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Non è raro, nella retorica di scuola, imbattersi in controversie che trattino di personaggi in preda al furor o alla dementia; Gunderson, nel suo saggio su declamazione e identità romana, ritiene che la declamazione fornisca una panoramica dell’inconscio latino proprio nel momento in cui indaga i comportamenti folli dei suoi personaggi: «the declamatory cases that deal with madness are by no means a ready inroad into the problem of the unconscious. […] Thus insanity in declamation offers us indirect views of the construction of the social order as well as the healty, normal self»397.

396 Gunderson 2003, 115-149; Rizzelli 2014; Rizzelli 2015.

397 Gunderson 2003, 115. Sugli aspetti irrazionali delle argomentazioni dei retori (che spesso di basano su

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La prima difficoltà che si incontra nel trattare questo argomento è di natura definitoria: non è semplice circoscrivere il campo della follia, che, per quel che riguarda il mondo antico, rappresenta un concetto abbastanza differente da quello moderno. Come avverte Pigeaud, bisogna ignorare quel che sappiamo sulla follia e lasciare da parte la nosografia oggi di uso comune in cui si parla di paranoia o schizofrenia398. Certo è che per i Greci la follia non rappresenta soltanto “il baratro buio della ragione, ma anche l’incontro con sfere nascoste della mente e con una dimensione dalla quale un essere umano resta escluso finché la mente non lo abbandona; non fu intesa solo come un cedimento della coscienza, ma anche come un mezzo per forzare i suoi limiti e dilatare la personalità”399.

È a partire dal V secolo a.C. che, con le riflessioni di filosofi e medici, viene tracciato un solco tra follia e salute mentale e si inizia a intendere la follia (anche) come una malattia da curare; si sviluppa così una riflessione teorica sulla malattia mentale che interessa medicina e filosofia e che in parte contrasta, in parte incorpora, la mentalità popolare, per cui gli attacchi di follia (come altre patologie che sopravvengono improvvisamente) sono causati dall'assalto di un agente esterno e soprannaturale (una divinità, un demone), che scatena il comportamento folle. Questa concezione arcaica emerge con grande evidenza, come vedremo, in ambito mitico/tragico.

La follia, in ogni caso, viene vista come una dimensione dell’essere umano: malattia, espressione religiosa, istituzione culturale, furore divino che ispira poesie profezie e al tempo stesso delirio degli ammalati400. Platone, nel Fedro, distingue quattro tipi di divino furore: profetico, che ha per patrono Apollo, rituale, che ha per patrono Dioniso, poetico, ispirato dalle Muse, ed erotico, ispirato da Afrodite ed Eros401. Da questa classificazione derivano poi altre distinzioni operate da filosofi stoici di età ellenistico-romana, che considerano la pazzia come una malattia di origine fisica o psichica: mentre la prima va curata con rimedi fisici402 ed è di

398 Pigeaud 1995, 11.

399 Guidorizzi 2010, 11.

400 Così Novara 2013, 2: «se utilizzato nel contesto della cultura greca, questa parola (scil. follia), già di per sé

estremamente vaga nella nostra lingua, indica un’area semantica molto ampia che comprende fenomeni estremamente diversi tra loro e non necessariamente collegabili a ciò che noi chiameremmo ‘patologia’. Non c’è dubbio che sia possibile rilevare in quel contesto sintomi psicotici e nevrotici, ma il termine manìa si riferisce a un campo molto più vasto, identificabile non tanto con la dimensione del patologico quanto piuttosto con quella dell’irrazionale».

401 Plat. Phaedr. 244a3-245c2; 265b2-5. Sulla classificazione dei tipi di follia da parte di Platone molto si è scritto:

citiamo qui soltanto Dodds 1957, 64-101.

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competenza del medico, la seconda è di pertinenza della speculazione filosofica e ha un’origine passionale403; la sua terapia si trova soltanto nella ragione404.

Per quel che riguarda la riflessione medica, che cerca di ricondurre la follia all'interno dei fenomeni naturali, il termine più vago e generale per riferirsi alla pazzia è μανία, definita da Galeno come malattia cronica con alienazione mentale senza febbre405; tale stato si oppone a quello espresso dalla parola φρένιτις, che è una malattia acuta accompagnata da febbre, a sua volta distinta dalla μελαγχολία406. La μανία, dunque, ha lunga durata ed è caratterizzata da un

comportamento agitato e da una serie di intervalli di lucidità407, che creano nel paziente uno stato di malessere dovuto alla consapevolezza della propria malattia. Causa immediata di tale patologia è individuata in un agente puramente fisico: la bile, gialla per la μανία e nera per la μελαγχολία; le cause remote, invece, possono essere varie, sia fisiche (dieta) che psichiche (tensione, ira, odio, amore). Il rimedio a un attacco di follia, secondo l’opinione comune, è l’elleboro408, da accompagnare all’incatenamento del pazzo furioso409, atto necessario per

proteggere, oltre che il malato stesso, anche i sani che si trovano vicino a lui.

La lingua latina esprime il concetto della follia con vari termini: furor, quello più usato, indica l’irrequietezza dell’animo, ma la malattia della mente è definita spesso anche come amentia,

insania o dementia. Fino ancora ai tempi di Seneca non esiste una nomenclatura precisa relativa

alle patologie di origine psichiatrica e tutti i termini elencati funzionano perlopiù come sinonimi410. Cicerone distingue tra insania e furor411: la prima è una malattia perdurante causata dalle perturbationes animi ed è simile alla stoltezza412; il secondo è uno stato di totale cecità dell’animo che si accompagna a ira, paura e dolore413. Questi termini sono accomunati da una

certa genercitià, prescindono cioè dall'origine della malattia, naturale o soprannaturale; si usano

403 Provocata dalle perturbationes animi, cf. Cic. Tusc. 4,38,82; Sen. epist. 75,11. Il nodo qui è proprio

l'opposizione tra follia come fenomeno interno alla natura e che dunque si può affrontare in modo razionale, con l'ausilio della medicina, e la magia come assalto soprannaturale che si può risolvere solo entrando in contatto con questa dimensione (con magia, esorcismo, ecc.).

404 Cic. Tusc. 3,6,6; off. 1,29,102. Sull’atteggiamento della società antica nei confronti della follia si rimanda a

Mazzini 2007.

405 Gal. def., 19,416,248-249 Kühn. 406 Cf. Pigeaud 1995, 11-16. 407 Aret. SD, 41,12-21 Hude.

408 Da cui il termine elleborosus, che indica il pazzo, cf. Plaut. Most. 952; Rud. 1005. Sulla terapia a base di

elleboro per curare la follia si vedano e.g. anche Hor. sat. 2,3,82, Petron. 88,4.

409 Cf. e.g. Plaut. Capt. 599-600; Men. 844-845; Sen. contr. 2,6,3 adliga me, dum te custodias. 410 Questa la tesi di Militerni Della Morte 1997.

411 Cf. Taldone 1993, 3-4.

412 Cic. Tusc. 3,5,10 ita fit ut sapientia sanitas sit animi, insipientia autem quasi insanitas quaedam, quae est

insania eademque dementia.

413 Cic. Tusc. 3,5,10 Hanc enim insaniam, quae iuncta stultitiae patet latius a furore disiungimus. Graeci volunt

illi quidem, sed parum valent verbo: quem nos furorem, μελαγχόλίαν illi vocant; quasi vero atra bili solum mens ac non saepe vel iracundia graviore vel timore vel dolore moveatur; quo genere Athamantem, Alcmaeonem, Aiacem, Orestem furere dicimus.

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sia per la follia pensata come assalto da un'entità esterna che come tecnicismi medici. La differenza, da quanto di evince dalla testimonianza di Cicerone, è soprattutto sull'intensità delle manifestazioni: dementia, insania, amentia pongono l'accento sulla perdita di una condizione di razionalità e di salute mentale, mentre furor e perturbatio sottolineano la condizione agitata del folle.

Per quanto riguarda la condizione giuridica del furiosus, la persona, cioè, affetta da furor, a Roma esisteva una normativa molto precisa relativa all’istituto della cura furiosi414: già le XII

Tavole415, infatti, prescrivevano che l’infermo di mente dovesse essere affidato a un curator (in origine l’agnato più prossimo; successivamente il curatore poteva anche essere nominato dal magistrato416), che aveva il compito di amministrarne il patrimonio e di provvedere al suo sostentamento417. Tale potestas sul malato e sul suo patrimonio aveva la funzione di controllo

e assistenza al malato e, al tempo stesso, di disponibilità dei suoi beni. Nel caso in cui il malato fosse guarito, il curatore era tenuto al rendiconto della gestione patrimoniale occorsa; sia sotto il profilo medico che sotto quello giuridico, infatti, era ammesso il concetto della non inguaribilità del folle418, che comportava la cessazione della potestas curatorum.

Già da questa breve e, per forza di cose, incompleta panoramica sulla follia nel mondo antico si può comprendere come il concetto stesso di follia non sia sovrapponibile a quello odierno e come investa ambiti diversi tra loro (medico, religioso, filosofico) e ricada, più che altro, nel campo dell’irrazionale. L’importanza della riflessione sulla follia è testimoniata, in primis, dal teatro, che porta spesso in scena personaggi invasi da furore e pazzia, ma anche della declamazione latina, che la fa entrare nell’aula scolastica sotto la forma dell’actio dementiae.