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Il magistrato di sorveglianza e le incertezze circa l’efficacia vincolante dei suoi provvedimenti 

 

Quello  che  attiene  ai  rapporti  intercorrenti  tra  il  magistrato  di  sorveglianza e l'amministrazione penitenziaria è uno degli argomenti  di carattere generale che più ha interessato la dottrina e che più ha  impegnato,  e  impegna  ad  oggi,  tutti  gli  operatori  dell'ambito  carcerario.  

Del resto, come abbiamo visto nel capitolo precedente, la questione  in  esame  si  era  presentata  all'attenzione  del  comitato  di  “esperti"  chiamati a redigere la bozza che portò al regolamento penitenziario  e, quindi, alla nascita del giudice di sorveglianza. Nella disciplina dei  rapporti  tra  tale  giudice  e  amministrazione,  non  vi  erano  molte  possibilità  di  dubbio:  il  giudice  era  competente  sulle  materie  espressamente  previste  dai  codici  penale  e  di  procedura  penale  nonché  dal  regolamento,  con  possibilità  di  intervento  certo  troppo  ampie,  mentre  l'amministrazione  aveva  facoltà  su  tutto  quanto  non  era contemplato dalle suddette fonti legislative.  

La disciplina stabilita dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 ha rafforzato  ed ampliato i poteri del magistrato di sorveglianza, prevedendo una  sua  maggiore  presenza  nel  carcere68.  Tale  magistrato  ha  acquisito, 

 

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  N.  FRANCO,  Magistrato  di  sorveglianza  e  amministrazione  penitenziaria,  in Quale 

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quindi,  maggiori  possibilità  di  operare  all’interno  dell’ambiente  penitenziario  e,  soprattutto,  ha  visto  chiaramente  la  necessità  di  interloquire  con  l'amministrazione  penitenziaria  per  esplicare  le  proprie funzioni. 

Le nuove attribuzioni del magistrato di sorveglianza comprendevano  materie sensibilmente più rilevanti di quelle che ricadevano sotto la  competenza del giudice di sorveglianza. Questo è avvenuto sia per ciò  che  riguardava  l'esecuzione  della  pena  all'esterno  delle  carceri  che  per ciò che atteneva all'esecuzione della pena interna alle stesse.  Per quanto concerne il primo tipo di attività pensiamo alla funzione  del magistrato di sorveglianza in tema di permessi, ed anche a quelle  funzioni  svolte  dal  magistrato  di  sorveglianza  quale  membro  della  sezione  di  sorveglianza,  in  materia  di  misure  alternative  alla  detenzione.  

In  relazione  alle  funzioni  sull'esecuzione  interna  alle  carceri,  va  considerata l'approvazione del programma di trattamento con ordine  di servizio. Fondamentali inoltre erano le eventuali disposizioni che il  magistrato  di  sorveglianza  avesse  ritenuto  opportune  per  eliminare  violazioni dei diritti dei detenuti. Inoltre il magistrato di sorveglianza,  tramite  la  decisione  con  ordine  di  servizio  sui  reclami  previsti  dall'articolo  69,  5°  comma,  o.p.,  interveniva  a  tutela  dei  diritti  dei 

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detenuti,  rappresentando  un  mezzo  di  garanzia  più  agevole  per  chi  fosse recluso in carcere69.  

Si può vedere come il magistrato di sorveglianza fosse stato fornito,  sulla  carta,  di  competenze  capaci  di  esplicare  un'efficace  attività  di  controllo  e  di  direzione  (nel  senso  di  indicare  la  direzione  verso  la  quale  deve  muoversi  l'azione  penitenziaria)  della  vita  interna  alle  carceri.  Abbiamo  usato  l'espressione  “sulla  carta"  poiché,  in  realtà,  difficilmente  la  magistratura  di  sorveglianza  è  stata  in  grado  di  intervenire in maniera rilevante, efficace e costruttiva, unicamente in  forza dei propri poteri.  

Le  cause  di  una  tale  difficoltà  vanno  innanzitutto  rinvenute  nello  strumento dell’ordine di servizio, provvedimento che nel corso degli  anni  ha  sollevato  non  poche  questioni.  Era  pressoché  pacifico70  che  l'ordine di servizio, e, meno pacificamente, le attività che con esso si  esercitavano,  avessero  natura  amministrativa.  Infatti  il  nodo  da  risolvere  non  atteneva  tanto  alla  natura,  quanto  all'efficacia  dell'ordine  di  servizio  del  magistrato  di  sorveglianza  nei  confronti  dell'amministrazione penitenziaria. 

 

69 Come già sottolineato, la competenza in questione è rimasta invariata fino all’entrata in 

vigore del d.l. 146/2013, convertito con modificazioni nella legge 10/2014, con il quale si è  inserito  l’art.  35  bis  o.p.  e  si  è  modificato  l’art.  69  medesimo  (vedi  infra  cap.  4).  Va  comunque  detto  che  fino  alla  modifica  legislativa  il  provvedimento  per  reclamo  veniva  preso,  relativamente  (e  tassativamente)  nelle  materie  specificate,  non  più  attraverso  ordine di servizio, ma con ordinanza. 

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  Si veda per tutti G. VASSALLI, La potestà punitiva, Torino, 1942, p. 363.   

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Se si considera la disciplina dell'ordine di servizio, in base all'articolo  585 c.p.p. il giudice di sorveglianza emetteva con ordine di servizio i  provvedimenti  di  cui  all'articolo  144  c.p.;  questi  provvedimenti  venivano poi comunicati all'autorità che doveva eseguirli.  

Dalla  lettura  di  tale  norma  poteva  sembrare  che  all'autorità  destinataria  della  comunicazione  non  rimanesse  possibilità  di  scelta  se  eseguire  o  non  eseguire  l’ordine  di  servizio.  È  vero  anche  che  la  dizione  generica  dell'articolo  144  c.p.  veniva  specificata,  in  senso  limitativo  rispetto  alle  potenzialità  della  norma,  dall'articolo  4  del  regolamento71.  

Andava sottolineata una certa coerenza, nel sistema ora delineato, a  livello codicistico. Probabilmente fu proprio detta coerenza, risultato  forse  di  una  svista  o  di  una  leggerezza  del  legislatore  fascista,  a  rendere  necessario  l'intervento  contenitore  del  regolamento72.  Pare  che  comunque,  per  lungo  tempo,  gli  ordini  di  servizio  dei  giudici  di  sorveglianza,  contenessero  soprattutto  decisioni  sfavorevoli  ai  detenuti,  quindi,  nonostante  secondo  alcuni  l'amministrazione  dovesse  obbligatoriamente  attuarli,  non  si  crearono  grossi  conflitti  tra la stessa e i giudici di sorveglianza. Di conseguenza non si avvertì  l'esigenza di modificare la disciplina degli ordini di servizio.  

 

71

  G.  TAMBURINO,  L'ordine  di  servizio  del  magistrato  di  sorveglianza,  in Quale  giustizia,  1978, p. 456. 

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Ad un tratto, presumibilmente fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli  anni ’70, il contenuto della decisione tramite ordine di servizio mutò  parzialmente  e  talvolta  si  verificarono  casi  in  cui  la  decisione  era  favorevole al detenuto73.  

A  corroborare  questa  collocazione  temporale,  intervenne  l'affermazione  secondo  la  quale  il  rimedio  predisposto  per  fronteggiare  il  diverso  profilarsi  sia  dell'atteggiamento  dei  giudici  di  sorveglianza  che  dei  rapporti  tra  questi  e  l'amministrazione  penitenziaria,  fosse  stato  l'emanazione  della  l.  354/1975,  ed  in  maniera specifica l’art. 89 della stessa legge74.  

Con  l'eliminazione  dell'articolo  585  c.p.p.,  non  vi  era  più  nessuna  norma di legge che affermasse l'obbligo dell'attuazione degli ordini di  servizio del magistrato di sorveglianza.  

Arriviamo  così  al  punto  nodale  della  nostra  analisi:  dopo  l'emanazione  della  legge  di  riforma  dell’ordinamento  penitenziario  l'ordine  di  servizio  del  magistrato  di  sorveglianza  era  vincolante  per  l'amministrazione penitenziaria, o viceversa poteva fungere soltanto  da indicazione da applicare discrezionalmente dall’amministrazione?  Le  risposte  al  quesito  ora  posto  sono  state  molteplici  e  alquanto  differenti tra loro. 

 

73

 G. TAMBURINO, L'ordine di servizio del magistrato di sorveglianza, cit., p. 457. 

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Alcuni  hanno  affermato  la  vincolatività  dell'ordine  di  servizio  per  l'amministrazione penitenziaria, ma gli stessi si sono poi chiesti quali  potessero essere gli interventi nei confronti di quest'ultima, nel caso  in cui si rifiutasse di eseguire l'ordine di servizio75.  

Inoltre,  partendo  dal  presupposto  che  la  previsione  del  potere  del  magistrato  di  sorveglianza  di  decidere  su  determinate  materie  con  ordine di servizio, rappresentava la volontà di fornire ai detenuti un  efficace strumento di tutela dei propri diritti a loro più accessibile76,  ma  non  esclusivo  (nel  senso  che  l'ordine  di  servizio  non  precludeva  l'esperibilità  di  un'azione  davanti  al  giudice  ordinario  o  amministrativo,  a  seconda  della  materia),  è  stato  sostenuto  che  l'ordine  di  servizio  era  valido  ed  eseguibile  a  meno  che  non  intervenisse  una  decisione  giurisdizionale,  conclusiva  di  una  controversia portata di fronte al giudice ordinario (o amministrativo)  dalle  parti,  sulla  stessa  materia  oggetto  del  provvedimento  del  magistrato di sorveglianza77. 

Vi è stato, poi, chi ha compiuto un'analisi dei rapporti tra magistrato  di  sorveglianza  e  amministrazione  penitenziaria,  conseguenti 

 

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 G. ZAPPA, Gli uffici di sorveglianza. Ipotesi di ristrutturazione, in C.S.M., Problemi attuali 

della magistratura di sorveglianza", cit., p. 87‐88. 

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  Questa  era  la  prevalente  interpretazione  che  i  giudici  di  sorveglianza  avevano  reso  nell’esercizio delle funzioni proprie del loro ruolo. 

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all'emanazione  di  ordini  di  servizio,  dalla  quale  emergevano  molto  chiaramente le questioni nevralgiche del problema78. 

Si  pose  una  netta  differenziazione  tra  le  funzioni  giudiziarie  e  le  funzioni  amministrative  attribuite  al  magistrato  di  sorveglianza.  Venne,  inoltre,  correttamente  sostenuto  che  tale  magistrato,  anche  se  svolgeva  attività  di  tipo  amministrativo,  non  per  questo  doveva  essere  considerato  come  organo  dell'amministrazione,  né  come  organo a questa collegato da un dato rapporto gerarchico.  

Era quindi indubbio che il magistrato di sorveglianza appariva allora,  e  rimane  ad  oggi,  organo  giudiziario,  anche  quando  gli  vengono  attribuite funzioni amministrative79. Si affermò, inoltre, che essendo  la  competenza  territoriale  del  magistrato  di  sorveglianza  limitata,  e  ricadendo,  quindi,  sotto  la  sua  giurisdizione  solo  alcuni  istituti  penitenziari,  anche  i  suoi  poteri  di  controllo,  nonché  il  potere  di  decidere con ordine di servizio sui reclami previsti dall'articolo 69, 5°  comma, o.p., dovevano essere considerati circoscritti alle violazioni o  alle  erronee  applicazioni  della  legge  commesse  dagli  organi 

 

78   L.  TRAPAZZO,  in  Tavola  rotonda  sul  tema:  funzioni  del  magistrato  di  sorveglianza  con 

riferimento  anche  alle  misure  di  sicurezza.  Rapporti  con  l'amministrazione  penitenziaria  centrale e periferica., in C.S.M., Diritto penitenziario e misure alternative, cit., pp. 60‐64. Si 

voglia tener presente, che l'autore di questa dissertazione era, all’epoca, magistrato della  direzione generale degli istituti di prevenzione e di pena. 

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  L. TRAPAZZO, cit., pp. 62‐63, dove l'autore, nonostante non mettesse in discussione la  natura  amministrativa  delle  funzioni  esercitate  nelle  ipotesi  in  esame,  precisava  che  l'ordine  di  servizio  del  magistrato  di  sorveglianza  non  poteva  considerarsi  neanche  un  provvedimento  amministrativo,  mancando  la  previsione  di  specifiche  norme  procedurali  assimilabili  a  quelle  che  devono  rispettarsi  nei  procedimenti  amministrativi  di  secondo  grado. 

68  amministrativi periferici. Di conseguenza venne poi sostenuto che si  doveva porre una differenziazione tra gli atti emanati da questi ultimi  in base ai propri poteri dispositivi ed entro i limiti di questi, e quelli  compiuti dagli stessi organi, ma in attuazione di direttive impartitegli  dalla direzione generale o comunque da un organo gerarchicamente  superiore.   Nel primo caso poteva ammettersi la validità ed efficacia dell'ordine  di servizio, in quanto il magistrato di sorveglianza poteva far rilevare  una  violazione  di  legge  che  si  era  manifestata  nell'istituto  di  sua  competenza:  si  sosteneva  che  questa  affermazione  trovasse  fondamento  nella  stessa  disciplina  dei  reclami  in  esame,  che  sembrava  prevedere,  in  base  all'interpretazione  definita  prevalente,  proprio questa possibilità per il magistrato di sorveglianza.  

Nel  secondo  caso  non  era  possibile,  invece,  fare  la  stessa  affermazione  poiché,  altrimenti,  sarebbe  stato  necessario  ritenere  accettabile  che  in  certi  istituti  si  potessero  attuare  programmi  e  indirizzi  difformi  da  quelli  attuati  sul  resto  del  territorio  nazionale.  Inoltre, dare validità ed efficacia all'ordine di servizio del magistrato  di sorveglianza in tale ipotesi, avrebbe comportato una inosservanza,  da  parte  dell'organo  amministrativo  periferico,  di  un  ordine  impartitogli  da  un  suo  superiore.  Nonostante,  però,  si  parlasse  di 

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ordine  di  servizio  “valido,  efficacie  e  imperativo”80  si  negava,  in  qualunque ipotesi, una efficacia vincolante di questo provvedimento  per l'amministrazione penitenziaria. 

Tale  negazione  si  sarebbe  fondata  sui  principi  generali  di  diritto  amministrativo, ai quali è necessario ricorrere essendovi, in materia,  una  lacuna  legislativa.  In  base  ai  principi  ora  ricordati  la  pubblica  amministrazione, di fronte ad un provvedimento giurisdizionale a lei  sfavorevole,  ha  comunque  la  facoltà  di  valutare  l'opportunità  di  adempiere o meno all'obbligo di fare eventualmente impostogli.   A  maggior  ragione  sussisteva  questa  discrezionalità  nei  confronti  di  un  provvedimento  sicuramente  non  giurisdizionale  quale  l'ordine  di  servizio del magistrato di sorveglianza. Anche ammettendo la natura  amministrativa  dell'ordine  di  servizio  (cosa  definita  non  sostenibile  per  le  ragioni  ricordate),  non  essendo,  comunque,  il  magistrato  di  sorveglianza  organo  amministrativo  gerarchicamente  superiore  rispetto all'amministrazione penitenziaria, saremmo giunti alla stessa  conclusione. 

Purtroppo  il  silenzio  della  legge  354/1975  ha  reso  molto  difficile  smentire, su base normativa, la tesi appena esposta.  

 

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 Nei confronti degli atti posti in essere dagli organi periferici nei limiti dei poteri a loro  conferiti. 

70 

La  lacuna  che  si  è  creata  con  l'abrogazione  dell'articolo  585  c.p.p.  avrebbe  potuto  essere  colmata  tramite  un'interpretazione  logica,  o  meglio,  teleologica,  della  legge  di  riforma.  Era  necessario,  cioè,  individuare  lo  scopo  della  norma,  capire  perché  questa  era  stata  emanata  in  quel  dato  contesto  storico:  c’era  da  ricercare  la  c.d. 

voluntas legis.                                                      

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5. (Segue) … In particolare, la questione degli ordini di servizio   

È  innegabile  che  con  la  legge  354/1975  si  sia  compiuto  un  certo  ampliamento  delle  competenze  e  dei  poteri  del  magistrato  di  sorveglianza,  senza  poi  contare  il  divario  tra  teoria  e  pratica  attuazione  della  legge.  È  poi  indiscutibile  che  tra  tali  competenze  vi  fosse, perlomeno a livello di previsione normativa, un certo potere di  controllo  di  legalità  sull'attività  penitenziaria.  Il  reclamo,  e  il  provvedimento che decideva sulla materia oggetto dello stesso, cioè  l'ordine  di  servizio,  sono  stati  definiti  come  “il  mezzo  con  cui  viene  strumentato,  per  particolari  e  significative  materie,  il  potere  di  vigilanza  del  magistrato  di  sorveglianza  sulla  istituzione  penitenziaria”81.  Se,  quindi,  si  assume  che  questa  fosse  la voluntas 

legis,  appare  logico,  e  teleologicamente  conforme  alla  legge, 

considerare  l'ordine  di  servizio  del  magistrato  di  sorveglianza,  come  vincolante  per  l'amministrazione  penitenziaria.  Lo  stesso  Alessandro  Margara  riteneva  la  vincolatività  del  provvedimento  in  questione  quale “condizione di fondo” per l'esercizio della funzione di vigilanza  dell'autorità giudiziaria in esame82.  

 

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 A. Margara, Relazione, intervento alla tavola rotonda sul tema Funzioni del magistrato di 

sorveglianza  con  riferimento  anche  alle  misure  di  sicurezza.  Rapporti  con  l'Amministrazione  Penitenziaria  centrale  e  periferica,  in  C.S.M., Diritto  penitenziario  e  misure alternative, cit., p. 53. 

72 

Non si nega che vi sia stata un'omissione da parte del legislatore, in  quanto  una  specifica  previsione  normativa  in  relazione  all'efficacia  dell'ordine di servizio avrebbe, in un senso o nell'altro, "sgombrato il  campo" da interpretazioni tanto contrastanti. 

La  tesi  ora  esposta  ha  validità  nei  limiti  in  cui  è  corrispondente  a  verità  la  finalità  che  abbiamo  attribuito  alla  l.  354/1975  nella  parte  relativa ai poteri del magistrato di sorveglianza. L'affermare che tale  norma,  nel  suo  complesso,  non  abbia  voluto,  in  realtà,  rafforzare  la  posizione  del  magistrato  di  sorveglianza  e  che  non  abbia  inteso  creare  un  organo  garante  della  legalità  dell'attività  penitenziaria,  ci  porterebbe  a  sostenere  la  pratica  inutilità  delle  singole  disposizioni  relative  all'autorità  giudiziaria  in  esame  e  alla  sua  funzione  di  vigilanza. Il dubbio è più che legittimo, non solo in forza della volontà  che  il  legislatore  ha  manifestato  con  gli  interventi  successivi  all'emanazione della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario,  ma anche sulla base di norme contenute nella stessa.  

Basti  pensare  alla  prospettazione  di  cui  parla  l'articolo  69  o.p,  1°  comma, le cui implicazioni, dal punto di vista dell'effettività dei poteri  del magistrato di sorveglianza, sono già state considerate. 

La  formulazione  dell'articolo  69  o.p.,  5°  comma,  secondo  cui  “il  magistrato di sorveglianza decide con ordine di servizio” non avrebbe 

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dovuto lasciare dubbi, considerata nell'ambito della legge 354/1975 e  tenendo  conto  della  funzione  di  garanzia  dalla  stessa  attribuita  alla  autorità giudiziaria in esame83. 

Scendendo  ad  esaminare  i  rapporti,  che  abbiamo  fin  qui  visto  soltanto  nella  teoria,  anche  nella  pratica,  si  nota  che  questa  è  stata  caratterizzata  da  atteggiamenti  non  ben  definiti.  Consideriamone,  a  titolo esemplificativo, uno, evidenziato da Giovanni Tamburino84.  Il  12  febbraio  1977  alcuni  detenuti  chiesero  al  ministro  di  grazia  e  giustizia  “che  le  mercedi  previste  dall'art.  22  o.p.  venissero  corrisposte  ai  carcerati  lavoratori”  a  partire  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  stessa,  e  non  a  partire  dall'anno  successivo.  Il  ministero, due settimane dopo,  rispose che la richiesta indirizzatagli  avrebbe  dovuto  essere  oggetto  di  reclamo  al  magistrato  di  sorveglianza,  rientrando  nella  sua  competenza.  I  detenuti  presentarono i loro reclami al citato magistrato, che decise nel mese  di agosto con ordine di servizio, in senso favorevole ai detenuti.   Fino a questo punto la vicenda si svolse nella norma, tralasciando la  tempistica  della  magistratura  che,  come  di  consueto,  registrò  tempi   biblici,  ma  lo  stesso  non  può  dirsi  del  successivo  atto  del  ministero.  Questi,  infatti,  ordinò  di  non  dare  esecuzione  al  provvedimento  del 

 

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 L. Daga, Intervento, in C.S.M., Diritto penitenziario e misure alternative, cit., p. 239. 

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magistrato  di  sorveglianza,  poiché  i  reclami  dei  detenuti  erano  da  ritenersi  infondati  per  le  motivazioni  enunciate  nella  precedente  circolare ministeriale del 26 febbraio 1977. Le motivazioni ministeriali  si  basavano  sulla  erroneità  dell'individuazione  dell'organo  destinatario dell'istanza, come abbiamo visto, e non su valutazioni di  merito. La risposta ministeriale appariva quantomeno fuori luogo.   Questo  ora  descritto  è  stato  solo  uno  dei  casi  in  cui  non  si  è  data  attuazione ad un ordine di servizio del magistrato di sorveglianza.  Con  l’ordinanza  21  dicembre  1978,  n.  87  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal magistrato presso il  tribunale  di  sorveglianza  di  Bologna.  Il  motivo  del  ricorso  era  il  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,  in  particolare  fra  l'organo  giudiziario  e  il  ministero  di  grazia  e  giustizia,  relativamente  all'ordine di servizio previsto dall'articolo 69, 5° comma, lett. a) o.p..  Anche  in  questo  caso  il  ministero  disattese  un  ordine  di  servizio  emesso  dal  magistrato  di  sorveglianza  di  Bologna  su  un  reclamo  di  alcuni detenuti che chiedevano fosse loro corrisposta la mercede per  le  giornate  festive  infrasettimanali  nelle  quali  non  avevano  prestato  la loro opera. Il ministero non dette esecuzione all'ordine di servizio  emanato in senso favorevole ai detenuti, poiché il provvedimento in 

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questione, secondo il proprio convincimento, non era vincolante per  l'amministrazione.  

La consulta dichiarò inammissibile il ricorso per il difetto del requisito  oggettivo  nel  ricorrente.  La  legittimazione  a  presentare  ricorso  alla  Corte  Costituzionale  spettava  agli  organi  giurisdizionali  nell'esercizio  delle loro funzioni. Cosa che, sostenne la Corte, non poteva sussistere  nel  caso  in  esame,  poiché  le  attività  previste  dall'articolo  69,  5°  comma,  lett. a)  o.p.  non  potevano  farsi  rientrare  in  tale  tipo  di  funzioni. 

Commentando  detta  ordinanza  parte  della  dottrina  rilevava  che  il  fatto  per  cui  fosse  stata  attribuita  la  competenza  sui  reclami  in  questione  ad  un  organo  appartenente  al  potere  giudiziario,  non  doveva  essere  ignorato  al  fine  di  decidere  sulla  legittimazione  di  quest'ultimo  alla  presentazione  di  un  ricorso  alla  Corte  Costituzionale85. 

Molto  probabilmente  il  magistrato  di  sorveglianza  avrebbe  potuto  ricorrere non tanto per un conflitto negativo di poteri, bensì per un  conflitto  positivo,  essendo  maggiormente  raffigurabile,  nel  caso  concreto,  un  comportamento  dell'esecutivo  lesivo  delle  attribuzioni  del  magistrato  di  sorveglianza  stesso,  piuttosto  che  per 

 

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  S.  BARTOLE,  Attribuzione  ai  giudici  di  funzioni  non  giurisdizionali  e  tutela  della  loro 

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l'appropriazione  delle  stesse.  L'attività  svolta  dal  magistrato  di  sorveglianza nei casi previsti dall'articolo 69, 5° comma, lett. a), o.p.  se  non  poteva  considerarsi  giurisdizionale,  non  poteva  neanche  definirsi  prettamente  amministrativa,  e  sarebbe  stato  opportuno  parlare di funzioni neutrali. 

Il fatto di attribuire ai giudici funzioni non giurisdizionali non doveva  comunque  portare  alla  lesione  di  un  principio  costituzionalmente  garantito quale quello dell'indipendenza del giudice.                                         

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6.  Il  controverso  rapporto  fra  magistrati  ed  amministrazione.