Quello che attiene ai rapporti intercorrenti tra il magistrato di sorveglianza e l'amministrazione penitenziaria è uno degli argomenti di carattere generale che più ha interessato la dottrina e che più ha impegnato, e impegna ad oggi, tutti gli operatori dell'ambito carcerario.
Del resto, come abbiamo visto nel capitolo precedente, la questione in esame si era presentata all'attenzione del comitato di “esperti" chiamati a redigere la bozza che portò al regolamento penitenziario e, quindi, alla nascita del giudice di sorveglianza. Nella disciplina dei rapporti tra tale giudice e amministrazione, non vi erano molte possibilità di dubbio: il giudice era competente sulle materie espressamente previste dai codici penale e di procedura penale nonché dal regolamento, con possibilità di intervento certo troppo ampie, mentre l'amministrazione aveva facoltà su tutto quanto non era contemplato dalle suddette fonti legislative.
La disciplina stabilita dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 ha rafforzato ed ampliato i poteri del magistrato di sorveglianza, prevedendo una sua maggiore presenza nel carcere68. Tale magistrato ha acquisito,
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N. FRANCO, Magistrato di sorveglianza e amministrazione penitenziaria, in Quale
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quindi, maggiori possibilità di operare all’interno dell’ambiente penitenziario e, soprattutto, ha visto chiaramente la necessità di interloquire con l'amministrazione penitenziaria per esplicare le proprie funzioni.
Le nuove attribuzioni del magistrato di sorveglianza comprendevano materie sensibilmente più rilevanti di quelle che ricadevano sotto la competenza del giudice di sorveglianza. Questo è avvenuto sia per ciò che riguardava l'esecuzione della pena all'esterno delle carceri che per ciò che atteneva all'esecuzione della pena interna alle stesse. Per quanto concerne il primo tipo di attività pensiamo alla funzione del magistrato di sorveglianza in tema di permessi, ed anche a quelle funzioni svolte dal magistrato di sorveglianza quale membro della sezione di sorveglianza, in materia di misure alternative alla detenzione.
In relazione alle funzioni sull'esecuzione interna alle carceri, va considerata l'approvazione del programma di trattamento con ordine di servizio. Fondamentali inoltre erano le eventuali disposizioni che il magistrato di sorveglianza avesse ritenuto opportune per eliminare violazioni dei diritti dei detenuti. Inoltre il magistrato di sorveglianza, tramite la decisione con ordine di servizio sui reclami previsti dall'articolo 69, 5° comma, o.p., interveniva a tutela dei diritti dei
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detenuti, rappresentando un mezzo di garanzia più agevole per chi fosse recluso in carcere69.
Si può vedere come il magistrato di sorveglianza fosse stato fornito, sulla carta, di competenze capaci di esplicare un'efficace attività di controllo e di direzione (nel senso di indicare la direzione verso la quale deve muoversi l'azione penitenziaria) della vita interna alle carceri. Abbiamo usato l'espressione “sulla carta" poiché, in realtà, difficilmente la magistratura di sorveglianza è stata in grado di intervenire in maniera rilevante, efficace e costruttiva, unicamente in forza dei propri poteri.
Le cause di una tale difficoltà vanno innanzitutto rinvenute nello strumento dell’ordine di servizio, provvedimento che nel corso degli anni ha sollevato non poche questioni. Era pressoché pacifico70 che l'ordine di servizio, e, meno pacificamente, le attività che con esso si esercitavano, avessero natura amministrativa. Infatti il nodo da risolvere non atteneva tanto alla natura, quanto all'efficacia dell'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza nei confronti dell'amministrazione penitenziaria.
69 Come già sottolineato, la competenza in questione è rimasta invariata fino all’entrata in
vigore del d.l. 146/2013, convertito con modificazioni nella legge 10/2014, con il quale si è inserito l’art. 35 bis o.p. e si è modificato l’art. 69 medesimo (vedi infra cap. 4). Va comunque detto che fino alla modifica legislativa il provvedimento per reclamo veniva preso, relativamente (e tassativamente) nelle materie specificate, non più attraverso ordine di servizio, ma con ordinanza.
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Si veda per tutti G. VASSALLI, La potestà punitiva, Torino, 1942, p. 363.
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Se si considera la disciplina dell'ordine di servizio, in base all'articolo 585 c.p.p. il giudice di sorveglianza emetteva con ordine di servizio i provvedimenti di cui all'articolo 144 c.p.; questi provvedimenti venivano poi comunicati all'autorità che doveva eseguirli.
Dalla lettura di tale norma poteva sembrare che all'autorità destinataria della comunicazione non rimanesse possibilità di scelta se eseguire o non eseguire l’ordine di servizio. È vero anche che la dizione generica dell'articolo 144 c.p. veniva specificata, in senso limitativo rispetto alle potenzialità della norma, dall'articolo 4 del regolamento71.
Andava sottolineata una certa coerenza, nel sistema ora delineato, a livello codicistico. Probabilmente fu proprio detta coerenza, risultato forse di una svista o di una leggerezza del legislatore fascista, a rendere necessario l'intervento contenitore del regolamento72. Pare che comunque, per lungo tempo, gli ordini di servizio dei giudici di sorveglianza, contenessero soprattutto decisioni sfavorevoli ai detenuti, quindi, nonostante secondo alcuni l'amministrazione dovesse obbligatoriamente attuarli, non si crearono grossi conflitti tra la stessa e i giudici di sorveglianza. Di conseguenza non si avvertì l'esigenza di modificare la disciplina degli ordini di servizio.
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G. TAMBURINO, L'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza, in Quale giustizia, 1978, p. 456.
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Ad un tratto, presumibilmente fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, il contenuto della decisione tramite ordine di servizio mutò parzialmente e talvolta si verificarono casi in cui la decisione era favorevole al detenuto73.
A corroborare questa collocazione temporale, intervenne l'affermazione secondo la quale il rimedio predisposto per fronteggiare il diverso profilarsi sia dell'atteggiamento dei giudici di sorveglianza che dei rapporti tra questi e l'amministrazione penitenziaria, fosse stato l'emanazione della l. 354/1975, ed in maniera specifica l’art. 89 della stessa legge74.
Con l'eliminazione dell'articolo 585 c.p.p., non vi era più nessuna norma di legge che affermasse l'obbligo dell'attuazione degli ordini di servizio del magistrato di sorveglianza.
Arriviamo così al punto nodale della nostra analisi: dopo l'emanazione della legge di riforma dell’ordinamento penitenziario l'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza era vincolante per l'amministrazione penitenziaria, o viceversa poteva fungere soltanto da indicazione da applicare discrezionalmente dall’amministrazione? Le risposte al quesito ora posto sono state molteplici e alquanto differenti tra loro.
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G. TAMBURINO, L'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza, cit., p. 457.
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Alcuni hanno affermato la vincolatività dell'ordine di servizio per l'amministrazione penitenziaria, ma gli stessi si sono poi chiesti quali potessero essere gli interventi nei confronti di quest'ultima, nel caso in cui si rifiutasse di eseguire l'ordine di servizio75.
Inoltre, partendo dal presupposto che la previsione del potere del magistrato di sorveglianza di decidere su determinate materie con ordine di servizio, rappresentava la volontà di fornire ai detenuti un efficace strumento di tutela dei propri diritti a loro più accessibile76, ma non esclusivo (nel senso che l'ordine di servizio non precludeva l'esperibilità di un'azione davanti al giudice ordinario o amministrativo, a seconda della materia), è stato sostenuto che l'ordine di servizio era valido ed eseguibile a meno che non intervenisse una decisione giurisdizionale, conclusiva di una controversia portata di fronte al giudice ordinario (o amministrativo) dalle parti, sulla stessa materia oggetto del provvedimento del magistrato di sorveglianza77.
Vi è stato, poi, chi ha compiuto un'analisi dei rapporti tra magistrato di sorveglianza e amministrazione penitenziaria, conseguenti
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G. ZAPPA, Gli uffici di sorveglianza. Ipotesi di ristrutturazione, in C.S.M., Problemi attuali
della magistratura di sorveglianza", cit., p. 87‐88.
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Questa era la prevalente interpretazione che i giudici di sorveglianza avevano reso nell’esercizio delle funzioni proprie del loro ruolo.
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all'emanazione di ordini di servizio, dalla quale emergevano molto chiaramente le questioni nevralgiche del problema78.
Si pose una netta differenziazione tra le funzioni giudiziarie e le funzioni amministrative attribuite al magistrato di sorveglianza. Venne, inoltre, correttamente sostenuto che tale magistrato, anche se svolgeva attività di tipo amministrativo, non per questo doveva essere considerato come organo dell'amministrazione, né come organo a questa collegato da un dato rapporto gerarchico.
Era quindi indubbio che il magistrato di sorveglianza appariva allora, e rimane ad oggi, organo giudiziario, anche quando gli vengono attribuite funzioni amministrative79. Si affermò, inoltre, che essendo la competenza territoriale del magistrato di sorveglianza limitata, e ricadendo, quindi, sotto la sua giurisdizione solo alcuni istituti penitenziari, anche i suoi poteri di controllo, nonché il potere di decidere con ordine di servizio sui reclami previsti dall'articolo 69, 5° comma, o.p., dovevano essere considerati circoscritti alle violazioni o alle erronee applicazioni della legge commesse dagli organi
78 L. TRAPAZZO, in Tavola rotonda sul tema: funzioni del magistrato di sorveglianza con
riferimento anche alle misure di sicurezza. Rapporti con l'amministrazione penitenziaria centrale e periferica., in C.S.M., Diritto penitenziario e misure alternative, cit., pp. 60‐64. Si
voglia tener presente, che l'autore di questa dissertazione era, all’epoca, magistrato della direzione generale degli istituti di prevenzione e di pena.
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L. TRAPAZZO, cit., pp. 62‐63, dove l'autore, nonostante non mettesse in discussione la natura amministrativa delle funzioni esercitate nelle ipotesi in esame, precisava che l'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza non poteva considerarsi neanche un provvedimento amministrativo, mancando la previsione di specifiche norme procedurali assimilabili a quelle che devono rispettarsi nei procedimenti amministrativi di secondo grado.
68 amministrativi periferici. Di conseguenza venne poi sostenuto che si doveva porre una differenziazione tra gli atti emanati da questi ultimi in base ai propri poteri dispositivi ed entro i limiti di questi, e quelli compiuti dagli stessi organi, ma in attuazione di direttive impartitegli dalla direzione generale o comunque da un organo gerarchicamente superiore. Nel primo caso poteva ammettersi la validità ed efficacia dell'ordine di servizio, in quanto il magistrato di sorveglianza poteva far rilevare una violazione di legge che si era manifestata nell'istituto di sua competenza: si sosteneva che questa affermazione trovasse fondamento nella stessa disciplina dei reclami in esame, che sembrava prevedere, in base all'interpretazione definita prevalente, proprio questa possibilità per il magistrato di sorveglianza.
Nel secondo caso non era possibile, invece, fare la stessa affermazione poiché, altrimenti, sarebbe stato necessario ritenere accettabile che in certi istituti si potessero attuare programmi e indirizzi difformi da quelli attuati sul resto del territorio nazionale. Inoltre, dare validità ed efficacia all'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza in tale ipotesi, avrebbe comportato una inosservanza, da parte dell'organo amministrativo periferico, di un ordine impartitogli da un suo superiore. Nonostante, però, si parlasse di
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ordine di servizio “valido, efficacie e imperativo”80 si negava, in qualunque ipotesi, una efficacia vincolante di questo provvedimento per l'amministrazione penitenziaria.
Tale negazione si sarebbe fondata sui principi generali di diritto amministrativo, ai quali è necessario ricorrere essendovi, in materia, una lacuna legislativa. In base ai principi ora ricordati la pubblica amministrazione, di fronte ad un provvedimento giurisdizionale a lei sfavorevole, ha comunque la facoltà di valutare l'opportunità di adempiere o meno all'obbligo di fare eventualmente impostogli. A maggior ragione sussisteva questa discrezionalità nei confronti di un provvedimento sicuramente non giurisdizionale quale l'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza. Anche ammettendo la natura amministrativa dell'ordine di servizio (cosa definita non sostenibile per le ragioni ricordate), non essendo, comunque, il magistrato di sorveglianza organo amministrativo gerarchicamente superiore rispetto all'amministrazione penitenziaria, saremmo giunti alla stessa conclusione.
Purtroppo il silenzio della legge 354/1975 ha reso molto difficile smentire, su base normativa, la tesi appena esposta.
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Nei confronti degli atti posti in essere dagli organi periferici nei limiti dei poteri a loro conferiti.
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La lacuna che si è creata con l'abrogazione dell'articolo 585 c.p.p. avrebbe potuto essere colmata tramite un'interpretazione logica, o meglio, teleologica, della legge di riforma. Era necessario, cioè, individuare lo scopo della norma, capire perché questa era stata emanata in quel dato contesto storico: c’era da ricercare la c.d.
voluntas legis.
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5. (Segue) … In particolare, la questione degli ordini di servizio
È innegabile che con la legge 354/1975 si sia compiuto un certo ampliamento delle competenze e dei poteri del magistrato di sorveglianza, senza poi contare il divario tra teoria e pratica attuazione della legge. È poi indiscutibile che tra tali competenze vi fosse, perlomeno a livello di previsione normativa, un certo potere di controllo di legalità sull'attività penitenziaria. Il reclamo, e il provvedimento che decideva sulla materia oggetto dello stesso, cioè l'ordine di servizio, sono stati definiti come “il mezzo con cui viene strumentato, per particolari e significative materie, il potere di vigilanza del magistrato di sorveglianza sulla istituzione penitenziaria”81. Se, quindi, si assume che questa fosse la voluntas
legis, appare logico, e teleologicamente conforme alla legge,
considerare l'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza, come vincolante per l'amministrazione penitenziaria. Lo stesso Alessandro Margara riteneva la vincolatività del provvedimento in questione quale “condizione di fondo” per l'esercizio della funzione di vigilanza dell'autorità giudiziaria in esame82.
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A. Margara, Relazione, intervento alla tavola rotonda sul tema Funzioni del magistrato di
sorveglianza con riferimento anche alle misure di sicurezza. Rapporti con l'Amministrazione Penitenziaria centrale e periferica, in C.S.M., Diritto penitenziario e misure alternative, cit., p. 53.
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Non si nega che vi sia stata un'omissione da parte del legislatore, in quanto una specifica previsione normativa in relazione all'efficacia dell'ordine di servizio avrebbe, in un senso o nell'altro, "sgombrato il campo" da interpretazioni tanto contrastanti.
La tesi ora esposta ha validità nei limiti in cui è corrispondente a verità la finalità che abbiamo attribuito alla l. 354/1975 nella parte relativa ai poteri del magistrato di sorveglianza. L'affermare che tale norma, nel suo complesso, non abbia voluto, in realtà, rafforzare la posizione del magistrato di sorveglianza e che non abbia inteso creare un organo garante della legalità dell'attività penitenziaria, ci porterebbe a sostenere la pratica inutilità delle singole disposizioni relative all'autorità giudiziaria in esame e alla sua funzione di vigilanza. Il dubbio è più che legittimo, non solo in forza della volontà che il legislatore ha manifestato con gli interventi successivi all'emanazione della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, ma anche sulla base di norme contenute nella stessa.
Basti pensare alla prospettazione di cui parla l'articolo 69 o.p, 1° comma, le cui implicazioni, dal punto di vista dell'effettività dei poteri del magistrato di sorveglianza, sono già state considerate.
La formulazione dell'articolo 69 o.p., 5° comma, secondo cui “il magistrato di sorveglianza decide con ordine di servizio” non avrebbe
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dovuto lasciare dubbi, considerata nell'ambito della legge 354/1975 e tenendo conto della funzione di garanzia dalla stessa attribuita alla autorità giudiziaria in esame83.
Scendendo ad esaminare i rapporti, che abbiamo fin qui visto soltanto nella teoria, anche nella pratica, si nota che questa è stata caratterizzata da atteggiamenti non ben definiti. Consideriamone, a titolo esemplificativo, uno, evidenziato da Giovanni Tamburino84. Il 12 febbraio 1977 alcuni detenuti chiesero al ministro di grazia e giustizia “che le mercedi previste dall'art. 22 o.p. venissero corrisposte ai carcerati lavoratori” a partire dalla data di entrata in vigore della legge stessa, e non a partire dall'anno successivo. Il ministero, due settimane dopo, rispose che la richiesta indirizzatagli avrebbe dovuto essere oggetto di reclamo al magistrato di sorveglianza, rientrando nella sua competenza. I detenuti presentarono i loro reclami al citato magistrato, che decise nel mese di agosto con ordine di servizio, in senso favorevole ai detenuti. Fino a questo punto la vicenda si svolse nella norma, tralasciando la tempistica della magistratura che, come di consueto, registrò tempi biblici, ma lo stesso non può dirsi del successivo atto del ministero. Questi, infatti, ordinò di non dare esecuzione al provvedimento del
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L. Daga, Intervento, in C.S.M., Diritto penitenziario e misure alternative, cit., p. 239.
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magistrato di sorveglianza, poiché i reclami dei detenuti erano da ritenersi infondati per le motivazioni enunciate nella precedente circolare ministeriale del 26 febbraio 1977. Le motivazioni ministeriali si basavano sulla erroneità dell'individuazione dell'organo destinatario dell'istanza, come abbiamo visto, e non su valutazioni di merito. La risposta ministeriale appariva quantomeno fuori luogo. Questo ora descritto è stato solo uno dei casi in cui non si è data attuazione ad un ordine di servizio del magistrato di sorveglianza. Con l’ordinanza 21 dicembre 1978, n. 87 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Bologna. Il motivo del ricorso era il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in particolare fra l'organo giudiziario e il ministero di grazia e giustizia, relativamente all'ordine di servizio previsto dall'articolo 69, 5° comma, lett. a) o.p.. Anche in questo caso il ministero disattese un ordine di servizio emesso dal magistrato di sorveglianza di Bologna su un reclamo di alcuni detenuti che chiedevano fosse loro corrisposta la mercede per le giornate festive infrasettimanali nelle quali non avevano prestato la loro opera. Il ministero non dette esecuzione all'ordine di servizio emanato in senso favorevole ai detenuti, poiché il provvedimento in
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questione, secondo il proprio convincimento, non era vincolante per l'amministrazione.
La consulta dichiarò inammissibile il ricorso per il difetto del requisito oggettivo nel ricorrente. La legittimazione a presentare ricorso alla Corte Costituzionale spettava agli organi giurisdizionali nell'esercizio delle loro funzioni. Cosa che, sostenne la Corte, non poteva sussistere nel caso in esame, poiché le attività previste dall'articolo 69, 5° comma, lett. a) o.p. non potevano farsi rientrare in tale tipo di funzioni.
Commentando detta ordinanza parte della dottrina rilevava che il fatto per cui fosse stata attribuita la competenza sui reclami in questione ad un organo appartenente al potere giudiziario, non doveva essere ignorato al fine di decidere sulla legittimazione di quest'ultimo alla presentazione di un ricorso alla Corte Costituzionale85.
Molto probabilmente il magistrato di sorveglianza avrebbe potuto ricorrere non tanto per un conflitto negativo di poteri, bensì per un conflitto positivo, essendo maggiormente raffigurabile, nel caso concreto, un comportamento dell'esecutivo lesivo delle attribuzioni del magistrato di sorveglianza stesso, piuttosto che per
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S. BARTOLE, Attribuzione ai giudici di funzioni non giurisdizionali e tutela della loro
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l'appropriazione delle stesse. L'attività svolta dal magistrato di sorveglianza nei casi previsti dall'articolo 69, 5° comma, lett. a), o.p. se non poteva considerarsi giurisdizionale, non poteva neanche definirsi prettamente amministrativa, e sarebbe stato opportuno parlare di funzioni neutrali.
Il fatto di attribuire ai giudici funzioni non giurisdizionali non doveva comunque portare alla lesione di un principio costituzionalmente garantito quale quello dell'indipendenza del giudice.
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6. Il controverso rapporto fra magistrati ed amministrazione.