Con la Legge 16 febbraio 1987, n. 81 venne approvata la delega al governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, codice approvato nel 1988 (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447).
Già all'interno della stessa legge‐delega, si potevano riconoscere chiari segni della volontà del legislatore di far entrare a pieno titolo la fase dell'esecuzione penitenziaria nell'ambito della giurisdizione penale. Inoltre, con la direttiva n. 96 della stessa venne inserito l'obbligo per il governo di prevedere, all'interno del codice di procedura penale, “garanzie di giurisdizionalità nella fase dell'esecuzione, con riferimento ai provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza; [...] necessità di un giudizio di effettiva pericolosità ove questa debba essere accertata per l'applicazione, l'esecuzione la revoca delle misure di sicurezza [...]”.
Nella direttiva n. 98 veniva espresso il compito dell'esecutivo di coordinare i procedimenti di esecuzione e di sorveglianza con i principi espressi nella stessa legge‐delega, “anche attraverso la regolamentazione delle competenze degli organi”.
Da queste prime poche notazioni riguardanti la delega al governo, si poteva comprendere la consapevolezza del legislatore circa la
46
necessità di un intervento in ambito esecutivo, che attribuisse a tale momento del processo l'importanza e la dignità che le erano proprie. Con il codice di procedura penale del 1988 la magistratura di sorveglianza e la regolamentazione delle forme della sua attività trovavano il proprio spazio, e venivano inserite nel libro X, rubricato “Esecuzione”. Il nuovo codice di rito segnava, quindi, la fine per lo meno teorica della valutazione secondaria, in ordine di importanza, fino a quel momento riservata alla regolamentazione dell'ordinamento penitenziario.
Gli interventi modificatori compiuti dal codice in questione riguardarono fondamentalmente le forme procedurali dell'attività della magistratura di sorveglianza, e solo limitatamente le sue competenze56.
56 Tra i nuovi compiti attribuiti all'organo monocratico di sorveglianza, si ricordano, la
competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie, successiva all'accertamento dell'insolvibilità del condannato (articolo 660, comma 2°, c.p.p.); rateizzazione o differimento della conversione delle pene pecuniarie (articolo 660, comma 3°, c.p.p.); istruzione delle domande o delle proposte di grazia (articolo 681, commi 2° e 3°, c.p.p.); l'audizione dell'interessato che ne fa richiesta, nei procedimenti in camera di consiglio, detenuto in luogo diverso da quello in cui ha sede l'organo procedente (articolo 127, comma 3°, c.p.p.); competenza a emettere un provvedimento di revoca dei ricoveri in luogo esterno di cura (articolo 240, comma 2, disp. att.). Per ciò che atteneva al tribunale di sorveglianza, oltre alle competenza citate nel testo, ricordiamo la competenza in relazione alla concessione o revoca della riabilitazione attraverso un'istruzione d'ufficio delle istanze (articolo 683 c.p.p.); declaratoria di estinzione della pena in base all'esito della liberazione condizionale e dell'affidamento in prova (articolo 676 c.p.p. e 236 disp. att.); a tal proposito rilevano le osservazioni di M. CANEPA, Gli aspetti normativi (nuove
competenze; nuove procedure; nuovi problemi del ruolo), in Quaderni del C.S.M., La Magistratura di sorveglianza e il nuovo codice di procedura penale, (Roma, 17‐19
47
All'interno del nuovo Codice di procedura penale la disciplina del procedimento di sorveglianza, per ciò che atteneva ai suoi elementi peculiari, era rappresentata dal combinato disposto dagli articoli 678, rubricato appunto “procedimento di sorveglianza”, e 666, rubricato “procedimento di esecuzione”. La prima di tali norme conteneva, infatti, un generico rinvio all'articolo 666 c.p.p. (art. 678 comma 1° c.p.p.), rendendo così applicabili ai giudizi di fronte alla Magistratura di sorveglianza le regole procedurali proprie dei giudizi di fronte al giudice dell'esecuzione. Ciò non implicava, però, una completa corrispondenza delle due forme procedurali, in quanto, come ora vedremo, sussistevano delle differenze, giustificate dalla peculiarità del giudizio di sorveglianza.
Dall'adozione di un siffatto sistema si individuava, comunque, una inversione di tendenza nella politica legislativa, in quanto si era abbandonata la scelta operata tramite la legislazione penitenziaria degli anni precedenti, nella quale era stato previsto e regolato un procedimento ad hoc per l'attività degli organi giudiziari di sorveglianza. Questa circostanza non fu accolta in maniera omogenea. Si parlò, da un lato, della posizione "marginale" riservata alla fase esecutiva concreta nell'ambito del processo penale57,
57
G. ZAPPA, Il procedimento di sorveglianza nel nuovo codice: prime riflessioni critiche, in La giustizia penale, III, 1990, c. 411.
48
dall'altro invece venne sottolineato come l'inserimento nel corpus del codice di rito della materia penitenziaria, le fece acquisire, di fatto, quella dignità processuale58 che già da tempo avrebbe dovuta esserle riconosciuta. 58 F. CORBI, L'esecuzione nel processo penale, cit., p. 376.
49
CAPITOLO SECONDO
La tutela giurisdizionale in carcere: il difficile bilanciamento fra i diritti dei detenuti e la condizione detentiva 1. I numeri del “pianeta carcere” ad oggiPer capire come mai ancora oggi vi sia molta difficoltà da parte del legislatore nell’affrontare le questioni (dei singoli e collettive) derivanti dalla sfera penitenziaria dobbiamo tener presenti tutta una serie di dati che ci indicano quale sia ad oggi il rapporto fra diritti individuali dei soggetti ristretti negli istituti penitenziari ed “interessi” dell’amministrazione. Per quanto riguarda i programmi e l'organizzazione del settore penitenziario, queste sono ad oggi questioni di grande rilievo, sia per le dimensioni ed il peso delle funzioni svolte, sia per gli ingenti costi a carico dello Stato. La struttura organizzativa dell’amministrazione si articola in numerosi organismi:
50
‐ Ministero della giustizia, attraverso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP); ‐ Istituto superiore di studi penitenziari; ‐ sedici provveditorati regionali; ‐ dieci scuole di formazione del personale penitenziario; ‐ oltre duecento istituti penitenziari; ‐ ottanta uffici di esecuzione penale esterna (UEPE).
Circa seicento atti normativi, di rango primario e secondario, regolano un tale assetto. Sul piano invece delle attività, le funzioni penitenziarie includono ad oggi compiti molto eterogenei (custodia, trattamento e rieducazione dei detenuti, gestione degli istituti penitenziari, servizio sociale, formazione, erogazione di prestazioni sanitarie, ecc.). I principali destinatari di queste funzioni sono oltre 66.000 detenuti59 a fronte di una “capienza regolamentare” di 47.615; circa 40.000 gli operatori. I costi dell'intero sistema penitenziario arrivano, mediamente, a due miliardi e mezzo di euro all'anno, attestandosi tra le principali voci di spesa del bilancio dello Stato60. Come dire, un apparato elefantiaco con un fabbisogno in continua crescita61. 59 I dati sono tratti da Dipartimento amministrazione penitenziaria, Resoconto aggiornato dello stato del sistema penitenziario, Roma, settembre 2012. 60
Con riferimento agli anni 2011, 2012 e 2013, la voce “giustizia” (in cui è inclusa l'amministrazione penitenziaria) compare tra le prime undici voci di spesa — su oltre trenta — per quanto attiene alla ripartizione della spesa primaria al netto dei trasferimenti
51
2. Limitazione dei diritti dei detenuti e illimitata espansione dei