4. Immagini di noverca nelle Minores
4.1 La saeva noverca e il paradigma di Giunone
Il caso più standard di caratterizzazione del personaggio della matrigna è, come già abbiamo notato, quello di una generica, ma letale, ostilità verso i figli del marito. In questo, la noverca si configura quale immagine di Giunone, divinità destinata a trascorrere l’esistenza tentando di ostacolare tutti i figliastri nati da avventure extraconiugali del marito Giove. Risulta quindi evidente che, ogni volta che la situazione riguardi una matrigna, i retori abbiano in mente il modello di Giunone, usato in funzione paradigmatica, e che esso sia la base per ulteriori, e spesso concettose, rappresentazioni del personaggio. Si tratta, dunque, di un modello ‘base’ e neutro: antonomasticamente, la matrigna è sempre ostile ai suoi figliastri, così come lo è Giunone. Tutti gli altri modi di presentare il personaggio sono, in ultima analisi, variazioni di questo modello, che è pertanto opportuno analizzare per primo, per come viene a delinearsi nella Minor 338.
Questo il thema della 338, dal titolo Lis de filio expositoris et repudiatae:
107 Ennod. dict. 15.
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Quidam, repudiata uxore ex qua iuvenem filium habebat aut videbatur habere, duxit aliam. Frequenter iurgia erant inter privignum et novercam. Quodam tempore adserere coepit iuvenem pauper quidam et dicere suum filium. Is qui pater videbatur torsit nutricem, Illa primi tormentis domini esse filium dixit. Iterum torta dixit expositum esse ab illo qui adserit, et inter haec mortua est. Cedit illi pater iuvenem, repudiata vindicat sibi.
Il tema è molto complesso, come si può notare anche a prima vista: fin da subito la paternità del figlio è messa in dubbio e, a ciò, si aggiungono un ripudio, l’introduzione nella casa di una matrigna, l’arrivo di un presunto padre naturale e la tortura della nutrice. La declamazione che segue è abbastanza lunga ed è svolta dal punto di vista della madre ripudiata per il tramite del suo patronus. Il dato del rapporto ostile tra matrigna e figliastro è espresso dalla frase frequenter
iurgia erant inter privignum et novercam, che compare, identica, anche nella controversia 7,5
di Seneca. Tuttavia, le liti continue tra i due membri del nuovo nucleo familiare non costituiscono il fulcro della vicenda, che risiede nel capire quale possa essere l’attendibilità delle informazioni ottenute sotto tortura, ma vengono abilmente sfruttate dall’avvocato per difendere la propria assistita:
Libentius in gravissima mariti iniuria, iudices, invehar in novercam: sciit enim quid vellet sibi cum in domum senis iam et matrimonio occupatam et in qua iuvenis filius erat inrupisset, sciit hanc posse vacuari. Nolite quaerere quo consilio, qua ratione fecerit: sola est. Odia statim adversus adulescentem, nec haec occulta aut dissimulata saltem, sed iurgia. Quod ipsum mehercule pro summa probatione esse, iudices, potest: hunc iuvenem sic oderat tamquam noverca108.
In sostanza, la matrigna è accusata di aver istigato il marito a cedere il figlio in virtù dell’odio provato verso di lui. Odio che si è manifestato in maniera frequente e palese dal momento in cui la donna ha varcato la soglia della sua nuova dimora: il suo scopo deliberato era eliminare il figlio di primo letto del marito per liberare la casa dall’erede legittimo. Ha odiato il giovane
tamquam noverca: ecco affiorare in modo esplicito il motivo dell’inevitabilità del
comportamento antonomasticamente ostile della matrigna. Nel prosieguo dell’argomentazione, il patronus accusa il pater familias di insensibilità e si chiede come abbia potuto rinunciare al proprio figlio e rompere gli equilibri matrimoniali sposando un’altra donna quando il letto coniugale era ancora caldo del corpo della moglie. Dietro a questo comportamento assurdo si nascondono le macchinazioni della matrigna:
108 338,12.
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quis non videt artes novercales et pactum infelicis senis?109
Chiunque voglia osservare con attenzione gli avvenimenti, dunque, non potrà non accorgersi che all’origine di tutto c’è il freddo calcolo della noverca, che con le sue arti ha sapientemente plagiato il marito e lo ha convinto a liberarsi del figlio. In cosa consistano le artes novercales non è ben precisato: altrove110 si parla di veleni, di seduzione, di trame complesse contro vari membri della famiglia; qui la questione non viene approfondita, perché non è questo il punto forte dell’argomentazione, ma solo un elemento ulteriore da tenere in considerazione nel perorare la causa della madre ripudiata. La Minor 338, in sintesi, pur non mettendo la noverca e le sue arti al centro della questione, dimostra come il personaggio fosse caratterizzato in maniera stereotipata: basta solo il suo nome (tamquam noverca) per portare all’attenzione dell’ascoltatore i tratti di ostilità e odio, oltre che il sospetto di azioni concrete volte a ostacolare in modo netto il percorso di vita del privignus per trarne un personale tornaconto. Tale tenacia nel portare avanti il piano di rovina del figliastro permette di veder apparire in controluce, dietro la rappresentazione generica della matrigna dei retori, l’immagine di Giunone, la matrigna per eccellenza del panorama mitologico antico.
4.2 Tamquam noverca: il paradigma di Medea
Se Giunone è la matrigna per eccellenza, quella a cui si pensa non appena viene evocato il nome stesso di noverca, esiste, nella cultura latina, un'altra figura di matrigna crudele che incarna in sé anche i caratteri della maga pericolosa e avvelenatrice: si tratta di Medea. Ora, pensando alla sua vicenda, pare curioso accostare Medea a una matrigna: sono infatti i figli di Medea che, con il matrimonio di Giasone, si trovano a dover accettare la presenza di una noverca nella loro vita. Tuttavia, una lettura attenta dei testi che trattano questo argomento conduce nella direzione della raffigurazione di Medea come matrigna111.
Un caso evidente è la sesta lettera delle Heroides ovidiane, rivolta a Giasone da Ipsipile: la donna giustifica il suo rifiuto di inviare a Giasone come ambasciatori i loro figli gemelli con la paura per Medea, che è, qui in senso proprio, una matrigna delle più crudeli.
109 338,28.
110 Cf. 327,3.