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La “riforma della riforma”: la legge 10 ottobre 1986, n 663 (c.d legge Gozzini) 

 

In  materia  di  uffici  di  sorveglianza,  nel  decennio  successivo  all’emanazione della legge sull’ordinamento penitenziario “l'esigenza  che  si  avverte  in  modo  più  acuto  è  quella  di  urgenti  interventi  riparatori che valgano a restituire un senso ed una dignità agli organi  di  sorveglianza,  nel  solco  tracciato  dalla  (medesima)  nuova  normativa”41. Teniamo conto che in quegli anni era ancora operante  il regime delle carceri di massima sicurezza, che durerà, da un punto  di  vista  formale,  fino  al  1984  (anno  nel  quale  si  interruppe  la  reiterazione dei decreti applicativi dell'articolo 90 o.p.).  

L'esistenza  di  simili  carceri,  e  la  sostanziale  disapplicazione  della  normativa  contenuta  nella  legge  354/1975,  relativa  al  trattamento  (sia  penitenziario,  che  rieducativo),  portarono  alla  conseguenza  di  una  pressoché  completa  sottrazione  di  intere  fasce  di  detenuti  alla  giurisdizione  della  magistratura  di  sorveglianza.  Inoltre,  fu  solo  nel  1982‐1983  che  l'emergenza  terrorismo  diminuì.  Le  esigenze  di  prevenzione  generale  e  di  "repressione"  della  criminalità  avevano  stentato  quindi  per  lungo  tempo  ad  attenuarsi,  e,  di  conseguenza,  i  principi ispiratori della legge 354/1975, non avevano ancora trovato 

 

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  C. Saltalamacchia, "Gli uffici dei magistrati di sorveglianza. Ipotesi di ristrutturazione",  in C.S.M., Problemi attuali della magistratura di sorveglianza, cit., p. 69. 

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piena attuazione, nonché completa accettazione nella coscienza civile  e negli operatori del diritto. 

Le problematiche che il magistrato di sorveglianza doveva affrontare  erano,  dopo  quasi  sette  anni  di  pratica  attuazione  della  legge  del  1975, sempre le stesse. Sussistevano ancora complicazioni relative ai  rapporti  con  l'amministrazione  penitenziaria,  mancavano  i  supporti  necessari  all'attività  del  magistrato  di  sorveglianza,  l'osservazione  della personalità del detenuto in istituto era quasi inesistente a causa  della sproporzione tra personale a ciò adibito e numero dei detenuti  ospitati all’interno degli stabilimenti. L'esigenza di una "riforma della  riforma” andava affermandosi con maggiore urgenza. 

Uno tra i primi segnali di questa tendenza in espansione nell’ambito  esecutivo  fu  la  legge  21  giugno  1985,  n.  297  (che  convertiva  con  modifiche il decreto‐legge 22 aprile 1985, n. 144), la quale stabilì una  diminuzione del lasso di tempo che il detenuto doveva trascorrere in  carcere, al fine di rendere possibile l'osservazione della personalità in  un mese soltanto. 

Si  poteva  vedere,  quindi,  come  negli  anni  precedenti  alla  legge  663/1986  già  si  considerasse  la  pena  detentiva  come  risposta  sanzionatoria  non  universalmente  adeguata  ed  idonea.  Ci  si  rese  conto  della  necessità  di  una  certa  differenziazione  tra  condannati  e 

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condannati,  si  ritenne  che  la  società  civile  doveva  essere  maggiormente  coinvolta  nell'opera  di  ri‐socializzazione,  e  che  il  carcere doveva essere aperto ulteriormente. 

Ciò  che  era  mancato  alla  riforma  del  1975,  era  stata  una  effettiva  differenziazione all'interno degli istituti a seconda del condannato da  considerare.  La  "diversificazione"  di  trattamento  operata  tramite  la  reiterazione automatica del decreto ministeriale 4 maggio 1977, non  aveva seguito nessun criterio veramente preciso e rigoroso, e niente  era  stato  modificato  circa  il  trattamento  penitenziario  dei  "pericolosi";  il  trattamento,  non  solo  rieducativo,  bensì  le  stesse  garanzie  dei  più  fondamentali  diritti  personali,  erano  state  semplicemente eliminate. 

Un  gruppo  ristretto  di  individui  particolarmente  attenti  alle  problematiche  penitenziarie,  decise,  già  prima  del  1984,  che  era  il  momento  di  compiere  una  riforma  della  materia  della  sicurezza.  Questo  piccolo  comitato  di  "temerari"  era  costituito  da  Mario  Gozzini, Alessandro Margara e Antonio Caponnetto. 

Il  disegno  di  legge  venne  presentato  al  Senato  nel  1983,  ma  si  dovette aspettare la successiva legislatura, durante la quale il disegno  di  legge  fu  immediatamente  oggetto  di  lavoro  della  Commissione  giustizia del Senato. 

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Elemento  caratterizzante  i  lavori  della  commissione  giustizia  sul  disegno  di  legge  in  esame  fu  la  fondamentale  collaborazione  del  direttore generale dell'amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato.  Il  direttore  generale  rispose  ampiamente  alle  svariate  domande  postegli  circa  lo  stato  delle  carceri,  ed  espresse  la  propria  opinione  circa  le  proposte  che  erano  sul  tavolo  di  lavoro  della  commissione  giustizia42. 

Circa l'iter della legge 663/1986, possiamo notare come, a differenza  di ciò che accadde in sede di approvazione della legge 354/1975, vi fu  una  stretta  collaborazione  tra  i  diversi  rami  del  Parlamento  e  tra  gli  addetti ai lavori, cioè i magistrati di sorveglianza e l’amministrazione  penitenziaria.  La  presenza  di  “notevoli  giuristi”  in  seno  alla  commissione  giustizia  del  Senato,  fu  per  qualcuno43  elemento  determinante per tale collaborazione.  

Ad  un  tratto,  infatti,  tra  il  1984  e  il  1985,  il  governo  manifestò  la  volontà di allargare lo spettro di incidenza dei lavori in atto. 

Il ministro Martinazzoli preferì, però, lavorare sul disegno di legge del  senatore  Mario  Gozzini,  anziché  presentare  un'autonoma  proposta  del governo: segno questo, inconfutabile, della consapevolezza della 

 

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  M. GOZZINI, Anche se con molte lacune, in Il Ponte, 1995, pp. 7‐8. 

43  E. SOMMA, Premessa. Palingenesi, razionalizzazione, e «sperimentazione» nella novella 

penitenziaria  del  1986,  in  L.  10/10/1986  n.  663.  Modifiche  alla  legge  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della  libertà, 

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necessità  di  un  intervento  normativo  rapido,  non  solo  a  causa  dello  scadere  dell'applicazione  dei  decreti  emanati  ex  art.  90  o.p.  avutasi  con  l'ottobre  del  1984,  e  quindi  della  necessità  di  regolamentare  le  carceri che, di fatto, permanevano di massima sicurezza, ma anche in  relazione  a  tutto  l'ordinamento  penitenziario,  in  considerazione  del  mutato  stato  della  criminalità,  nonché  del  problema  del  sovraffollamento delle carceri.  

Nel corso del 1986, il disegno di legge "rimbalzò" molto rapidamente  da  un  ramo  del  Parlamento  all'altro.  Tutto  ciò  portò  ad  una  approvazione  molto  celere  di  una  legge,  nata  inizialmente  come  modifica  di  un  singolo  articolo  della  precedente  legge  354/1975,  divenuta  poi  un  ampio  intervento  globale,  che  molto  ha  inciso  sulla  vita  penitenziaria,  sulle  forme  di  esecuzione  della  pena,  ma  soprattutto ha ridisegnato (coadiuvata, in questo, dal nuovo codice di  procedura  penale)  un  nuovo  ruolo  per  la  magistratura  di  sorveglianza. 

La legge 663/1986, con il suo articolo 20, è intervenuta modificando  l'articolo  68  della  legge  354/197544.  Veniva  eliminato  qualsiasi  richiamo  al  tribunale  quale  "sede"  dell'ufficio  di  sorveglianza.  Apparve ancor più chiaro il fatto che i tribunali presso i quali in realtà 

 

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 Vedremo più oltre come la legge 10 ottobre 1986, n. 663, sia intervenuta anche sotto il  profilo della denominazione dell'organo collegiale di sorveglianza. 

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gli  uffici  di  sorveglianza  si  trovavano,  svolgevano  una  funzione  di  determinazione meramente spaziale dell'ubicazione degli uffici stessi  e dei limiti della loro giurisdizione. 

Alcun nesso funzionale era riconoscibile. Ciò avveniva non più solo in  base  ad  argomenti  di  carattere  sistematico,  giurisprudenziali  o  dottrinali45,  bensì  anche  in  base  alla  lettera  della  stessa  norma  fondamentale in materia di esecuzione penale. 

Ciò che è mancato alla legge del 1986 è stato un intervento proprio  sulla  tabella  A)  allegata  alla  legge  stessa.  Era  da  più  parti  definita  irrazionale  l’ubicazione  degli  uffici  di  sorveglianza,  spesso  lontani  dagli istituti di pena rientranti nella loro giurisdizione. Tale situazione  portava i magistrati di sorveglianza ad essere dei giudici “itineranti”,  con  notevole  dispendio  di  tempo  ed  energie,  che  meglio  potevano  essere impiegate46. 

Niente  di  tutto  questo  è  stato  fatto  con  la  legge  in  esame;  le  giurisdizioni  rimasero,  sostanzialmente,  invariate,  e  con  esse  le  problematiche che ne scaturivano.  

 

45 Lo stesso C.S.M. si era pronunciato nel senso dell'erroneità dell'assunto in base al quale 

gli  uffici  di  sorveglianza  sarebbero  stati  delle  sezioni  speciali,  ulteriori  rispetto  a  quelle  ordinarie,  dei  tribunali  presso  i  quali  erano  costituiti,  e  le  sezioni  di  sorveglianza  sezioni  speciali  della  corte  d'appello.  Il  C.S.M.  sosteneva,  quindi,  la  piena  indipendenza  degli  organi  giudiziari  di  sorveglianza  nei  confronti  degli  altri  organi  giudiziari  presso  i  quali  si  trovavano;  v.  L.  PEPINO,  sub  art.  20  l.  10/10/1986  n.  663  (Modifiche  alla  legge 

sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della  libertà), in Lp, 1987, p. 209. 

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  G.  ZAPPA,  Gli  uffici  dei  magistrati  di  sorveglianza.  Ipotesi  di  ristrutturazione,  in  C.S.M., Problemi attuali della magistratura di sorveglianza, cit., p. 93. 

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Un'importante  innovazione  apportata,  invece,  dall'articolo  20  della  legge  663/1986,  riguardava  le  categorie  di  magistrati  addetti  agli  uffici di sorveglianza. Il nuovo comma 2° dell'articolo 68 o.p., stabiliva  che venissero assegnati agli uffici di sorveglianza, oltre ai già previsti  magistrati di tribunale e di appello, anche magistrati di cassazione.  Con  la  legge  Gozzini  la  magistratura  di  sorveglianza  acquisì  poteri  maggiori, sia in relazione all'esecuzione inframuraria, sia in relazione  all'esecuzione penale attuata fuori dal carcere. 

Questo  ampliamento  di  competenze,  raggiunto  tramite  un  allargamento  dell'incidenza  di  poteri  già  esistenti,  nonché  tramite  l'inserimento di nuovi compiti, riguardava sia il giudice monocratico,  che  l'organo  collegiale.  Da  un  punto  di  vista  unitario  si  poteva  affermare  che  si  era  compiuta  una  razionalizzazione  della  distribuzione  delle  competenze  in  materia  di  esecuzione  penale47,  della  quale  la  magistratura  di  sorveglianza  risultava  il  principale  motore ed il garante per eccellenza della sua legittimità e legalità.  La  funzione  di  vigilanza  rimase  invariata  anche  in  relazione  alla  legalità dell'esecuzione della custodia preventiva. 

L'attività  in  esame  ha  subì,  invece,  un  ampliamento,  per  ciò  che  atteneva  alle  misure  di  sicurezza.  Secondo  l'articolo  69,  comma  3°,  o.p.,  come  modificato  dalla  legge  663/1986,  il  magistrato  di 

 

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sorveglianza  “sovraintende  all'esecuzione  delle  misure  di  sicurezza  personali”.  Venne  eliminata  la  specificazione  “non  detentive”:  con  tale  modifica  si  attuava  una  delle  razionalizzazioni  di  cui  si  è  detto  sopra  e  da  questo  momento  il  magistrato  di  sorveglianza,  nell'esercizio della sua funzione di vigilanza sulle misure di sicurezza  personali,  non  incontrava  alcun  limite  relativo  all'oggetto  del  suo  controllo48. 

Anche  in  materia  di  reclami  dei  detenuti  concernenti  “l'attribuzione  della  qualifica  lavorativa,  la  mercede,  la  remunerazione  nonché  lo  svolgimento  delle  attività  di  tirocinio  e  di  lavoro  e  le  assicurazioni  sociali;   le  condizioni  di  esercizio  del  potere  disciplinare,  la  costituzione  e  la  competenza  dell'organo  disciplinare,  la  contestazione  degli  addebiti  e  la  facoltà  di  discolpa”,  previsti  dal  comma  6°  dell'articolo  69  o.p.,  la  legge  663/1986  intervenne  in  relazione  al  procedimento  che  il  magistrato  di  sorveglianza  doveva  adottare per assumere una decisione, nonché in relazione alla forma  che questa doveva rivestire.  

Per  quest'ultimo  punto,  l'art.  21  l.  663/1986  sostituì,  ancora  una  volta,  l'originario  ordine  di  servizio  con  una  ordinanza  ricorribile  in 

 

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  L.  PEPINO,  Commento  (art.  21),  in  L.  10/10/1986  n.  663.  Modifiche  alla  legge 

sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della  libertà,  in Legislazione  penale,  1987,  p.  214,  con  il  quale  si  dichiara  d'accordo  F.  DELLA 

CASA,  sub  art.  69,  in  V.  GREVI,  G.  GIOSTRA,  F.  DELLA  CASA  (a  cura  di), Ordinamento 

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cassazione.  Tale  ordinanza  era  il  provvedimento  conclusivo  della  procedura prevista dall'articolo 14‐ter, espressamente richiamato dal  comma in esame. 

L'articolo  14‐ter,  inserito  dalla  legge  663/1986,  stabiliva  una  procedura ad hoc per i reclami contro l'applicazione o la proroga del  regime  di  sorveglianza  particolare,  da  presentarsi  al  tribunale  di  sorveglianza49.  All'ultimo  comma  dell'articolo  citato  si  trovava  un  richiamo, per ciò che non fosse espressamente disposto nella norma  in  esame,  al  procedimento  di  sorveglianza  contenuto  nel  Capo  II‐

bis del Titolo II della l. 354/1975. 

Il  magistrato  di  sorveglianza  doveva  essere  “immediatamente”  informato  da  parte  del  direttore  dell'istituto  o  del  centro  di  servizio  sociale  della  sopravvenienza  di  un  titolo  di  esecuzione  di  una  pena  detentiva,  nei  confronti  di  soggetti  in  espiazione  di  pena  sotto  la  forma dell'affidamento in prova, della semilibertà o della detenzione  domiciliare; l’organo monocratico di sorveglianza disponeva, inoltre,  la sospensione provvisoria della misura alternativa. 

Da  questa  panoramica  sulle  competenze  principali  del  magistrato  di  sorveglianza, emerge come il suo ruolo, grazie alla legge 663/1986, si 

 

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   Il  regime  di  sorveglianza  particolare  fu  introdotto dalla  legge 10  ottobre  1986,  n. 663  con il suo articolo 1. È evidente, ed emergeva anche dall'iter legislativo della stessa legge,  la volontà del legislatore di regolamentare con l'articolo 14‐bis (che, appunto disciplina la  sorveglianza particolare) il problema della sicurezza in carcere nei confronti di soggetti che  presentassero una certa incompatibilità alla vita in comune e insofferenza al rispetto delle  regole di vita consociata, all'interno del carcere. 

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sia  caratterizzato  più  nettamente  in  senso  giurisdizionale,  o  per  lo  meno giudiziario. Il magistrato di sorveglianza interveniva sempre nel  momento  in  cui  si  presentavano  situazioni  di  particolare  delicatezza  concernenti  limitazioni  o  espansioni  della  libertà  del  detenuto.  Egli  agiva  quale  garante  dei  diritti  dei  soggetti  reclusi  e  quale  giudice  terzo  tra  questi  e  l'amministrazione.  Era  l'organo  giudiziario  che  più  da vicino osservava il percorso dei condannati. Sotto questo profilo la  "legge  Gozzini"  intervenne  ampliando  competenze  e  incarichi  già  esistenti. 

"Tribunale  di  sorveglianza"  era  la  nuova  denominazione  dell'organo  collegiale  di  sorveglianza50.  La  legge  663/1986  aveva  aumentato  notevolmente  le  funzioni  e  le  competenze  dell'organo  collegiale.  Oltre  alle  competenze  “tradizionali”  erano  rinvenibili  la  competenza  sulla  concessione  della  detenzione  domiciliare,  quella  in  materia  di  liberazione  condizionale,  quella  sul  rinvio  obbligatorio  o  facoltativo  dell’esecuzione della pena detentiva51. 

 

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  Questa  nuova  denominazione  è  stata  vista  come  «segnale  di  valorizzazione  delle  differenziazioni  interne  alla  giurisdizione»,  v.  L.  PEPINO,  Commento  (art.  22),  in  L. 

10/10/1986 n. 663. Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della  libertà,  in Legislazione  penale,  1987,  p.  222. 

L'autore  voleva  sottolineare  la  volontà  del  legislatore  di  porre  ben  in  evidenza  la  separatezza tra la corte d'appello e il tribunale di sorveglianza. 

51

  Con  l'articolo  29  la  Legge  10  ottobre  1986,  n.  663  ha  abrogato  la  Legge  12  febbraio  1975,  n.  6,  costitutiva  della  competenza  in  materia  di  liberazione  condizionale,  v.  L.  PEPINO, Commento (art. 22), cit., nota n. 12, p. 224 

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Vi  erano  poi  dei  casi  in  cui  il  Tribunale  di  sorveglianza  veniva  chiamato  a  decidere  sui  reclami  contro  i  provvedimenti,  sia  del  magistrato di sorveglianza, che dell'amministrazione carceraria.  Le  modifiche  apportate  dalla  legge  663/1986  alla  disciplina  del  procedimento  di  sorveglianza  avevano,  genericamente  parlando,  razionalizzato le regole di rito ed avevano avuto il merito di diminuire  la  gamma  dei  tipi  di  procedimento  adottati  dalla  magistratura  di  sorveglianza52.  Soprattutto  per  ciò  che  atteneva  all'attività  dell'organo monocratico, unitamente all'eliminazione della categoria  dell'ordine  di  servizio  dai  provvedimenti  da  questi  emanati,  l'adozione di procedure più spiccatamente giurisdizionali rappresentò  un miglioramento sia per l'organo decidente stesso sia per la garanzia  dei diritti dell'interessato. 

Il ruolo fondamentale e diverso dalla situazione precedente attribuito  alla  magistratura  di  sorveglianza,  portò  una  parte  della  dottrina  a  sostenere l'opportunità di riunire in capo a tale autorità giudiziaria le  funzioni di sorveglianza e le funzioni di giudice dell'esecuzione, date  le  competenze  prima  indicate,  le  quali  avvicinavano  queste  due  figure53, unificazione che sembrava lo sbocco inevitabile del processo 

 

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  Il procedimento di sorveglianza, come vedremo tra poco, non è infatti l'unico modello  processuale  adottato  dalla  magistratura  di  sorveglianza,  basti  qui  ricordare,  a  fini  esemplificativi, il procedimento di cui all'articolo 14‐ter ord. pen. 

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   F.  CORBI,  I  nuovi  istituti  della  L.  663.  Le  modifiche  del  ruolo  della  magistratura  di 

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iniziato  con  la  riforma  del  1975  e  sviluppatosi  con  la  normativa  che  stiamo considerando. 

Una seconda analisi del ruolo della magistratura di sorveglianza come  delineata  dalla  legge  663/1986,  non  coincideva  con  la  precedente,  relativamente  alle  conclusioni  cui  si  era  pervenuti  sulla  base  di  valutazioni  abbastanza  simili  alla  tesi  ora  esposta.  Nonostante  si  affermasse  anche  in  questo  caso  il  mutato  oggetto  della  cognizione  dell'autorità  giudiziaria  "penitenziaria",  e  quindi  la  sua  nuova  caratterizzazione quale giudice del "fatto" e non più solo "dell'uomo",  non  si  arrivava  ad  affermare  che  la  logica  conseguenza  del  mutato  ruolo  della  magistratura  di  sorveglianza  fosse  quello  di  attribuirle  anche i compiti propri di un giudice dell'esecuzione. In realtà si arrivò  ad  affermare  che  in  forza  del  fatto  che  dopo  la  "legge  Gozzini"  la  magistratura di sorveglianza fosse chiamata a giudicare su "fatti", la  separazione tra giudice della cognizione e giudice penitenziario si era  notevolmente  ridotta54,  ma  le  due  figure  dovevano  continuare  ad  essere distinte. 

Secondo  questa  tesi  l'obbiettivo  da  raggiungere  non  era  assolutamente  quello  di  riunire  nella  magistratura  di  sorveglianza 

 

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  L.  DAGA,  I  nuovi  istituti  della  L.  663.  Le  modifiche  del  ruolo  della  magistratura  di 

sorveglianza,  in  Quaderni  del  C.S.M., Problemi  applicativi  della  legge  n.  663/86,  cit.,  pp. 

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anche le funzioni di giudice dell'esecuzione55, bensì quello di spostare  il  momento  decisorio  in  materia  di  misure  alternative  anche  nella  sede di cognizione. 

Indubbiamente con la legge 663/1986 la magistratura di sorveglianza,  sia  nella  sua  componente  monocratica  che  collegiale,  acquisì  poteri  rilevanti, sottraendoli ad altre autorità giudiziarie, che non sempre ne  erano logiche titolari, per lo meno da un punto di vista sistematico. Il  ruolo  degli  organi  giudiziari  di  sorveglianza  ne  usciva  fondamentalmente  potenziato,  sia  da  un  punto  di  vista  degli  strumenti  dei  quali  poteva  usufruire  che  da  un  punto  di  vista  di  efficacia della propria attività anche in ambiente carcerario.  

Le  problematiche  non  erano  certo  assenti,  a  volte  erano  problematiche  scaturite  proprio  dalla  "legge  Gozzini",  che  non  appariva  perfetta,  in  altri  casi  erano  difficoltà  "croniche"  della  materia  penitenziaria  che  difficilmente  potevano  essere  risolte  da  una nuova disciplina legislativa.            55

   In  totale  contrasto  con  la  tesi  precedente,  questa  diversa  corrente  di  pensiero  auspicava una definizione più precisa ed un ampliamento delle competenze del magistrato  di sorveglianza, ad opera del nuovo codice di procedura penale 

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7.  Il  procedimento  di  sorveglianza  alla  luce  del  nuovo  codice  di