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Il pellegrinaggio e la secolarizzazione

di Ornella Urpis

2. Il pellegrinaggio e la secolarizzazione

Nel mondo moderno la dimensione spirituale è andata sempre più ad af-fievolirsi, trasformandosi in una condizione di complementarietà della vita e anche la dimensione sacra del pellegrinaggio si è spostata verso la condi-visione di momenti di piacevolezza turistica ed esplorativa1. Come afferma Porcelli (2017: 109):

Nel caso del turismo di pellegrinaggio contemporaneo la prospettiva è deci-samente rovesciata. Nei testi delle guide non si riconosce il codice trascen-denza/immanenza specifico alla semantica del sistema religioso. Il carattere delle auto-descrizioni è quello di essere osservazioni di primo ordine, opera-te da chi ci ha preceduti nel cammino di pellegrinaggio e che offre al lettore degli utili consigli di viaggio. È la prospettiva dell’autore a essere comuni-cata e non quella di Dio come osservatore di secondo ordine. Il codice se-mantico impiegato si riferisce al linguaggio specifico del sottosistema dell’industria del turismo. Le indicazioni che vengono fornite al viaggiatore sono principalmente di carattere pratico e culturale. Le guide più diffuse che descrivono il pellegrinaggio a Santiago hanno le stesse caratteristiche delle guide di viaggio. L’unica differenza saliente è che il turismo di pellegrinag-gio offre, oltre alla dimensione della scoperta dei luoghi e delle culture, il valore aggiunto dello spirituale. Tuttavia, lo spirituale è percepito in uno spazio specifico totalmente disincarnato dalla realtà circostante. Esso è momento di riflessione, meditazione e calma interiore piuttosto che espe-rienza della precarietà e affidamento alla divina provvidenza.

Lo stesso autore racconta infatti una sua personale (e simpatica) avven-tura avuta alcuni anni prima percorrendo l’ultimo tratto galiziano del Cammino di Santiago, in occasione dell’Anno santo giacobeo del 1999 (ibidem). Esperienza che sintetizza bene il rapporto che vi è oggi fra il pel-legrino e il pellegrinaggio:

Un’ulteriore indicazione rispetto al processo di secolarizzazione del pelle-grinaggio è data dalla scansione in tappe del Cammino di Santiago (...). Es-sa più che da rituali è scandita dai tempi imposti dalla tappa da percorrere la cui meta è l’ostello. La regola in vigore è quella dunque del chi prima arriva meglio alloggia. Il risultato paradossale è quello di convertire il pellegrino contemporaneo in un trekker che all’arrivo di tappa si vanta del tempo che ha impiegato a percorrerla a piedi o in bicicletta (il cavallo è divenuto raro). Il clima che respirai era agonistico piuttosto che spirituale. In effetti

fermar-1 Per un approfondimento sul tema del pellegrinaggio come espressione turisti-ca/culturale si vedano anche i lavori di Cohen (1992), Lavarini (1997), Costa (2002), Timo-thy, Olsen (2006), Nocifora (2010), Mazza (2013), Savelli (2014).

si in santuari lungo il percorso avrebbe penalizzato il pellegrino, privandolo all’arrivo di un giaciglio confortevole all’ostello, oramai stipato dai concor-renti che lo hanno preceduto al traguardo di tappa, ed obbligandolo a passa-re la notte o in alloggi di fortuna come stalle e garage o pagandosi la stanza in una pensione. Non dimentichiamo che esiste pure un premio finale (...). Alla partenza da Roncisvalle il pellegrino viene dotato di una sorta di foglio a caselle, tante quanto sono le tappe che scandiscono il Cammino. All’arrivo di ogni tappa dovrà infatti presentarsi al gestore dell’ostello locale per farsi ap-porre un timbro comprovante il tragitto giornaliero percorso. Raggiunto il tra-guardo finale di Santiago, il foglio con i timbri raccolti sarà la condicio sine

qua non per ottenere la Compostelana. Questo attestato contiene ancora

l’indulgenza plenaria, ma l’uso più comune è quello di incorniciarlo per esi-birlo ad amici e conoscenti come testimonianza di una vacanza alternativa e della particolare avventura di viaggio vissuta in prima persona.

Nei tempi antichi, invece, chi intraprendeva un pellegrinaggio partiva senza sapere se sarebbe ritornato. Il viaggio significava una trasformazione radicale dell’esistenza. I disagi e i pericoli erano notevolissimi e il pellegri-naggio poteva durare anni o una vita intera. Morire per malattia o per mano di malviventi era una delle possibilità contemplate da chi si metteva in cam-mino. Infatti, nel medioevo i pellegrini prima della partenza redigevano di solito un testamento. Caucci Von Saucken (1989: 31) scrive nell’introduzione all’edizione della Guida del pellegrino di Santiago: «pellegrino, infatti, lo si di-venta; non è una condizione naturale, ma uno status che si acquisisce attraverso una precisa pratica liturgica e si mantiene attraverso determinati comportamen-ti. Pellegrino si diventa, lo si è e lo si rimane». Ed è per questo che per poter accedere a questa sorta di iniziazione ci si deve confessare, chiedere perdono a tutti e, spesso, anche fare testamento:

Rappresenta quest’ultimo un documento di notevole interesse, sia perché ci permette di ricostruire storicamente la vita, le motivazioni, gli itinerari e la condizione sociale del pellegrino, sia perché è un documento che acquisisce anche un valore liturgico, in quanto attraverso il testamento si recidono i le-gami materiali con il mondo, si entra in uno spazio e in un tempo diversi da quelli della normalità, della quotidianità, della vita pratica di tutti i giorni (Porcelli 2017: 105).

La secolarizzazione ha invece spostato tutto su un altro piano. Grazie all’industrializzazione il passaggio dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft di-venta un processo lineare e irreversibile che depriva di fatto la religione dalle sue funzioni di integrazione e di rafforzamento simbolico dell’ordine sociale che invece vengono trasferite a istituzioni laiche e razionali. La cul-tura espone una religione al confronto con le altre, facendole rinunciare alla

sua sovranità nella determinazione dei punti di vista comparativi (Luhmann 2013).

La religione cessa così di essere un’istituzione centrale della struttura so-ciale e non è più in grado di guidare normativamente le condotte sociali. La migrazione del sacro lontano dai nuclei istituzionali diventa il criterio espli-cativo di una religiosità moderna i cui tratti distintivi sono l’atomizzazione, la relativa laicizzazione nelle dottrine e nelle prassi, l’offerta semplificata di vie per la salvezza.

Per Wilson (1996: 59-60) la secolarizzazione è un fatto istituzionale: la religione, ritirandosi di fatto dalle principali istituzioni sociali, si ritira per lo più nella sfera profonda.

Le società contemporanee funzionano ricorrendo in misura minima alla re-ligione come istituzione sociale. Se gli Stati moderni, nel loro operare, sono per lo più secolari, ciò avviene perché l’organizzazione sociale degli uomini non dipende più dalle funzioni latenti della religione. Finché la vita sociale era organizzata fondamentalmente al livello di piccola comunità, la religio-ne funzionava come sostegno a giustificazioni di tipo ideale e per la stabilità emotiva e sociale del gruppo. Ma il passaggio dell’organizzazione sociale dalla piccola comunità alla società più ampia (il processo di sviluppo socie-tario) è stato un evento in cui l’interdipendenza tra individuo e gruppi e tra i vari ordinamenti istituzionali e funzionali è stato reso più esplicito e quindi più capace di articolazione razionale.

Quantunque in una prospettiva assai lontana da quella di Wilson, un tipo di spiegazione formalmente simile viene offerto da Turner (1983). Per que-sto autore la funzione fondamentale della religione era il mantenimento dell’integrità della famiglia in quanto nucleo produttivo attraverso il con-trollo della sessualità e della riproduzione. Venuta meno con il capitalismo avanzato tale funzione, la religione cessa di essere un’istituzione di pubbli-co interesse e si pubbli-confina nella sfera privata (Urpis 1988).

Il mutamento sociale produce così irrimediabilmente una trasformazione concettuale del pellegrinaggio quale aspetto totalizzante dell’esperienza di vita del credente; e anche i luoghi sacri vanno via via trasformandosi da luoghi strettamente di culto a luoghi da associare a una sorta di conoscenza culturale o addirittura turistica. Il mutamento dell’identità individuale di-venta meno saliente, assieme ovviamente alla dimensione collettiva; e l’anelito devozionale va a coniugarsi con gli interessi storici e artistici di molti pellegrini in una religiosità laica informata a un approccio razionale e autonomo. Bisogna però notare comunque che anche nei percorsi mariani possiamo trovare ancora momenti in cui i devoti si concedono al trascen-dente (Cipolla, Galesi 2007). Il sacrificio che improntava ogni attimo

dell’esistenza del pellegrino di un tempo, nell’età della secolarizzazione si smorza e il piacere del viaggio e della scoperta di nuovi mondi diventa una motivazione di rilievo, anche se per taluni il significato spirituale profondo rimane ancora intatto.