All’inizio del primo trattato Alano affronta un problema ermeneutico relativo alla trasposizione in lingua latina di alcuni concetti filosofici e teologici fondamentali formulati originariamente in lingua greca. Egli fa corrispondere nella traduzione latina ai concetti greci di usia, usiosis, ypostasis, e prosopa rispettivamente i termini essentia, subsistentia,
substantia e persona76. All’esigenza di una chiarificazione concettuale deve corrispondere una
notevole precisione semantica al fine di evitare ogni ambiguità e di scongiurare possibili fraintendimenti. Perciò se il termine usia veniva utilizzato dai greci sia per designare una realtà partecipe del rispettivo genere generalissimo, sia per alludere direttamente allo stesso genere generalissimo, esso deve mantenere questo duplice uso nel corrispettivo essentia, per quanto egli consideri la tendenza dei latini a preferire la parola substantia per indicare le sostanze seconde. Il termine subsistentia, «quasi sub essentia posita», traduce il concetto greco di usiosis e rimanda a una «res intellecta in specie specialissima vel in genere subalterno». La parola substantia, che traduce il concetto greco di ypostasis, indica una realtà concepita nel suo stato individuale; ma poiché la lingua latina è penuriosa, essa viene adoperata anche nel senso di usia, «ad designandum rem in generalissimo genere primi praedicamenti» quanto in quello di usiosis (forma sostanziale), come nel caso dell’anima. Nel solco della riflessione dei Padri greci il filosofo di Lilla precisa che la sostanza si dice impropriamente delle realtà concrete inanimate, mentre si predica in senso proprio soltanto
delle creature razionali, come l’uomo, l’angelo e Dio. Il termine greco prosopa che indica la maschera dell’attore corrisponde invece perfettamente al latino persona77
.
Chiarito il significato peculiare dei singoli termini, egli evidenzia come ciascun concetto traslato a naturalibus ad divina muti evidentemente la propria valenza semantica. Se infatti in ambito naturale la parola usia (essentia) rimanda al genere generalissimo o semplicemente al genere, in ambito teologico allude alla sostanza comune delle tre persone divine:
In divinis significat rem in communi esse trium personarum; ut cum dicitur Deus est usia vel creator est usia; vel commune esse trium personarum, ut cum dicitur una est usia trium personarum78.
Non è possibile invece traslare in ambito teologico il termine usiosis (subsistentia) in quanto in Dio non esiste alcun termine medio tra l’esse generale e le tre persone; mentre le ypostases (substantiae) coincidenti con le stesse persone divine sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo79. Il duplice uso della parola latina substantia, che traduce sia il concetto di usia che quello di ypostasis, prevede un significativo slittamento semantico; «unde verum est Patrem et Filium et Spiritum Sanctum esse tres substantias, id est tres ypostases, et etiam unam substantiam, id est unam usiam»80.
Per quanto riguarda il concetto di persona Alano riprende innanzitutto la celebre
77 Cf. ibid., pp. 171-172. Sul concetto di persona la fonte è B
OEZIO,Contra Eutychen e Nestorium, III[PL 64, 1343D-1344A], ed. C. Moreschini cit. (alla nota 3), [pp. 206-241], p. 215, 176-194: «Persona vero dicta est a personando, circumflexa penultima. Quod si acuatur antepenultima, apertissime a sono dicta videbitur; idcirco autem a sono, quia concavitate ipsa maior necesse est volvatur sonus. Graeci quoque has personas πρόσωπα vocant ab eo quod ponantur in facie atque ante oculos obtegant vultum: παρὰ τοῦ πρὸς τοὺς ὦπας τίθεσθαι. Sed quoniam personis inductis histriones individuos homines, quorum intererat in tragoedia vel comoedia, ut dictum est, repraesentabant, id est, Hecubam vel Medeam vel Simonem vel Chremetem, idcirco ceteros quoque homines, quorum certa pro sui forma esset agnitio, et Latini personam et Graeci πρόσωπα nuncupaverunt. Longe vero illi signatius naturae rationabilis individuam subsistentiam ὑποστάσεως nomine vocaverunt, nos vero per inopiam significantium vocum translatitiam retinuimus nuncupationem, eam quam illi ὑπόστασιν dicunt personam vocantes; sed peritior Graecia sermonum ὑπόστασιν vocat individuam subsistentiam».
78 Ibid., p. 171.
79 Cf. ibid., pp. 171-172. 80 Ibid., p. 172.
definizione boeziana di «naturae rationalis individua substantia»81, pur preferendo sostituire al termine substantia quello di essentia in modo da preservare la persona da ogni riferimento alle proprietà. Rispetto al problema dell’individualità egli ribadisce la distinzione tra forma
similitudinis e forma dissimilitudinis, ove la prima indica una stessa proprietà dividua che
accomuna più soggetti, mentre la seconda una proprietà assolutamente esclusiva di un soggetto, ossia la sua forma individua, come la socrateitas è propria soltanto di Socrate. Ponendo l’accento sulla concretio individuale, sulla scia dell’ontologia boeziana e porretana, Alano mostra come l’anima separata dal corpo non possa esser considerata persona proprio perché essa riceve la sua vera concretezza solo nel composto umano82. Se il concetto di persona allude a una realtà distinta le cui proprietà sostanziali e accidentali non si ritrovano in nessun altra cosa, allora tale concetto non può esser trasferito sic et simpliciter in un contesto teologico in quanto il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, pur essendo tre persone distinte, costituiscono un’unica sostanza e non tre realtà differenti83. D’altra parte però la locuzione
boeziana individua essentia può mantenere il suo valore in ambito teologico, nella misura in cui il termine individua non pretenda di determinare l’unica essenza quanto piuttosto di alludere ai nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo: «cum ergo dicitur Pater est essentia individua, hoc nomen individua non determinat hoc nomen essentia, sed hoc nomen Pater»84. Alano illumina con una serie di citazioni tratte dall’auctoritas agostiniana il rapporto sussistente tra l’essenza e le persone divine, che presenta una perfetta identità dal punto di vista sostanziale, cui corrisponde una declinazione semantica diversa degli stessi termini a seconda dei contesti linguistici in cui sono inseriti:
Non est aliud Deo esse, aliud personam esse, hoc referendum est ad idemptitatem
81
BOEZIO,Contra Eutychen e Nestorium, cit. (alla nota 57). 82 Cf. SQH, I, tract. I, 34-35, pp. 172-174.
83 Cf. ibid., 36, p. 175. 84 Ibidem.
essentiae, non ad idemptitatem significationis (...). Cum vero ait intelligi
substantiam Patris cum dicimus personam Patris, substantiam vocat ipostasim non usiam85.
Lo stesso concetto di persona sarebbe stato preferito dai Padri greci proprio in forza della sua capacità semantica di alludere tanto all’unità dell’essenza quanto alla distinzione delle persone:
Excogitaverunt ergo hoc nomen persona quod principaliter significat usiam, consignificat autem personarum distinctionem86.
Nella etimologia proposta da Alano, la parola persona, per se una, rimanda da un lato all’unità (una) della sostanza divina e rinvia dall’altro alla distinzione (per se) tra le tre persone87.
A questo punto restano da risolvere alcune aporie relative all’elaborazione di tali concetti nella costruzione di alcuni enunciati teologici. Nel confronto tra due espressioni, «Pater est usia quae est Filius» e «Pater est persona quae est Filius», il maestro di Lilla nota come soltanto la prima sia legittima, in quanto la parola usia allude propriamente alla sostanza divina (Deus o deitas) comune sia al Padre che al Figlio, laddove invece la parola persona della seconda affermazione è un appellativo riferito impropriamente alla relazione tra le due ipostasi, poiché la persona del Padre è distinta da quella del Figlio. Bisognerebbe dire infatti in maniera corretta e più opportunamente: «Pater est alius a Filio in persona»88. Quando si domanda se il Padre e il Figlio differiscano in persona o in personis, Alano sostiene che si possono accettare entrambe le diciture purché si tenga conto del fatto che le due persone divine siano distinte personaliter, così come Platone e Socrate differiscono in numero89. 85 Ibid., 36b, p. 177. 86 Ibid., 36d, p. 180. 87 Cf. ibidem. 88 Cf. ibid., 37-39, p. 181. 89 Cf. ibid., 40, p. 181.
La necessità di evidenziare l’incongruenza presente nelle espressioni «Pater est unum cum Filio in persona vel aliud» e «Pater est unus cum Filio in substantia vel alius» gli consente di precisare ulteriormente le modalità d’uso delle regole logico-grammaticali in ambito teologico:
Quia sicut in grammatica adiectivum in masculino et feminino facit discretionem sexus vel generis, et determinate vult ad rem generis non ad genus rei referri, unde desiderat substantivum cui innitatur, ut albus equus, alba mulier; in neutro vero, quia non discernit sexum vel genus, quia neutrum per abnegatione duorum dicitur, non quod sit veri nominis genus, confuse ponitur; unde et substantive ponitur et intelligitur hoc nomen generale; et ita redundat in genus rei, non in rem generis. Sic
in theologia huiusmodi adiectiva in masculino et feminino determinate ponuntur ut
faciant personae distinctionem, et ita faciunt in persona et redundant in rem generis, id est in persona et non in genus rei id est in usiam. In neutro vero e converso. Unde inconvenientes sunt omnes huiusmodi locutiones in quibus huismodi adiectiva in masculino vel feminino ponuntur cum nominibus essentialibus, vel in neutro cum personalibus90.
Considerando la peculiarità del suo subiectum, la scienza teologica deve utilizzare il genere maschile e femminile per le predicazioni relative alle tre persone e preferire invece il genere neutro per le attribuzioni relative alla sostanza divina: «unus, alius, idem, et consimilia in masculino et feminino faciunt in personam, in neutro in substantiam»91.
Rispetto alla definizione del dogma trinitario il filosofo di Lilla constata i limiti logico-linguistici di altre affermazioni teologiche mediante il ricorso ad argomenti razionali e di autorità a partire da coloro che sostengono che la Trinità sia «quasi trium unitas», intendendo tale nome esclusivamente in rapporto alla sostanza divina e non anche in relazione alle persone. A questi si aggiungono coloro che fondano le loro affermazioni sull’autorità di Boezio, il quale afferma che il numero è collectio unitatis, per ridurre il mistero trinitario a un
90 Ibid., 41, p. 182. 91 Ibidem.
composto ternario costituito di tre unità92. Tuttavia il dogma trinitario non è riconducibile alle formule trium unitas e trina unitas:
Hoc nomen trinitas inventum est ut in singulari faceret et in singularitatem essentiae et in pluralitatem personae93.
Il nome trinitas non è scomponibile in altre locuzioni equivalenti proprio in quanto esso soltanto è quello «speciale vocabulum theologiae» in grado nella sua semplicità di alludere tanto all’unità dell’essenza per la sua singolarità formale quanto alla distinzione delle persone per la sua pluralità semantica94.
Riprendendo la distinzione boeziana tra numeratio e iteratio, Alano mostra come la categoria della quantità si predichi in naturalibus secondo una modalità di enumerare che distingue realtà differenti, mentre in theologia come eiusdem rei repetitio, ossia iterazione della medesima sostanza o proprietà. Sulla scorta di tale precisazione che ribadisce l’esigenza di una transumptio delle categorie logiche dal piano naturale a quello teologico, risulta evidente come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano tre persone e nel contempo un’unica realtà:
In trinitate ergo numero numerans est vel memorialis, ut cum dicitur Pater est Deus, Filius est Deus, Spiritus Sanctus est Deus. Ad hunc ergo numerum solvendum in trinitate, scilicet pluralitetem personae et unitatem essentiae, excogitatum est hoc nomen trinitas ut sit sensus; Pater et Filius et Spiritus Sanctus
sunt trinitas, id est ita tres quod unum95.
Egli adduce inoltre diverse rationes allo scopo di chiarire il rapporto problematico sussistente
92
Cf. ibid., 43-43a, pp. 184-185. La fonte è BOEZIO, De Trinitate, III [PL 64, 1247-1256], 1251A-B, ed. C. Moreschini cit. (alla nota 3), [pp. 165-181], p. 171, 125-132: «Nam quod tertio repetitur Deus, cum Pater ac Filius et Spiritus sanctus nuncupatur, tres unitates non faciunt pluralitatem numeri in eo quod ipsae sunt, si advertamus ad res numerabiles, ac non ad ipsum numerum. Illic enim unitatum repetitio numerum facit. In eo autem numero qui in rebus numerabilibus constat, repetitio unitatum atque pluralitas minime facit numerabilium rerum numerosam diversitatem».
93 Ibid., 43, p. 184. 94 Ibid., 43a, p. 186. 95 Ibid., 43b, p. 187.
tra la deitas e ciascuna delle tre persone divine. Riprendendo il presupposto dell’assoluta
simplicitas divina, Alano sottolinea innanzitutto come Deus e deitas siano due termini
equivalenti che significano la medesima realtà, in quanto tutto ciò che si predica di Dio coincide perfettamente con la sua natura96. D’altra parte se la deitas fosse aliud quam Pater si rileverebbe una compositio dell’essenza divina, il che è evidentemente contraddittorio con la sua semplicità: «item Deus est simplex omni genere compositionis relegato. Ergo nihil est in eo quod non sit Deus»97. La stessa affermazione «deitas est in Patre» esplicita una perfetta identità tra i due termini, i quali non si pongono rispettivamente come contenitore e contenuto, dal momento che la deitas è la sostanza divina comune alle tre persone:
Quamvis enim deitas sit in Patre, non tamen deitas est in se; si enim diceretur deitas est in se, insinuaretur quod deitas esset in se deitate. Sed cum dicitur deitas est in Patre, dicitur esse in eo quod ipsa est98.
Alano propone un ragionamento analogo anche per risolvere le aporie insite in una celebre affermazione controversa di matrice porretana, «Deus deitate est Deus», che era stata già al centro di una virulenta polemica teologica tra Gilberto di Poitiers e Bernardo di Chiaravalle:
Similiter cum dicitur deus deitate est Deus, hoc ablativo «deitate» notatur quasi formalis causa, non formalis nominative, quasi formatum sed non formatum. Et ideo cum vera sit ibi simplicitas, non sequitur quod Deus non sit sua essentia99.
L’espressione «Pater est deitas» non può tradursi nella locuzione simmetrica «deitas est Pater» se non in senso traslato nell’equivalente «deitas est esse Patris», perché la deitas non può supporre la persona pur costituendo l’essere delle tre persone100
. 96 Cf. ibid., 53a, pp. 191-192. 97 Ibid., p. 192. 98 Ibid., 53b, p. 194. 99 Ibidem. 100 Cf. ibid., pp. 194-195.