Sulla tragedia di Antigone molto si è scritto308: la vicenda della figlia di Edipo, infatti, affronta tematiche universali, quali il contrasto tra scelta imposta dalla comunità nella persona del suo
304 Accogliamo la lezione di Ald. rispetto al tràdito Ἐρῶν τις.
305 Sopat. divis. quaest. 8,78,22-25 Walz = 13 th. p. 54 Weissenberger.
306 Cf. i casi descritti in Sen. contr. 2,4; Quint. 7,4,20; 11,1,82; Ps. Quint. decl. min. 330; 356; Calp. decl. 30; 37.
Sulla figura comica della meretrix nella declamazione latina si veda Pingoud 2016, in particolare 166-168, 171- 180, 184-188.
307 Cf. infra, 91-100.
308 Segnaliamo la significativa la raccolta di Belardinelli – Greco 2010, che contiene contributi relativi alla storia
del mito di Antigone e alla sua fortuna; sulla permanenza della figura di Antigone si vedano anche Ciani 2000, Fornaro 2012, Mee – Foley 2011. Per quel che concerne le rappresentazioni sceniche della tragedia, cf. Ripoli –
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governante e scelta individuale, o, per dirlo con le parole di Paduano, tra «l’autocrazia, condotta dalla trasgressione a riaffermare la propria validità» e «il volere ribelle irriducibile, consapevole dell’isolamento e noncurante della sanzione»309. Shelley diceva: «some of us have in a prior
existence been in love with an Antigone, and that makes us find no full content in any mortal tie»310; una testimonianza, tra le tante, della forte influenza del mito di Antigone nella cultura europea e del fascino che tale figura ha sempre suscitato in coloro che vi sono entrati in contatto. In particolare, Antigone è universalmente nota per il conflitto tra la legge umana, imposta da Creonte, che prevede di non dare sepoltura ai traditori della patria, come è stato Polinice, e la legge non scritta della pietà divina e familiare, che non può accettare lo stato di morto insepolto di un proprio congiunto311. Polinice, infatti, ha mosso un esercito contro la propria città, arrivando allo scontro con il fratello Eteocle: sui due si abbatte la maledizione inviata dal padre Edipo, ma, per i Tebani, il traditore è Polinice, un cittadino divenuto ormai nemico. Da un lato, dunque, le leggi del sangue, che prevedono di fornire ai defunti una tomba; dall’altro quelle della città, che escludono dalla possibilità di avere un sepolcro coloro che hanno tradito. La Minor 274 è una riproposizione declamatoria di tale conflitto tra due sistemi normativi di riferimento, sebbene, come già osservato312, la situazione descritta dall’esercizio scolastico sia differente rispetto a quella del mito dei Labdacidi. Nella declamazione pseudo-quintilianea, infatti, il motivo del contendere è la sepoltura di un tiranno sulla base di due leggi che, per il loro contenuto, si presentano come leges contrariae313: la prima prevede la sepoltura nel foro per chi sia morto folgorato, la seconda prescrive di gettare il corpo di un tiranno fuori dai confini della città, senza onorarlo di una tomba. La declamazione è svolta da entrambe le parti, quella favorevole alla sepoltura del tiranno e quella contraria. Sono presenti due sermones, molto utili per comprendere quale, secondo il maestro, fosse la migliore strategia oratoria da adottare; riportiamo il primo:
Rubino 2005. L’aspetto del rapporto di Antigone con gli altri membri della famiglia e, in particolare, la questione della sepoltura di Polinice è affrontato in Rehm 2006, Boulogne 2011e Gilbert 2005, con ulteriore bibliografia; mentre per l’aspetto giuridico del contrasto tra nomos e polis si rimanda a Mancini 2014. Ancora, sui rapporti tra l’interpretazione hegeliana del mito di Antigone e la critica recente, vd. Conradie 2003.
309 Paduano 2005, 98.
310 P.B. Shelley, Letter 2, 364, 22nd October 1821.
311 La questione della sepoltura è, secondo Fornaro 2012, 51, che parafraso, l’innovazione decisiva di Sofocle nella
trattazione del mito di Antigone: l’enfasi sul ruolo di Antigone, infatti, doveva risultare una sorpresa per il pubblico ateniese, sebbene il tema del sepolcro fosse già stato affrontato nell’Aiace, in cui la violenza dello Stato si vuole estendere sul nemico ucciso, mentre il parente più prossimo dell’ucciso, il fratello Teucro, si pone dalla parte della legge universale che prevede la sepoltura del cadavere.
312 Cf. supra, 73 s.
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in legum comparatione multa quaeri possunt, sed varie in quaque controversia. Interim quaeri solet an privata altera, altera publica sit, et utrum militaris altera, altera pertinens ad civilia officia. Hic omnia fere cetera paria sunt; utra utilior et magis necessaria civitati sit quaerendum est314.
In casi del genere, afferma il maestro, si possono discutere varie questioni, a seconda del tipo di controversia. Poiché nel caso in esame gli elementi a favore di una o dell’altra tesi si equivalgono, la miglior strategia da seguire è quella di valutare che cosa sia più utile alla città. A livello generale, però, la prassi è quella di esaminare se le due leggi in conflitto siano pubbliche o private, oppure relative alla guerra o ai doveri civici. Il contrasto tra lex publica e
lex privata ci riconduce sul sentiero tracciato dal dramma di Antigone, anche se trasportato in
tutt’altro contesto: in una città, però, ci dice il maestro, può spesso capitare che le leggi determinate e definite per il benessere della comunità si trovino a confliggere con le leggi private. In tutti questi casi è il paradigma tragico di Antigone che si nasconde dietro al dibattito che ne nasce; lo stesso maestro di questa controversia, infatti, nel secondo sermo si spinge a postulare che le leggi della città vadano seguite, sì, a patto che non siano sconfessate da leggi scritte per gli dei, che, in quel caso, devono prevalere. Per il secondo svolgimento, dunque, la chiave per una perorazione vincente è proprio quella di tracciare una netta demarcazione tra la legge umana, fallibile, e quella divina, ineccepibilmente giusta e da osservarsi senza remora alcuna.
Esistono, quindi, alcuni casi, nella retorica di scuola, in cui la riflessione giuridica trae spunto da elementi tragici, quali il paradigma di Antigone: nel mondo della declamazione di tipo giudiziario questo conflitto tragico, che è sostanzialmente un contrasto tra diritto naturale e diritto storico, viene riletto in modo diverso in base alle caratteristiche delle parti in causa; nel caso appena esaminato diventa un contrasto tra leggi scritte di segno opposto. Tuttavia, in altre declamazioni il modello letterario viene approfondito in maniera ben più pervasiva, senza limitarlo al solo ambito normativo.
Un caso più complesso è, a tal proposito, quello della Minor 272, intitolata Orbata proditrix: si tratta di una declamazione in cui la tematica della sepoltura non è al centro della vicenda, ma ne costituisce comunque il fondamento. Protagonista è, infatti, una donna che, per poter dare sepoltura al figlio morto in combattimento, si reca, di notte, nel campo di battaglia, ma viene sorpresa dall’esercito nemico. Questo evento è il primo di una serie di sventure che la vedono catturata e torturata dai nemici allo scopo di conoscere dei segreti di stato; la donna,
314 274,1.
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eroicamente, cerca di resistere ai tormenti che le vengono imposti, ma non riesce a evitare di rivelare che un manipolo di alleati sta arrivando in soccorso della propria città. La guerra prosegue e però, durante uno scontro, la donna riesce a liberarsi dalla prigionia e a fuggire; rientrata in patria, avverte i propri concittadini di un nuovo pericolo: i nemici stanno scavando un tunnel, verosimilmente per arrivare in città per via sotterranea. Anche grazie a questo vantaggio, i nemici vengono infine sconfitti, sebbene per la donna non ci siano in serbo ringraziamenti e lodi: la città la accusa di aver rivelato al nemico segreti di stato. Riportiamo il
thema315:
QUI CONSILIA PUBLICA ENUNTIAVERIT, CAPITE PUNIATUR. Ad colligendum filii corpus nocte processit mater. Comprehensa ab hostibus et torta indicavit auxilia venire; quibus oppressis de vinculis effugit et nuntiavit cuniculum agi. Oppressis hostibus rea est quod consilia publica enuntiaverit. CD.
Il discorso che segue è quello di difesa, pronunciato da un patronus, il quale insiste molto su un’evidente particolarità della vicenda, vale a dire l’accusa di tradimento rivolta a una donna, unica proditrix del panorama declamatorio. La proditio era, infatti, un capo d’accusa di grande gravità, regolamentato da varie norme316: qui è presente la lex, non altrimenti attestata, qui
consilia publica enuntiaverit, capite puniatur317, che si può ricollegare a un passo del Digesto318
in cui si recita maiestatis crimen illud est … quo hostes populi romani consilio iuventur
adversus rem publicam; la pena prevista era quella capitale319. Il difensore, tuttavia, mostra grande stupore per l’accusa mossa alla sua assistita: non gli risulta ben chiaro come una donna possa avere a che fare con segreti di stato e, di conseguenza, rivelarli al nemico. Si tratta, appunto, di un caso più unico che raro, perché, come osserva Lentano, «legata a una dimensione
315 Questo thema compare anche nella tradizione retorica greca: gli scoli a Ermogene (schol. ad Herm. Stas.
4,661,25-29 Walz = 7,553,23-26) lo presentano, più di una volta, nella forma μήτηρ ἀριστέως πεσόντος ἐν τῇ μάχῃ τοῦ υἱοῦ ἐξῆλθε χοὰς ἐποίσουσα τῷ ἀριστεῖ· συνελήφθη ὑπὸ τῶν πολεμίων καὶ βασανισθεῖσα τὰ ἀπόῤῥητα ἐξεῖπεν, ἀνέζευξαν οἱ πολέμιοι καὶ δημοσίων φεύγει. Anche in questi casi si nomina una lex che vieta di rivelare informazioni riservate della città al nemico. Un thema molto simile è presente anche in schol. ad Herm. Stas. 4,674,17-25 Walz. Allusioni alla questione della spia al nemico di informazioni riservate anche in schol. ad Herm.
Stas. 4,678,2-9 e 4,679,15-18 Walz.
316 Sull’actio proditionis cf. Lanfranchi 1938, 432-436, Bonner 1949, 109 s., Langer 2007, 112-114, Wycisk 2008,
319-325.
317 Wycisk 2008, 320-322 analizza questa lex, mettendola in relazione con un’altra simile, qui hosti opem tulerit,
capite puniatur.
318 Dig. 48,4,1.
319 La pena prevista per il reato di proditio, almeno fino all’antica età repubblicana, era l’esecuzione capitale (cf.
anche la lex citata in 323 Qui hosti opem tulerit, capite puniatur), come attestato anche dalle Dodici Tavole (cf.
Dig. 48,4,3); in età repubblicana, la lex Cornelia e la lex Iulia mitigarono tale provvedimento, poiché, pur
ammettendo la condanna a morte e la tortura come mezzo di prova (cf. 307 th. Proditor torqueatur, donec conscios
indicet), consentivano il ricorso all’aquae et igni interdictio, un esilio volontario sostitutivo della pena capitale, cf.
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meramente domestica – non a caso la sua cattura viene propiziata dal fatto che stava ricercando il cadavere del figlio –, una donna è necessariamente esclusa dalla sfera pubblica, alla quale viceversa appartengono per definizione i segreti di Stato»320. Queste le parole del retore:
Possum mirari, iudices, hac lege ream esse feminam; neque <id> ideo dico quoniam non etiam gravius puniendum sit si mentem prodendae rei publicae, perdendae civitatis in hoc sexu deprehenderimus, sed publica consilia quomodo in feminam ceciderint invenire non possum321.
La presunta conoscenza della donna di publica consilia (confermata, però, dallo svolgimento dell’azione: truppe ausiliare arrivano davvero in soccorso della città) la porta alla mercè del nemico, che la tortura: a questo argomento è dedicato un certo spazio nella declamazione, poiché la tortura costituisce un’attenuante da considerare per discutere la sua colpevolezza. Lo
status è finitivus, ma, come nota Dingel322, il nucleo della declamazione ricade piuttosto nella
qualitas: delle tre quaestiones elencate nel sermo, solo la prima è attribuibile alla finitio, mentre
le altre due allo status scripti et voluntatis323. Al breve sermo segue un proemio, che traccia la
differenza tra una strategia difensiva secondo le parole della legge e secondo argomentazioni di carattere morale, che il patronus definisce necessitas: in questo modo, si delinea il profilo dell’accusata, dipinta in maniera patetica come madre sofferente ed eroica. Il difensore passa poi a confutare alcune obiezioni e a mettere in evidenza, in un breve epilogo, le qualità dell’assistita e le sue benemerenze nei confronti dell’intera città.
Già da questa panoramica della declamazione si può evincere che il tema della sepoltura – la necessità, cioè, per la protagonista di recuperare il corpo del figlio per destinarlo alla tomba – non è compiutamente sviluppato dal retore, che avrebbe potuto sfruttarlo come spunto patetico per perorare la causa della madre orbata; sono comunque presenti altri tipi di influenze letterarie, evidenti soprattutto nella descrizione di scene di guerra che derivano da passi noti di storiografia ed epica324.
È, però, fuori di dubbio che in questa declamazione compaia il mitema della sepoltura, che, sebbene non sia insistito nella sua rappresentazione retorica, è il motore dell’azione tutta. Il
320 Lentano 2014, 104. Considerazioni analoghe in Bloomer 1997, 65-67. 321 272,3.
322 Dingel 1988, 105-107: secondo lo studioso, la Minor 272 è un ottimo esempio di come la finitio possa
intrecciarsi con la qualitas. Anche se il reato fosse davvero stato commesso, infatti, la legge non sarebbe soddisfacente ed è per questo che si deve passare dalla finitio alla qualitas, iniziando dall’aequitas: è giusto accusare l’imputata?
323 Il più importante tra gli status legales, cf. Lanfranchi 1938, 65-81, Calboli Montefusco 1986, 153-166, Berti
2007, 125. Si veda anche Quint. 7,6,1.
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tentativo di recupero del corpo del figlio, infatti, innesca sviluppi tragici e consente di suscitare
pathos verso la madre e la sua sofferenza attraverso l’evocazione del personaggio di Antigone.
L’immagine di una donna che, di notte, si avvicina a un campo di battaglia in seguito a un evento bellico allo scopo di prelevare un cadavere e dargli sepoltura è una chiara allusione alla vicenda antigonea, allo sprezzo del pericolo pur di arrivare all’obiettivo di dare sepoltura a un membro della famiglia. L’espressione, presente nel thema, ad colligendum corpus, infatti, è tipica del contesto funebre e innesca subito il mitema della sepoltura con l’evocazione dell’immagine di un congiunto che tenta di ricomporre un cadavere in vista della cerimonia funebre325.
Da notare è che qui non si tratta di una sorella che desidera rendere gli estremi onori funebri al fratello, ma la relazione in esame è quella tra madre e figlio. La sostituzione parentale sembra avere lo scopo di accrescere il pathos della situazione: della donna, infatti, in più di un’occasione si mette in evidenza il ruolo di madre, legata al cadavere che vuole seppellire da una relazione viscerale, di sangue:
quae filium in proelium misit, cuius partus et sanguis in proelio stetit326
Partus et sanguis: l’espressione chiarisce molto efficacemente il legame indissolubile e
profondissimo che unisce madre e figlio; nel mito greco la madre di Polinice, Giocasta, non può occuparsi della sua sepoltura perché già morta e, per questo, tocca a una delle sorelle, Antigone, procedere con gli onori funebri, mentre Ismene preferisce attenersi agli ordini dello zio Creonte. D’altra parte, Antigone giustifica il proprio amore per il fratello con il celebre argomento del dilemma parentale: una volta che suo padre e sua madre siano morti, infatti, non potrà mai più avere un altro fratello ed è questa unicità del rapporto che la spinge a lottare per lui come mai avrebbe fatto per il marito o per i figli, che avrebbero potuto essere, invece, sostituiti327. Per il retore della Minor 272 non c’è bisogno di giustificare tale scelta: il legame materno rende impossibile per la donna non tentare il tutto per tutto, a suo rischio e pericolo, per seppellire il figlio, come se si trattasse di una necessità inderogabile. Il declamatore ha buon gioco nello sfruttare questa linea di argomentazione e, infatti, la descrizione patetica della
325 Cf. ThlL III, 1608,61-66 (s.v. colligo); una scena di questo tipo compare in Sen. Phaedr. 1113 in riferimento al
cadavere di Ippolito.
326 272,7.
327 Soph. Ant. 909-919; l’argomentazione riportata da Antigone è la stessa della moglie di Intaferne in Hdt. 3,119,5-
6 (su cui si veda Asheri 20054, 336 ad loc.) Per questo tipo di dilemma parentale si rimanda a Bettini 2009,321-
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protagonista occupa tutta la declamazione, a partire dal proemio, in cui il patronus afferma di voler difendere la propria assistita secondo la legge, anche se potrebbe fin da subito concentrarsi sui sentimenti che l’hanno guidata:
Quam quidem ego postea adfectus necessitate merito defendam; interim defendere verbis legis volo328.
Da notare l’espressione adfectus necessitate: sono stati i sentimenti della donna, la sua sofferenza per la perdita del figlio a rendere inevitabili tutti i suoi comportamenti successivi a quell’evento, a partire dalla volontà di provvedere alla sepoltura fino al rivelare alcune informazioni al nemico sotto tortura. Quello che il retore intende qui è che l’agire della donna è fortemente condizionato dai suoi sentimenti di madre. Di lei si sottolinea a più riprese il coraggio: esce di notte dalla città, in evidente contrasto con una norma che, almeno nel mondo fittizio della declamazione, impediva di varcarne le porte in orario notturno329, riesce a fuggire dalla prigionia nemica e, contrariamente a quelle che sono abitudini tipicamente femminili, non rivela nulla di importante se non sotto tortura. La scena che la descrive arrivare al campo di battaglia per recuperare il cadavere del figlio è di grande impatto330:
Nocte egressa est. Quis hunc in matre, [quis]331 miratur adfectum tamquam novum? Ego vero plura
confitebor, et quae forsitan plane admiratione [eius]332 digna sint. Noctem illam tenebrasque non timuit,
horridam ipsius loci in quo pugnatum erat imaginem tulit. Haec per sanguinem humanum et per fracta tela et per mixta virorum equorumque corpora quaesivit filium suum, et, ne in totum nulla sua culpa incidisse in hostes videatur, planxit et deos invocavit333.
Il coraggio deriva, quindi, dalla condizione di madre, dal forte sentimento che la lega al figlio e che la spinge ad affrontare scene di guerra terribili e spaventose che molto devono a modelli
328 272,4.
329 Per la norma declamatoria nocte in bello portas aperire ne liceat si rimanda alle considerazioni di Bonner 1949,
103.
330 Da notare è anche che, in età storica, il mos maiorum non consentiva la presenza femminile sui campi di
battaglia o in territorio nemico, a meno che la donna non fosse accompagnata da uomini della famiglia come nel caso dell’episodio di Veturia e di Volumnia (Liv. 2,40). La presenza di Fulvia sul teatro della guerra di Perugia rispecchia tale tradizione, poiché il suo comportamento è stigmatizzato come esempio negativo, cf. App. BC 5, 10; Plut. Ant. 10,5.
331 Per l’espunzione, si veda infra, 210 ad 272,8. 332 Per l’espunzione, si veda infra, 211 ad 272,8. 333 272,8.
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letterari334. L’amore di madre è superiore a tutto il resto, anche alla prudenza: il planctus335 della donna, infatti, attira l’attenzione su di sé da parte del nemico; ma è proprio a questo punto che, una volta di più, ella dimostra le proprie grandi qualità e la sua differenza rispetto ad altre donne.
Hostibus confessa est, nondum dico torta – illud satis est dicere: femina. Si mehercule primae tantum minae ac timor ille exercitus qui modo feliciter pugnaverat confudisset feminam orbam, stupentem malis, erat tamen res digna venia: confessa est cumtorqueretur. Ubi tantum robur animi, ubi tam firmam solidamque mentem quae non dolore vincatur, non ignibus cedat, non verberibus ingemiscat? Hanc vero satis fortiter ac supra sexum suum fecisse credo quod nihil dixit antequam torqueretur. In his tamen necessitatibus, in his malis num demonstravit aditus quibus in urbem venire possent, num proposita nostra, num occultam civitatis voluntatem patefecit? Cum torqueretur, minata est336.
Questa madre, insomma, incarna esattamente l’opposto dello stereotipo misogino che vede la donna debole e incapace di mantenere un segreto337: anzi, il comportamento tenuto è stato
minaccioso nei confronti dei nemici. L’esternazione sull’arrivo di truppe ausiliarie, infatti, non è qualificabile come rivelazione di un segreto di stato, ma come una minaccia vera e propria volta a spaventare l’aggressore. L’atteggiamento, così come le azioni intraprese, è quello di un eroe coraggioso, e infatti si dice hanc vero satis fortiter ac supra sexum suum fecisse credo:
fortiter facere è proprio l’espressione che designa l’eroe di guerra, il vir fortis, che, di fatto, è
una figura esclusivamente maschile, come la lingua stessa indica338. Risulta evidente che il difensore vuole presentare l’assistita come un individuo eccezionale, una virago, un’eroina di guerra capace di comportarsi come un uomo339. Così commenta anche Imber: «Thus, the excessive nature of the woman’s maternal love for her son has driven her not merely from the home and city, but well and successfully into the male world of speech and action. Indeed, if