di Ornella Urpis
3. La questione dell’identità
Una delle questioni centrali sollevate dal tema del pellegrinaggio è quel-la dell’identità. L’esperienza del pellegrinaggio mette in gioco sia il vissuto individuale delle persone che intraprendono il cammino, sia il loro vissuto collettivo. Scrive Anderson (1987: 55):
L’antropologo Victor Turner ha scritto cose molto illuminanti circa il ‘viag-gio’ tra tempi, status sociali e luoghi in quanto esperienza creatrice di signi-ficato. Tutti questi viaggi esigono una qualche interpretazione (ad es. il viaggio dalla nascita alla morte ha generato diverse concezioni religiose). Ai nostri fini il viaggio esemplare è il pellegrinaggio. La cosa importante non è semplicemente che nella mente di cristiani, musulmani o indù le città di Roma, Mecca o Benares fossero i centri di spazi geografici sacri, ma so-prattutto che la loro centralità era esperita e “rappresentata” (...). dal flusso costante di pellegrini che si muovono verso di esse da luoghi lontani e per ogni altro verso, privi di rapporti l’uno con l’altro (...). Come abbiamo nota-to prima la strana giustapposizione di malesi, persiani, indiani, berberi e tur-chi alla Mecca è qualcosa di incomprensibile senza un’idea della loro co-munanza in qualche forma. Il berbero che incontra il malese davanti alla
Kaʿba è costretto, per così dire, a domandarsi: perché quest’uomo fa le
stes-se costes-se che faccio io, pronuncia le stesstes-se parole che pronuncio io, anche stes-se noi non possiamo parlarci? Vi è soltanto una risposta, una volta che la si è appresa: perché noi (…) siamo musulmani.
Il pellegrinaggio nella religione islamica è uno dei pilastri della fede e quindi un dovere di ogni musulmano. Questo rito sancisce il legame pro-fondo fra una terra, un popolo, una religione e una lingua: la Mecca è il luogo sacro dove la Umma si riconosce, dove ogni fedele deve recarsi al-meno una volta nel corso della sua esistenza (Snouck Hurgronje 1989).
Nella religione induista il pellegrinaggio nei luoghi sacri ha, invece, la densità simbolica della purificazione, del passaggio della vita, orienta l’anima dei fedeli a recuperare lo spazio sacro, sorgente dell’essere, luogo di incontro tra ciò che è temporale e ciò che è eterno. Ma anche nelle espe-rienze spirituali di gruppi religiosi nati all’interno della secolarizzazione, e che si rifanno a simboli orientali induisti o buddisti, il pellegrinaggio verso
un luogo sacro cementa l’identità del gruppo. In molti movimenti la sacrali-tà del luogo viene sapientemente creata e la “tradizione inventata” (Hob-sbawm, Ranger 1983), attraverso la ripetizione di un rituale di pellegrinag-gio in un luogo che viene riconosciuto come sacro e diventa parte integran-te dell’agire collettivo del gruppo religioso.
Da quando mi sono avvicinata allo yoga e agli insegnamenti del maestro Joithynanda ho sentito un risveglio interiore e una nuova felicità. Ora mi sento una persona diversa e indosso per lo più abiti bianchi e non alla moda e ho cambiato il mio stile di vita e anche l’arredamento della casa. Vado spesso all’Ashram di Corinaldo dove vivo con la comunità l’esperienza del-la Puja presso il tempio. Non abito vicino a Corinaldo e daldel-la mia regione devo fare molte ore di treno. Negli ultimi anni percorro l’ultima parte del viaggio a piedi fra le colline marchigiane. Il mio pellegrinaggio per rag-giungere questo luogo è molto complesso, ma mi aiuta a purificarmi. Con-dividere i riti con gli altri in questo luogo sacro dove da pochi anni è sorto il tempio è diventato per me una parte della mia vita (giovane donna italiana
discepola di Joithynanda).
La costruzione del tempio, infatti, è molto recente, ma questo è diventa-to un luogo di pellegrinaggio per tutti coloro che sono vicini spiritualmente al maestro Joithynanda. La sacralità – riconosciuta dagli adepti – è stata creata attraverso un rito di inaugurazione con il posizionamento di statue e oggetti sacri reperiti in India e nello Sri Lanka e mantenuta successivamen-te attraverso i riti giornalieri di devozione e il posizionamento di vasi con-tenenti delle ceneri sacre. Un luogo totemico nel senso durkheimiano che costituisce il centro del nuovo culto e l’origine del movimento (Durkheim 1912).
Nonostante il diverso significato simbolico e le differenti ritualità presenti in ogni religione, il pellegrinaggio assume sempre il significato di un percor-so di trasformazione interiore e percor-sociale se viene vissuto come un rinnova-mento spirituale della fede. Afferma Caucci Von Saucken (1998: 43-46):
Il pellegrino nasce, quindi, da una scelta personale, da un rituale incentrato sul distacco e sulla liturgia della partenza e dalla frattura che si determina tra la vita ordinaria e la nuova temporanea esistenza a cui è stato iniziato. Entra in tal modo in uno spazio diverso, con ritmi, esigenze, conoscenze, esperienze nuove rispetto a quelle della quotidianità familiare e sociale nella quale fino a quel momento è vissuto. (...) Questa diversità, questa estraneità dal mondo che si attraversa fa nascere un forte senso d’identità con coloro che percorrono la stessa via e che condividono il medesimo destino. Nasco-no allora eccezionali vincoli che permangoNasco-no anche oltre la fine del pelle-grinaggio. Si entra a far parte di una societas sovranazionale, sradicata dal
territorio di origine, ma legata alla via, che non ha regole scritte, ma affinità, segni di identificazione, interessi e necessità comuni, quasi una nuova e più complessa civiltà nella quale il pellegrino italiano o quello francese, quello tedesco o quello slavo, quello inglese o quello fiammingo, quello greco o quello scandinavo, quello ispanico o quello irlandese si riconoscono; una
societas di persone di provenienza, di condizione sociale, di culture diverse,
che per molti mesi ha una meta e dei problemi in comune. Che non ha nes-suna regola scritta, ma regole consuetudinarie, simboli e comportamenti tra-smessi dalla tradizione e garantiti dalle particolari strutture sorte intorno al pellegrinaggio quali le confraternite e gli ospedali. (...) La frattura con la quotidianità e la liturgia della partenza determinano inoltre l’ingresso in uno spazio e in un tempo sacri con ritmi, scansioni e significati propri e formati-vi. Il pellegrino lo avverte immediatamente con le molteplici devozioni che dovrà compiere giornalmente, dalla messa mattutina che si celebra negli ospedali e nei conventi dove ha dormito, alle devozioni specificamente ja-copee che compie lungo tutto il percorso, come formare croci con rami e piantarle in cima ai valichi, portare pietre da un punto all’altro del percorso, cantare e recitare insieme agli altri pellegrini le canzoni del pellegrinaggio. (...) Il viaggio che si compie è quindi essenzialmente un viaggio sacro, all’interno di una struttura profondamente religiosa, che raccoglie e inter-preta valori intimamente legati al cristianesimo, come quelli della carità, della solidarietà, della vita come passagium, come transito ad altra e defini-tiva meta. Una sensibilità religiosa che si conserva e si mantiene durante tutti i mille anni che è durato il pellegrinaggio compostellano, come ci di-mostrano i racconti di viaggio che lasciano trapelare nonostante i secoli che li separano gli uni dagli altri, gli stessi sentimenti, le stesse emozioni, gli stessi comportamenti (...). Il pellegrinaggio era pieno di pericoli, alcune zo-ne erano completamente desolate, infestate da banditi, a volte le popolazioni erano ostili, facile erano il contagio e le malattie. I piccoli cimiteri che si in-contrano frequentemente lungo gli itinerari compostellani, i numerosi pelle-grini trovati nelle loro tombe ancora con l’abito del pellegrinaggio e la con-chiglia appuntata sulle vesti, mostrano tanti sogni e tante vite terminate pri-ma di giungere alla meta.
Il senso di estraneità riguardante lo spazio fisico e agli incontri interper-sonali sposta il piano della comunicazione. Il pellegrino si trova immerso in un contesto diverso, accanto a persone completamente sconosciute che con-dividono collettivamente la stessa emozione e la stessa finalità. L’incontro con l’altro, pur nella differenza delle lingue e delle appartenenze culturali, lo spinge verso un rapporto intensamente affettivo, di unità con i credenti all’interno della stessa dimensione spirituale:
La prima volta che entrai nel tempio, mi sentii un’estranea. Dopo tanto cammino, finalmente avevo raggiunto il luogo. Ero lontana da casa, con persone che parlavano in lingue diverse, di diverse nazionalità, eravamo in
tanti, tutti diversi, non ci conoscevamo, ma tanto più erano estranei, tanto più li sentivo uguali a me. Tutti noi eravamo pellegrini, tutti alla ricerca del-la perfezione. Dopo tanta sofferenza, dopo un viaggio difficile e pericoli, per-ché in Venezuela la vita non conta nulla e la violenza è dilagante, eravamo lì, tutti assieme a pregare (...). Ancora di notte sogno quei momenti e rivedo quelle facce, sento il profumo nell’aria, quella magia di esser di fronte a Dio senza differenze nella più totale identificazione con la luce (donna in
pelle-grinaggio all’Ashram di Maracay della Grande Fraternità Universale).