A ben guardare, il rapporto di esecuzione penitenziaria è a tutti gli effetti un rapporto composito, che soltanto in alcuni tratti si esprime nell'ambito della giurisdizione. Da una parte, tale relazione trae origine dalla pronuncia di un organo statuale a ciò costituzionalmente deputato e a cui spetta il potere di irrogazione delle pene, nonché di decisione sull'applicazione e durata delle misure di sicurezza. Dall'altra, le attività che caratterizzano la fase dell'esecuzione della pena sono, invece, esercitate in via principale dall'amministrazione penitenziaria e sono prive di contenuto giurisdizionale: più esattamente, l'organizzazione materiale degli strumenti attraverso i quali le pene vengono concretamente eseguite rientra, nello schema dello Stato moderno e comunque nel quadro del nostro ordinamento, tra i compiti della pubblica amministrazione.
Come sappiamo, accanto all’amministrazione opera la magistratura di sorveglianza, che svolge principalmente un ruolo di controllo esterno e le cui attività hanno natura giurisdizionale.
L'attività amministrativa penitenziaria si può dire che consiste in quella attività giuridico ‐ operativa, intesa a rendere concreto il comando contenuto in un atto della giurisdizione lex specialis ed
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avente come scopo il finis custodiae a titolo di pena o di cautela processuale.
Il nucleo delle funzioni penitenziarie è costituito, quindi, dalle attività di custodia, trattamento e rieducazione dei detenuti. Nella generale funzione di custodia rientrano, ad esempio, le attività di assegnazione dei condannati e degli internati agli istituti, nonché di raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto (art. 14, l. 354/1975). Rilevano inoltre: le attività di gestione della concessione di benefici (assegnazione al lavoro esterno, organizzazione dei permessi premio, attuazione operativa delle misure alternative), la cui decisione è presa nell'ambito di un procedimento composito (con fasi sia giurisdizionali che amministrative); le attività di vigilanza e sorveglianza svolte dal corpo della polizia penitenziaria; le attività di determinazione e applicazione delle sanzioni disciplinari deliberate sia dal direttore dell'istituto (in particolare, richiamo e ammonizione), sia dal consiglio di disciplina (le altre sanzioni); la gestione dei trasferimenti. Complessivamente, queste attività ricadono nella competenza del DAP.
Nell'ambito della funzione di custodia rientrano anche diverse attività materiali svolte dal magistrato (o tribunale) di sorveglianza. Si tratta, ad esempio dell'approvazione dei programmi di trattamento, della
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vigilanza sull'organizzazione degli istituti, della gestione di licenze, permessi, affidamenti in prova dei detenuti, della predisposizione del regolamento interno degli istituti penitenziari (artt. 16 e 69, l. 354/1975).
Per quanto attiene, invece, alle funzioni di trattamento e rieducazione, la l. 354/1975 prevede, complessivamente, compiti relativi alla gestione delle attrezzature per l'istruzione e la ricreazione, alla organizzazione delle attività culturali e sportive, alla programmazione dell'istruzione, allo svolgimento del lavoro carcerario (esistono apposite commissioni regionali per il lavoro carcerario), alla cura dei rapporti con la famiglia e dell'assistenza post‐penitenziaria, alla gestione degli interventi del servizio sociale nella libertà vigilata, alla raccolta delle richieste di benefici da parte dei detenuti.
Accanto a custodia, trattamento e rieducazione vi sono, poi, altre attività, ascrivibili alla complessa categoria delle funzioni penitenziarie, di carattere più marcatamente gestionale. In particolare, rilevano la direzione dell'istituto penitenziario, la gestione tecnica delle risorse umane e strumentali, la formazione del personale, il controllo e la manutenzione dei meccanismi di sicurezza, la costruzione e organizzazione strutturale delle carceri. Si tratta di
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funzioni di auto‐organizzazione dell'amministrazione penitenziaria, a cui alcuni collegano anche la funzione di ripartire i detenuti tra gli istituti secondo criteri giuridici o criminologici. Si aggiungono, infine, i numerosi servizi e attività strumentali al quotidiano svolgimento delle stesse funzioni penitenziarie (si pensi ai servizi di manutenzione degli edifici, mensa, lavanderia, sistemi informatici, ecc.).
L'amministrazione penitenziaria è sottoposta in tutte queste attività ad uno speciale controllo di legalità sul trattamento dei detenuti, svolto dalla magistratura di sorveglianza. L'applicazione del principio di legalità in questo settore implica, quindi, il rispetto da parte dell'amministrazione innanzitutto dei principi di dignità e umanità sanciti dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In questa prospettiva, ad esempio, l’annosa condizione di sovraffollamento all'interno degli istituti penitenziari viola i principi sopraindicati e impone all'amministrazione penitenziaria interventi strutturali64.
In questo ambito va ad inserirsi la magistratura di sorveglianza, dinanzi alla quale è possibile impugnare i provvedimenti dell'amministrazione penitenziaria. La previsione di un tale sistema giurisdizionale è volta, almeno in teoria, ad assicurare agli interessati
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un completo vaglio di legittimità degli atti dell'amministrazione penitenziaria, poiché relativo non solo all'esame dei presupposti tradizionali di legittimità degli atti amministrativi, ma anche alla valutazione di aspetti di merito legati al trattamento dei detenuti e degli internati. L'istituzione di questa magistratura speciale si spiega, dunque, per ragioni sia pratiche, che attengono a motivi di economia ed efficienza processuale, sia garantistiche, in nome dell'esigenza di offrire una tutela giudiziaria, tendenzialmente piena, delle situazioni giuridiche soggettive in un settore ove entrano in gioco diritti fondamentali. La magistratura di sorveglianza, infine, si occupa anche direttamente di alcune funzioni di custodia molto importanti, sulla base di un singolare riparto di competenze con le autorità amministrative.
Esistono poi poteri di supremazia dell'amministrazione penitenziaria che derivano dalla condizione di “carcerati” che caratterizza i destinatari della sua azione. Ad esempio, l'amministrazione è titolare di uno speciale potere disciplinare nei confronti dei detenuti, chiamati al rispetto di una lunga serie di regole di condotta che rientrano nel c.d. “regime penitenziario”. Si tratta di un potere che si può tradurre, talvolta, in atti materiali molto incisivi65. Alla violazione
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Questo potere non deve essere confuso con il tradizionale potere disciplinare delle amministrazioni nei confronti dei propri dipendenti. Le differenze non riguardano soltanto
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di queste regole possono seguire difatti sanzioni particolarmente dure (come, ad esempio, l'isolamento). L'irrogazione deve essere stabilita con provvedimento motivato del direttore o del consiglio di disciplina, e preceduta dalla contestazione dell'addebito all'interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe. Tuttavia, è stato notato che “il detenuto finisce per essere legittimato a discolparsi non già di fronte a chi deve giudicarlo, bensì a chi lo accusa per punirlo”66. Contro una sanzione disciplinare irrogata in modo illegittimo il detenuto può, comunque, azionare il rimedio del reclamo dinanzi alla magistratura di sorveglianza67. i contenuti e l'intensità dei due regimi, ma soprattutto i destinatari: l'amministrazione, in via generale, può esercitare un potere disciplinare nei confronti di soggetti interni alla stessa amministrazione, chiamati a rispettare codici di comportamento in genere allegati ai contratti di assunzione; l'amministrazione penitenziaria dispone, invece, di un potere disciplinare ulteriore, che ha come destinatari soggetti esterni all'amministrazione (i detenuti) e che ha finalità diverse da quelle tradizionali, poiché strettamente legate alle attività di trattamento e rieducazione della popolazione carceraria.
66 A. PENNISI, Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, Torino, 2002, p. 236. 67
Il cui controllo riguardava, fino all’entrata in vigore del d.l. 146/2003, convertito nella legge 10/2014, solo determinate materie e soltanto per profili di legittimità e non anche di merito. Per esemplificare non poteva essere richiesto un riesame degli elementi probatori o della scelta dell'amministrazione di applicare una certa sanzione prevista dalla legge.
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4. Il magistrato di sorveglianza e le incertezze circa l’efficacia