ad quam pertineat velut illa qua homo est homo. Causa dicendi secunda est que pre se aliam habet propter quam inest et cuius addicta est potestati velut illa secundum quam qui homo est est risibilis»; l’inizio del commento alla regola CXXIII riprende ibid., (XV-XVII), pp. 31-32: «Prima itaque dicti causa aut natura est subsistentis aut proprietas eius. Natura subsistentis est qua ipsius subsistens subsistit velut illa qua homo homo est. Proprietas vero subsistentis est qua subsistens a ceteris omnibus est discretus velut illa qua Plato est Plato»; l’inizio del commento alla regola CXXIV riprende ibid., (XVIII-XX), p. 32: «Item secunda dicendi causa alia pertinet ad naturam, alia ad proprietatem. Ad naturam vero pertinet omnis dicendi causa quaecumque propter subsistentis essentiam dicitur de subsistente velut illa qua homo est risibilis vel de ipsa essentia ut homo est species. Ad proprietatem vero pertinet quaecumque vel propter proprietatem dicitur de subsistente proprietatis ut Plato est persona vel de ipsa proprietate ut Plato est individuum»; la regola CXXV riprende ibid., (XXI), p. 32: «Item una secunda dicendi causa est que ad omnem pertinet dicti causam i. e. unitas»; la regola CXXVI riprende ibid., (XXII), p. 32: «Item omnis dicendi causa partibus sue rationis vel effectibus est conposita»; la regola CXXVII riprende ibid., (XXIII), p. 32: «Omnis diversitas atque idemptitas secundum naturam est aut secundum proprietatem»; la regola CXXVIII riprende ibid., (XXV), p. 32: «Quecumque idem sunt, aut natura idem sunt ut Socrates et Plato quia sunt homines aut proprietate ut Tullius et Cicero»; la regola CXXIX riprende ibid., (XXVI), p. 33: «Item idemptitas nature vel generis in conformitate consistit»; l’inizio del commento alla regola CXXX riprende ibid., (XXVII), p. 33: «Conformitas autem naturarum singularium est plena similitudo qualiter Socrates et Plato dicuntur naturaliter similes singularibus suis humanitatibus eos similiter conformantibus»; la regola CXXXI riprende ibid., (XXVIII), p. 33: «Item diversitas aut singularitatis tantum est aut etiam dissimilitudinis»; la regola CXXXII riprende ibid., (XXIX), p. 33: «Diversitas dissimilitudinis aut nature est aut proprietatis»; la regola CXXXIII non viene ripresa dalla Summa Zwettlensis; la regola CXXXIV riprende la
Summa Zwettl., I, 18 (XXXIV), p. 33: «Item omnis subsistens dissimilitudine nature est aliud et dissimilitudine
proprietatis est alius», mentre il commento della regola CXXXIV, 2-4, pp. 225-226 è ripreso testualmente dalla
confinate entro l’ambito esclusivo della filosofia naturale, sembra quasi che Alano si sforzi di costruire attraverso tali massime una scienza metafisica ante litteram, gettandone le fondamenta epistemologiche prima della definizione del suo statuto42.
Nel rintracciare gli assiomi capaci di fondare scientificamente la conoscenza universale, Alano provvede così a costruire l’edificio della sapientia sia sul piano metafisico che su quello più strettamente teologico. Se infatti da un lato sul piano formale e metodologico quest’opera costituisce un tentativo di topica teologica fondato su una sorta d’inventario di verità autoevidenti al communis sensus teologico, sulla scia della tradizione boeziana e porretana, ma anche del Liber de causis e della logica aristotelica; dall’altro sul piano contenutistico essa risente certamente dell’influenza del neoplatonismo cristiano dallo pseudo-Dionigi al Libro dei XXIV filosofi43.
Nelle Regulae i contenuti della fede e i dati della ragione vengono dunque integrati «in un processo ideale di categorie assolute e di principi metafisici dal quale dipende la forza indiscutibile di una ‘veritas’ che s’impone ad ogni mente ‘illuminata’»44
. Per questo motivo «le massime di Alano hanno fornito un arsenale di assiomi ai teologi del Tardo Medioevo ed hanno contribuito, più di ogni altra cosa, alla trasformazione dell’antica scienza sacra (sacra
pagina) in un’autentica ‘scienza teologica’ operata all’inizio del XIII secolo. Attraverso l’utilizzazione massiccia dell’ontologia aristotelico-boeziana, attraverso la generalizzazione dell’impiego della logica e della grammatica in teologia, attraverso l’approfondimento della riflessione sulla ‘traslazione’ (translatio) del linguaggio categoriale in divinis iniziata da
42
Cf. G. D’ONOFRIO,Quando la metafisica non c’era. Vera philosophia nell’Occidente latino ‘pre-aristotelico’, in Metaphysica – sapientia – scientia divina. Soggetto e statuto della filosofia prima nel Medioevo, Atti del Convegno della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (Bari, 9-12 giugno 2004), a c. di P. Porro, Turnhout – Bari 2005, pp. 103-144.
43
Cf. M.GRABMANN, Storia del metodo scolastico, cit. (cap. IV, nota 3), in partic. p. 555.
44 C.V
ASOLI, Tentativi di teologie “assiomatiche” nel tardo XII secolo, in L’Europa dei secoli XI e XII fra
novità e tradizione: sviluppi di una cultura. Atti della decima Settimana internazionale di studio (Mendola, 25-
Giovanni Scoto Eriugena, Alano di Lilla ha affermato la specificità del pensiero medievale di lingua latina prima dell’arrivo delle fonti arabe (Avicenna, Averroè). La sua opera è la suprema testimonianza della tradizione boeziana della filosofia greca, l’ultimo prodotto dell’aetas boetiana»45
. Anche se tale tentativo d’assiomatizzazione della teologia, come quello rappresentato dall’Ars fidei catholicae di Nicola di Amiens costruito su un’applicazione più rigorosa del mos geometricum, non ha riscosso un particolare successo nel secolo XIII, esso tuttavia testimonia il notevole affinamento degli strumenti concettuali, epistemologici e linguistici nel trattare i misteri divini da parte degli intellettuali attivi nella seconda metà del secolo XII che, pur con esiti differenti, ha aperto e preparato la strada alle grandi sistematizzazioni del sapere teologico del basso Medioevo46.
45 A.
DE LIBERA,Storia della filosofia medievale, Milano 1995, p. 332. 46 Cf. C.V