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Un ulteriore indebolimento delle garanzie giurisdizionali: il commissario ad acta negli “anni di piombo” e la legislazione 

dell’emergenza varata nella prima metà degli anni Novanta 

 

Non  dobbiamo,  inoltre,  dimenticare  un  altro  intervento  posto  in  essere  dall'esecutivo,  che  molto  limitò  gli  effettivi  poteri  della  magistratura  di  sorveglianza  all'interno  delle  carceri.  Ci  riferiamo  al  decreto  interministeriale  pubblicato  sulla  Gazzetta  Ufficiale  il  4  maggio  1977,  relativo  al  “coordinamento  del  servizio  di  sicurezza  esterna  degli  istituti  penitenziari”.  Il  decreto  ora  citato  stabilì  che  la  competenza relativa al citato coordinamento venisse attribuita, per la  durata  di  un  anno,  ad  un  generale  dell'Arma  dei  Carabinieri:  Carlo  Alberto Dalla Chiesa. 

A  tale  ufficiale  venne  assegnata  la  facoltà  di  suggerire  ai  ministri  firmatari  del  decreto  (Bonifacio,  Lattanzi  e  Cossiga)  “le  necessarie  disposizioni  per  assicurare  l'espletamento  del  servizio”,  e  naturalmente la facoltà di visitare gli istituti98. Inoltre, i direttori delle  carceri  erano  tenuti  ad  informare  il  generale  Dalla  Chiesa  delle  misure  adottate  al  fine  di  assicurare  l'ordine,  la  sicurezza  e  la  disciplina  all'interno  degli  istituti.  Il  generale,  sulla  base  di  tali  informazioni,  poteva  presentare  proposte  o  richieste  al  ministero  di 

 

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  I. CAPPELLI, Il carcere contro‐riformato, in E. BLOCH, G. GARRONE (a cura di), Il carcere 

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grazia e giustizia, circa le disposizioni necessarie alla sicurezza interna  agli istituti. Ed è così che nacquero i primi cinque istituti "di massima  sicurezza", destinati a delinquenti comuni o politici più pericolosi, e a  detenuti  autori  di  un'opera  sobillatrice  o  di  sequestro  di  agenti  di  custodia, la cui dislocazione venne il più possibile celata.  

Tale  "segreto  di  Stato"  venne  alla  fine  svelato:  le  prime  carceri  speciali  furono  quelle  di  Favignana,  Asinara,  Cuneo,  Fossombrone  e  Trani. 

Un  magistrato  di  sorveglianza  riuscì  a  "strappare"  al  ministero  il  permesso di visitarli tutti. Dal resoconto che ne conseguì99, egli non  sembra  aver  avuto  assolutamente  una  buona  impressione  delle  carceri speciali. Lo stesso ha sottolineato che, nonostante si potesse  affermare  che  il  regolamento  d'esecuzione  della  legge  354/1975  prevedesse  all'articolo  32  l'assegnazione  e  il  raggruppamento  dei  detenuti con comportamento pericoloso, in istituti a sezioni speciali,  in  nessuna  norma  si  riscontrava  la  previsione  di  una  disapplicazione  della  legge  sull'o.p.  in  quegli  stessi  istituti  o  sezioni100.  Proprio  per  questo  i  magistrati  di  sorveglianza  sostenevano  la  necessità  di 

 

99  I. CAPPELLI, cit., p. 23‐29. 

100  Per ovviare a questa mancata previsione circa la possibilità di non applicare le norme 

della  legge  354/1975  sui  garanti  dei  diritti  dei  detenuti,  nonché  quelle  relative  al  trattamento,  si  ricorse  ad  un'applicazione  estesa  e,  in  pratica,  generalizzata,  dell'articolo  90  o.p..  Tale  norma  stabiliva  la  facoltà  per  il  ministro  di  grazia  e  giustizia,  “per  gravi  ed  eccezionali  motivi  di  ordine  e  sicurezza”  di  sospendere,  in  tutto  o  in  parte,  la  legge  in  questione  in  particolari  istituti,  o  sezioni  degli  stessi;  a  tal  proposito  si  veda  M.  GOZZINI, Carcere perché, carcere come, Firenze, 1988, pp. 49‐50. 

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assicurare  determinati  principi  di  garanzia,  anche  negli  istituti  speciali.  Tra  questi  principi  quello  che  più  direttamente  ci  interessa,  visto l’oggetto della presente tesi, è quello relativo alla previsione di  un  intervento  degli  stessi  magistrati  di  sorveglianza  volto  ad  evitare  un'eccessiva  discrezionalità  dell'amministrazione  penitenziaria  nella  determinazione dei criteri di identificazione dei detenuti da trasferire  nelle carceri speciali, nonché eventuali ingerenze esterne.  

I magistrati di sorveglianza sottolinearono, inoltre, la necessità di non  recidere, con una lontananza eccessiva, i legami esistenti, o in via di  formazione,  tra  detenuti  e  le  loro  famiglie,  e  l'applicazione,  fino  ad  allora svolta, del trattamento penitenziario101.  

Queste  raccomandazioni  vennero  fatte  con  lo  scopo  di  scongiurare  proprio  l'applicazione  sostanziale  dell'articolo  90  o.p.,  la  cui  applicazione formale era paventata da tempo.  

Come  abbiamo  visto  in  precedenza,  l'impegno  dei  magistrati  di  sorveglianza per cercare di rendere le carceri speciali luoghi conformi  alla  legge102,  cadde  nel  vuoto,  ed  anzi,  proprio  le  violazioni  delle  ricordate  garanzie  vennero  denunciate,  da  questi,  molto  chiaramente103.  I  criteri  di  selezione  dei  detenuti  da  destinare  agli 

 

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 I. CAPPELLI, Il carcere contro‐riformato, cit., p. 29. 

102 M. GOZZINI, Carcere perché, carcere come, cit., p. 49 in cui l’autore definisce gli istituti 

di  massima  sicurezza  come  carceri  che  “toccavano,  anzi  oltrepassavano,  il  confine  della  legalità”. 

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istituti speciali non vennero mai esplicitati, e per tale ragione i dubbi  circa la loro legittimità apparvero molto più che legittimi104. 

Altre  furono  le  ragioni  che  condussero  nei  primi  anni  ’90  all’introduzione  di  una  legislazione  ad  hoc  volta  a  contrastare  l’emergenza  mafiosa,  culminata  nell’attacco  diretto  allo  Stato  con  l’uccisione  dei  magistrati  Giovanni  Falcone  e  Paolo  Borsellino,  comprese  le  relative  scorte,  a  Palermo  nel  1992,  e  con  gli  attentati  esplosivi  di  Firenze,  Roma  e  Milano,  nell’anno  successivo.  Ma  nonostante le diverse ragioni da cui scaturirono, anche in questi casi  furono adottate misure carcerarie eccezionali. Oltre alle strutture di  massima  sicurezza  venne  introdotto  un  regime  trattamentale  rigidissimo.  Anche  in  questo  caso  diverse  parti  della  dottrina  sollevarono  le  problematiche  sopra  esposte  circa  la  possibilità  per  quei  detenuti  di  godere,  quantomeno,  di  una  tutela  giurisdizionale  dei diritti umani basilari.            104 Igino Cappelli durante il suo itinerario attraverso i diversi istituti speciali, incontrò nel 

carcere  di  massima  sicurezza  di  Favignana  un  detenuto  in  attesa  di  giudizio,  lì  trasferito  nonostante  avesse  tenuto  nel  carcere  da  cui  proveniva,  una  condotta  irreprensibile,  confermata  anche  dal  magistrato  di  sorveglianza  di  quel  carcere  (Cuneo)  dove  tale  soggetto  aveva  svolto,  tra  l'altro,  attività  di  scrivano.  La  sensazione  che  ci  ha  procurato  tutta la vicenda degli istituti di sorveglianza, come esposta da Igino Cappelli, è stata quella  della pratica sostanziale sottrazione alla competenza della magistratura di sorveglianza di  circa  600  detenuti  (tanti  quanti  erano  i  trasferiti  nei  primi  cinque  istituti  di  massima  sicurezza),  sottoposti  a  gravi  e  pesanti  limitazioni  dei  loro  diritti  fondamentali,  probabilmente non necessarie. 

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CAPITOLO TERZO 

Le indicazioni  provenienti dalla Corte costituzionale e i moniti  dei giudici di Strasburgo               

1.    Le  persistenti  ambiguità  e  gli  imbarazzanti  silenzi  che  hanno