In materia di uffici di sorveglianza, nel decennio successivo all’emanazione della legge sull’ordinamento penitenziario “l'esigenza che si avverte in modo più acuto è quella di urgenti interventi riparatori che valgano a restituire un senso ed una dignità agli organi di sorveglianza, nel solco tracciato dalla (medesima) nuova normativa”41. Teniamo conto che in quegli anni era ancora operante il regime delle carceri di massima sicurezza, che durerà, da un punto di vista formale, fino al 1984 (anno nel quale si interruppe la reiterazione dei decreti applicativi dell'articolo 90 o.p.).
L'esistenza di simili carceri, e la sostanziale disapplicazione della normativa contenuta nella legge 354/1975, relativa al trattamento (sia penitenziario, che rieducativo), portarono alla conseguenza di una pressoché completa sottrazione di intere fasce di detenuti alla giurisdizione della magistratura di sorveglianza. Inoltre, fu solo nel 1982‐1983 che l'emergenza terrorismo diminuì. Le esigenze di prevenzione generale e di "repressione" della criminalità avevano stentato quindi per lungo tempo ad attenuarsi, e, di conseguenza, i principi ispiratori della legge 354/1975, non avevano ancora trovato
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C. Saltalamacchia, "Gli uffici dei magistrati di sorveglianza. Ipotesi di ristrutturazione", in C.S.M., Problemi attuali della magistratura di sorveglianza, cit., p. 69.
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piena attuazione, nonché completa accettazione nella coscienza civile e negli operatori del diritto.
Le problematiche che il magistrato di sorveglianza doveva affrontare erano, dopo quasi sette anni di pratica attuazione della legge del 1975, sempre le stesse. Sussistevano ancora complicazioni relative ai rapporti con l'amministrazione penitenziaria, mancavano i supporti necessari all'attività del magistrato di sorveglianza, l'osservazione della personalità del detenuto in istituto era quasi inesistente a causa della sproporzione tra personale a ciò adibito e numero dei detenuti ospitati all’interno degli stabilimenti. L'esigenza di una "riforma della riforma” andava affermandosi con maggiore urgenza.
Uno tra i primi segnali di questa tendenza in espansione nell’ambito esecutivo fu la legge 21 giugno 1985, n. 297 (che convertiva con modifiche il decreto‐legge 22 aprile 1985, n. 144), la quale stabilì una diminuzione del lasso di tempo che il detenuto doveva trascorrere in carcere, al fine di rendere possibile l'osservazione della personalità in un mese soltanto.
Si poteva vedere, quindi, come negli anni precedenti alla legge 663/1986 già si considerasse la pena detentiva come risposta sanzionatoria non universalmente adeguata ed idonea. Ci si rese conto della necessità di una certa differenziazione tra condannati e
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condannati, si ritenne che la società civile doveva essere maggiormente coinvolta nell'opera di ri‐socializzazione, e che il carcere doveva essere aperto ulteriormente.
Ciò che era mancato alla riforma del 1975, era stata una effettiva differenziazione all'interno degli istituti a seconda del condannato da considerare. La "diversificazione" di trattamento operata tramite la reiterazione automatica del decreto ministeriale 4 maggio 1977, non aveva seguito nessun criterio veramente preciso e rigoroso, e niente era stato modificato circa il trattamento penitenziario dei "pericolosi"; il trattamento, non solo rieducativo, bensì le stesse garanzie dei più fondamentali diritti personali, erano state semplicemente eliminate.
Un gruppo ristretto di individui particolarmente attenti alle problematiche penitenziarie, decise, già prima del 1984, che era il momento di compiere una riforma della materia della sicurezza. Questo piccolo comitato di "temerari" era costituito da Mario Gozzini, Alessandro Margara e Antonio Caponnetto.
Il disegno di legge venne presentato al Senato nel 1983, ma si dovette aspettare la successiva legislatura, durante la quale il disegno di legge fu immediatamente oggetto di lavoro della Commissione giustizia del Senato.
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Elemento caratterizzante i lavori della commissione giustizia sul disegno di legge in esame fu la fondamentale collaborazione del direttore generale dell'amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato. Il direttore generale rispose ampiamente alle svariate domande postegli circa lo stato delle carceri, ed espresse la propria opinione circa le proposte che erano sul tavolo di lavoro della commissione giustizia42.
Circa l'iter della legge 663/1986, possiamo notare come, a differenza di ciò che accadde in sede di approvazione della legge 354/1975, vi fu una stretta collaborazione tra i diversi rami del Parlamento e tra gli addetti ai lavori, cioè i magistrati di sorveglianza e l’amministrazione penitenziaria. La presenza di “notevoli giuristi” in seno alla commissione giustizia del Senato, fu per qualcuno43 elemento determinante per tale collaborazione.
Ad un tratto, infatti, tra il 1984 e il 1985, il governo manifestò la volontà di allargare lo spettro di incidenza dei lavori in atto.
Il ministro Martinazzoli preferì, però, lavorare sul disegno di legge del senatore Mario Gozzini, anziché presentare un'autonoma proposta del governo: segno questo, inconfutabile, della consapevolezza della
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M. GOZZINI, Anche se con molte lacune, in Il Ponte, 1995, pp. 7‐8.
43 E. SOMMA, Premessa. Palingenesi, razionalizzazione, e «sperimentazione» nella novella
penitenziaria del 1986, in L. 10/10/1986 n. 663. Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà,
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necessità di un intervento normativo rapido, non solo a causa dello scadere dell'applicazione dei decreti emanati ex art. 90 o.p. avutasi con l'ottobre del 1984, e quindi della necessità di regolamentare le carceri che, di fatto, permanevano di massima sicurezza, ma anche in relazione a tutto l'ordinamento penitenziario, in considerazione del mutato stato della criminalità, nonché del problema del sovraffollamento delle carceri.
Nel corso del 1986, il disegno di legge "rimbalzò" molto rapidamente da un ramo del Parlamento all'altro. Tutto ciò portò ad una approvazione molto celere di una legge, nata inizialmente come modifica di un singolo articolo della precedente legge 354/1975, divenuta poi un ampio intervento globale, che molto ha inciso sulla vita penitenziaria, sulle forme di esecuzione della pena, ma soprattutto ha ridisegnato (coadiuvata, in questo, dal nuovo codice di procedura penale) un nuovo ruolo per la magistratura di sorveglianza.
La legge 663/1986, con il suo articolo 20, è intervenuta modificando l'articolo 68 della legge 354/197544. Veniva eliminato qualsiasi richiamo al tribunale quale "sede" dell'ufficio di sorveglianza. Apparve ancor più chiaro il fatto che i tribunali presso i quali in realtà
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Vedremo più oltre come la legge 10 ottobre 1986, n. 663, sia intervenuta anche sotto il profilo della denominazione dell'organo collegiale di sorveglianza.
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gli uffici di sorveglianza si trovavano, svolgevano una funzione di determinazione meramente spaziale dell'ubicazione degli uffici stessi e dei limiti della loro giurisdizione.
Alcun nesso funzionale era riconoscibile. Ciò avveniva non più solo in base ad argomenti di carattere sistematico, giurisprudenziali o dottrinali45, bensì anche in base alla lettera della stessa norma fondamentale in materia di esecuzione penale.
Ciò che è mancato alla legge del 1986 è stato un intervento proprio sulla tabella A) allegata alla legge stessa. Era da più parti definita irrazionale l’ubicazione degli uffici di sorveglianza, spesso lontani dagli istituti di pena rientranti nella loro giurisdizione. Tale situazione portava i magistrati di sorveglianza ad essere dei giudici “itineranti”, con notevole dispendio di tempo ed energie, che meglio potevano essere impiegate46.
Niente di tutto questo è stato fatto con la legge in esame; le giurisdizioni rimasero, sostanzialmente, invariate, e con esse le problematiche che ne scaturivano.
45 Lo stesso C.S.M. si era pronunciato nel senso dell'erroneità dell'assunto in base al quale
gli uffici di sorveglianza sarebbero stati delle sezioni speciali, ulteriori rispetto a quelle ordinarie, dei tribunali presso i quali erano costituiti, e le sezioni di sorveglianza sezioni speciali della corte d'appello. Il C.S.M. sosteneva, quindi, la piena indipendenza degli organi giudiziari di sorveglianza nei confronti degli altri organi giudiziari presso i quali si trovavano; v. L. PEPINO, sub art. 20 l. 10/10/1986 n. 663 (Modifiche alla legge
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in Lp, 1987, p. 209.
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G. ZAPPA, Gli uffici dei magistrati di sorveglianza. Ipotesi di ristrutturazione, in C.S.M., Problemi attuali della magistratura di sorveglianza, cit., p. 93.
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Un'importante innovazione apportata, invece, dall'articolo 20 della legge 663/1986, riguardava le categorie di magistrati addetti agli uffici di sorveglianza. Il nuovo comma 2° dell'articolo 68 o.p., stabiliva che venissero assegnati agli uffici di sorveglianza, oltre ai già previsti magistrati di tribunale e di appello, anche magistrati di cassazione. Con la legge Gozzini la magistratura di sorveglianza acquisì poteri maggiori, sia in relazione all'esecuzione inframuraria, sia in relazione all'esecuzione penale attuata fuori dal carcere.
Questo ampliamento di competenze, raggiunto tramite un allargamento dell'incidenza di poteri già esistenti, nonché tramite l'inserimento di nuovi compiti, riguardava sia il giudice monocratico, che l'organo collegiale. Da un punto di vista unitario si poteva affermare che si era compiuta una razionalizzazione della distribuzione delle competenze in materia di esecuzione penale47, della quale la magistratura di sorveglianza risultava il principale motore ed il garante per eccellenza della sua legittimità e legalità. La funzione di vigilanza rimase invariata anche in relazione alla legalità dell'esecuzione della custodia preventiva.
L'attività in esame ha subì, invece, un ampliamento, per ciò che atteneva alle misure di sicurezza. Secondo l'articolo 69, comma 3°, o.p., come modificato dalla legge 663/1986, il magistrato di
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sorveglianza “sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali”. Venne eliminata la specificazione “non detentive”: con tale modifica si attuava una delle razionalizzazioni di cui si è detto sopra e da questo momento il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio della sua funzione di vigilanza sulle misure di sicurezza personali, non incontrava alcun limite relativo all'oggetto del suo controllo48.
Anche in materia di reclami dei detenuti concernenti “l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede, la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali; le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa”, previsti dal comma 6° dell'articolo 69 o.p., la legge 663/1986 intervenne in relazione al procedimento che il magistrato di sorveglianza doveva adottare per assumere una decisione, nonché in relazione alla forma che questa doveva rivestire.
Per quest'ultimo punto, l'art. 21 l. 663/1986 sostituì, ancora una volta, l'originario ordine di servizio con una ordinanza ricorribile in
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L. PEPINO, Commento (art. 21), in L. 10/10/1986 n. 663. Modifiche alla legge
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in Legislazione penale, 1987, p. 214, con il quale si dichiara d'accordo F. DELLA
CASA, sub art. 69, in V. GREVI, G. GIOSTRA, F. DELLA CASA (a cura di), Ordinamento
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cassazione. Tale ordinanza era il provvedimento conclusivo della procedura prevista dall'articolo 14‐ter, espressamente richiamato dal comma in esame.
L'articolo 14‐ter, inserito dalla legge 663/1986, stabiliva una procedura ad hoc per i reclami contro l'applicazione o la proroga del regime di sorveglianza particolare, da presentarsi al tribunale di sorveglianza49. All'ultimo comma dell'articolo citato si trovava un richiamo, per ciò che non fosse espressamente disposto nella norma in esame, al procedimento di sorveglianza contenuto nel Capo II‐
bis del Titolo II della l. 354/1975.
Il magistrato di sorveglianza doveva essere “immediatamente” informato da parte del direttore dell'istituto o del centro di servizio sociale della sopravvenienza di un titolo di esecuzione di una pena detentiva, nei confronti di soggetti in espiazione di pena sotto la forma dell'affidamento in prova, della semilibertà o della detenzione domiciliare; l’organo monocratico di sorveglianza disponeva, inoltre, la sospensione provvisoria della misura alternativa.
Da questa panoramica sulle competenze principali del magistrato di sorveglianza, emerge come il suo ruolo, grazie alla legge 663/1986, si
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Il regime di sorveglianza particolare fu introdotto dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 con il suo articolo 1. È evidente, ed emergeva anche dall'iter legislativo della stessa legge, la volontà del legislatore di regolamentare con l'articolo 14‐bis (che, appunto disciplina la sorveglianza particolare) il problema della sicurezza in carcere nei confronti di soggetti che presentassero una certa incompatibilità alla vita in comune e insofferenza al rispetto delle regole di vita consociata, all'interno del carcere.
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sia caratterizzato più nettamente in senso giurisdizionale, o per lo meno giudiziario. Il magistrato di sorveglianza interveniva sempre nel momento in cui si presentavano situazioni di particolare delicatezza concernenti limitazioni o espansioni della libertà del detenuto. Egli agiva quale garante dei diritti dei soggetti reclusi e quale giudice terzo tra questi e l'amministrazione. Era l'organo giudiziario che più da vicino osservava il percorso dei condannati. Sotto questo profilo la "legge Gozzini" intervenne ampliando competenze e incarichi già esistenti.
"Tribunale di sorveglianza" era la nuova denominazione dell'organo collegiale di sorveglianza50. La legge 663/1986 aveva aumentato notevolmente le funzioni e le competenze dell'organo collegiale. Oltre alle competenze “tradizionali” erano rinvenibili la competenza sulla concessione della detenzione domiciliare, quella in materia di liberazione condizionale, quella sul rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva51.
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Questa nuova denominazione è stata vista come «segnale di valorizzazione delle differenziazioni interne alla giurisdizione», v. L. PEPINO, Commento (art. 22), in L.
10/10/1986 n. 663. Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in Legislazione penale, 1987, p. 222.
L'autore voleva sottolineare la volontà del legislatore di porre ben in evidenza la separatezza tra la corte d'appello e il tribunale di sorveglianza.
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Con l'articolo 29 la Legge 10 ottobre 1986, n. 663 ha abrogato la Legge 12 febbraio 1975, n. 6, costitutiva della competenza in materia di liberazione condizionale, v. L. PEPINO, Commento (art. 22), cit., nota n. 12, p. 224
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Vi erano poi dei casi in cui il Tribunale di sorveglianza veniva chiamato a decidere sui reclami contro i provvedimenti, sia del magistrato di sorveglianza, che dell'amministrazione carceraria. Le modifiche apportate dalla legge 663/1986 alla disciplina del procedimento di sorveglianza avevano, genericamente parlando, razionalizzato le regole di rito ed avevano avuto il merito di diminuire la gamma dei tipi di procedimento adottati dalla magistratura di sorveglianza52. Soprattutto per ciò che atteneva all'attività dell'organo monocratico, unitamente all'eliminazione della categoria dell'ordine di servizio dai provvedimenti da questi emanati, l'adozione di procedure più spiccatamente giurisdizionali rappresentò un miglioramento sia per l'organo decidente stesso sia per la garanzia dei diritti dell'interessato.
Il ruolo fondamentale e diverso dalla situazione precedente attribuito alla magistratura di sorveglianza, portò una parte della dottrina a sostenere l'opportunità di riunire in capo a tale autorità giudiziaria le funzioni di sorveglianza e le funzioni di giudice dell'esecuzione, date le competenze prima indicate, le quali avvicinavano queste due figure53, unificazione che sembrava lo sbocco inevitabile del processo
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Il procedimento di sorveglianza, come vedremo tra poco, non è infatti l'unico modello processuale adottato dalla magistratura di sorveglianza, basti qui ricordare, a fini esemplificativi, il procedimento di cui all'articolo 14‐ter ord. pen.
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F. CORBI, I nuovi istituti della L. 663. Le modifiche del ruolo della magistratura di
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iniziato con la riforma del 1975 e sviluppatosi con la normativa che stiamo considerando.
Una seconda analisi del ruolo della magistratura di sorveglianza come delineata dalla legge 663/1986, non coincideva con la precedente, relativamente alle conclusioni cui si era pervenuti sulla base di valutazioni abbastanza simili alla tesi ora esposta. Nonostante si affermasse anche in questo caso il mutato oggetto della cognizione dell'autorità giudiziaria "penitenziaria", e quindi la sua nuova caratterizzazione quale giudice del "fatto" e non più solo "dell'uomo", non si arrivava ad affermare che la logica conseguenza del mutato ruolo della magistratura di sorveglianza fosse quello di attribuirle anche i compiti propri di un giudice dell'esecuzione. In realtà si arrivò ad affermare che in forza del fatto che dopo la "legge Gozzini" la magistratura di sorveglianza fosse chiamata a giudicare su "fatti", la separazione tra giudice della cognizione e giudice penitenziario si era notevolmente ridotta54, ma le due figure dovevano continuare ad essere distinte.
Secondo questa tesi l'obbiettivo da raggiungere non era assolutamente quello di riunire nella magistratura di sorveglianza
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L. DAGA, I nuovi istituti della L. 663. Le modifiche del ruolo della magistratura di
sorveglianza, in Quaderni del C.S.M., Problemi applicativi della legge n. 663/86, cit., pp.
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anche le funzioni di giudice dell'esecuzione55, bensì quello di spostare il momento decisorio in materia di misure alternative anche nella sede di cognizione.
Indubbiamente con la legge 663/1986 la magistratura di sorveglianza, sia nella sua componente monocratica che collegiale, acquisì poteri rilevanti, sottraendoli ad altre autorità giudiziarie, che non sempre ne erano logiche titolari, per lo meno da un punto di vista sistematico. Il ruolo degli organi giudiziari di sorveglianza ne usciva fondamentalmente potenziato, sia da un punto di vista degli strumenti dei quali poteva usufruire che da un punto di vista di efficacia della propria attività anche in ambiente carcerario.
Le problematiche non erano certo assenti, a volte erano problematiche scaturite proprio dalla "legge Gozzini", che non appariva perfetta, in altri casi erano difficoltà "croniche" della materia penitenziaria che difficilmente potevano essere risolte da una nuova disciplina legislativa. 55
In totale contrasto con la tesi precedente, questa diversa corrente di pensiero auspicava una definizione più precisa ed un ampliamento delle competenze del magistrato di sorveglianza, ad opera del nuovo codice di procedura penale
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7. Il procedimento di sorveglianza alla luce del nuovo codice di