• Non ci sono risultati.

La responsabilità dell’ente D Lgs 231/2001 (cenni)

4.2. L’Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità

5.2.1 La responsabilità dell’ente D Lgs 231/2001 (cenni)

Il D. Lgs. 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento italiano la responsabilità dell’ente da reato commesso da un suo membro. Il decreto ha scardinato il tradizionale broccardo societas puniri non potest con la previsione di sanzioni amministrative pecuniarie ed interdittive applicate seguendo criteri imputativi indipendenti rispetto alla responsabilità individuale. Il D. Lgs. 231/01 struttura un sistema processualmente indipendente dalla responsabilità penale della persona fisica ed è suddiviso in due parti: generale e speciale. L’apertura della parte generale è dedicata all’ individuazione degli enti che possono soggiacere al regime sanzionatorio (art. 1), all’art. 5 sono delineati i criteri imputativi dell’interesse o vantaggio e la qualificazione soggettiva dell’intraneo che ha commesso il reato presupposto (artt. 6, 7); il catalogo dei reati presupposto è previsto agli artt. 25 e ss.

Soggiacciono alla responsabilità amministrativa da reato gli «enti

privati dotati di persona giuridica o società ed associazioni anche prive di personalità giuridica» (art. 1, II comma); il III comma esclude la

responsabilità per lo «Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale» (es., sindacati e partiti politici).

175

L’intraneo che ha commesso il reato presupposto è individuato mediante l’art. 5 attraverso la distinzione tra soggetti apicali: «persone che

rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso» -lett. a)- e subordinati «da persone sottoposte alla

direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)» art. 5, lett. b). La commissione di uno dei reati presupposto (artt. 25 ss.) nell’interesse o vantaggio dell’ente e la sussistenza di una colpa di organizzazione integrano

la responsabilità amministrativa. L’irrogazione della sanzione è subordinata alla prova dell’esistenza di uno dei due criteri imputativi: la commissione del reato nell’interesse dell’ente implica che l’intraneo abbia agito animato da una tensione finalistica verso il conseguimento di un beneficio a favore dell’ente; il vantaggio è frutto di una valutazione postuma dei benefici che sono effettivamente derivati dalla commissione del reato.

Il II comma, art. 5 costituisce una clausola esimente per la responsabilità dell’ente qualora «le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi», confermando la ratio punitiva del

D. Lgs 231/01, incentrata sulla colpa d’organizzazione. Qualora il reato presupposto sia stato commesso da soggetti apicali (art. 5 lett. a), si assiste ad un’inversione dell’ordine probatorio, l’ente sarà ritenuto responsabile se non prova che: «a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima

della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b)» (art. 6, I comma).

176 L’adozione preventiva di efficaci Modelli di organizzazione e gestione (MOG) è un indice fondamentale per dimostrare l’assenza della colpa d’organizzazione: l’ente dopo aver preso cognizione dei rischi reato che possono verificarsi durante il ciclo operativo, ha attuato un efficace reticolo preventivo. L’adozione del solo MOG non è da sé sufficiente: l’ente dovrà aver creato un Organismo di Vigilanza (OdV) dotato di poteri decisionali e di spesa autonomi. La dimostrazione da parte dell’ente della sussistenza di queste due condizioni e dell’elusione fraudolenta dei controlli da parte dell’autore del reato fa venir meno la colpa d’organizzazione ed esclude la responsabilità dell’ente.

La realizzazione del reato da parte di un soggetto subordinato integra la responsabilità dell’ente qualora «la commissione del reato è stata resa

possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza» (art. 7, I

comma); anche in questo caso la responsabilità viene esclusa se l’ente dimostra che «ha adottato ed efficacemente attuato un modello di

organizzazione, il modello di gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi» art. 7, II comma.

La ratio del D. Lgs 231/01 è costituita dalla volontà di incentivare l’adozione dei Modelli di organizzazione e gestione più che attuare una politica punitiva nei confronti dell’ente. Che questa sia la volontà del legislatore lo si deduce dalle le caratteristiche che deve possedere il MOG per essere ritenuto efficace e dunque esimente: «il modello prevede, in relazione

alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio»

art. 7, III comma. Per essere ritenuto efficace il modello deve essere sottoposto ad «una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso

quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello» art. 7, IV comma-.

177 Le sanzioni amministrative sono le seguenti: sanzione pecuniaria, che è indefettibile (artt. 10 e ss), la confisca del prezzo o profitto del reato, la sanzione interdittiva (artt. 9, 13 e ss), la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 18).

Il quantum della sanzione pecuniaria è determinato in quote. L’art. 13, I comma, prevede una cornice edittale generale: la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a cento quote nel minimo e non può superare le mille quote nel massimo. L’importo di ogni singola quota può oscillare da un minimo di euro 258 fino ad un massimo di euro 1549 (art. 13, III comma). Ciascun reato presupposto ha una propria cornice edittale: sarà compito del giudice commisurare la sanzione stabilendo il numero di quote a seconda dellagravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti (art. 11, I comma). Per assicurare

la massima efficacia della sanzione pecuniaria, il valore della singola quota è determinato in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente (art. 11, II comma).

L’art. 9, II comma elenca le sanzioni interdittive535 che si applicano congiuntamente alla sanzione pecuniaria soltanto «in relazione ai reati per i

quali sono espressamente previste» (art. 13, I comma). Le condizioni di

applicabilità sono disciplinate all’art. 13, I comma, lett. a): esse sono applicabili qualora l’ente abbia tratto un profitto rilevante e il reato sia stato commesso da un soggetto apicale o subordinato qualora la commissione del reato sia stata resa possibile da gravi carenze organizzative. In alternativa, l’art. 13, lett. b) prevede l’ipotesi di «reiterazione degli illeciti»: l’ente ha una propensione alla commissione degli illeciti e le sole sanzioni pecuniarie non

535 Art. 9, II comma: «le sanzioni interdittive sono: a) l'interdizione dall'esercizio

dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.»

178 sono sufficienti per un efficace deterrenza. Il III comma dell’art. 13536 conferma che il legislatore ha previsto l’applicazione delle sanzioni interdittive in riferimento ai soli illeciti ritenuti di spiccata gravità non ritenendole necessarie per i reati presupposto di minore spessore offensivo537.