Tra i temi declamatori più ricorrenti che abbiano una precisa valenza culturale si deve annoverare quello della sepoltura. Come, infatti, osserva Krapinger nel suo lavoro relativo ai casi di violazione di sepolcro nelle Minores225, la tomba, per i Romani, era un elemento molto più significativo di quanto sia oggi; tale elemento, pertanto, costituisce un buon punto di partenza per un’indagine sulla rappresentazione retorica di un fattore di grande rilevanza sociale e religiosa.
224 Cf. Beard 1993 e, in particolare, Brescia 2015, che analizza il rapporto tra declamazione e mito proprio a partire
dal mitema di Antigone.
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Per la cultura romana, infatti, la morte non significava la fine dell'esistenza226: essa si configurava come un passaggio a una nuova vita in cui l'anima sopravviveva e poteva anche avere delle interazioni con i vivi. A questo proposito, possiamo citare il culto dei manes227, che erano, di fatto, le anime dei defunti; non si trattava, però, di divinità benefiche, ma di anime che, se trascurate dai familiari, potevano trasformarsi in lemures o larvae e creare problemi ai viventi228. Non esistono attestazioni precise relative alle credenze sulla esatta localizzazione dei
manes e delle loro sedi di residenza, tuttavia la concezione più diffusa era quella di una dimora
sotterranea o, in ogni caso, vicina al luogo di sepoltura. Era opinione comune, infatti, che i morti dovessero essere tenuti in vita, per così dire, tramite offerte di cibo e bevande, oltre che di olio e di sangue; pratica molto diffusa era quella di consumare sulla tomba di parenti e affini un banchetto funerario a cui era chiamato a partecipare anche il defunto229. Risulta quindi evidente
che la tomba fosse un luogo di grande importanza non solo dal punto di vista religioso, ma soprattutto culturale.
Il rituale funerario era pure improntato a seguire alcuni principi generali, tra i quali quello della purificazione dopo la contaminazione dovuta alla morte e quello della necessità di dare sepoltura al cadavere, pena tremende ripercussioni sulla sua anima. Molte erano le pratiche da osservare nei momenti che precedevano quello finale: dopo che i familiari si erano riuniti intorno al capezzale del moribondo, il parente più stretto procedeva con l'ultimo bacio, per trattenere l'anima che, con l'ultimo respiro, abbandonava il corpo, e con la chiusura degli occhi del defunto. Seguiva poi la conclamatio, che prevedeva di gridare ad alta voce il nome del defunto, per essere sicuri della sua morte230, e a essa la depositio del corpo a terra per poterlo lavare e ungere. A questo punto il cadavere veniva esposto e poi portato al luogo della sepoltura, seguito da parenti e amici vestiti di nero in una processione notturna che si svolgeva alla luce di torce: giunti al luogo designato, si doveva gettare sul cadavere una manciata di terra e inserire nella sua bocca una moneta per consentirgli di pagare la traversata verso il mondo dei morti. La tomba diveniva tale, a livello legale, solo dopo il sacrificio di un maiale, mentre i parenti, al ritorno a casa, si sottoponevano alla suffitio, una forma di purificazione con fuoco e acqua che dava inizio a una serie di cerimonie anch’esse a scopo purificatorio. Nove giorni dopo il
226 Cf. Krapinger 2016, 11 s.
227 Cic. Pis. 7,16 coniuratorum manes mortuorum; Liv. 3,58,11 manes Verginiae; Verg. Aen. 6,743 quisque suos
patimur manes.
228 Plaut. Amph. 777 haec quidem edepol larvarum plenast; Capt. 598 larvae stimulant virum; Cas. 592 amator ...
qui me atque uxorem ludificatust, larva.
229 Toynbee 1993, 37.
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funerale veniva allestita la cena novendialis presso la tomba, con libagioni ai Mani. Non era lecito, in nessuna forma, arrecare disturbo ai luoghi deputati alla sepoltura ed esisteva, anzi, una norma che puniva espressamente chiunque si macchiasse di questa colpa: si trattava dell’actio
de sepulcro violato231, una causa privata pronunciata davanti al pretore che poi, in età imperiale, diventa un crimen extraordinarium232. La pena prevista era una multa, di valore variabile in base alla gravità del fatto, da pagare al querelante e la condanna comportava l’infamia233. Una
lista di azioni di disturbo della quiete sepolcrale si può leggere in Krapinger234, che annovera fatti quali dissotterrare un cadavere e portarlo alla luce del sole, maltrattarlo o derubarlo, portare via parti della tomba (colonne, statue, pietre) così come distruggerle, rendere illeggibili le iscrizioni, usare il sepolcro come abitazione o costruire e abitare sopra di esso.
Quanto al valore culturale e antropologico della tomba, Antonio Stramaglia, in un saggio sulla presenza del fantasma nella cultura antica, la definisce il «simbolo polisemico per eccellenza nei rapporti tra l’uomo e il soprannaturale»235: nei tempi più arcaici vigeva l’equazione tra la
tomba e la dimora del defunto, di cui resta traccia nell’epigrafia funeraria oltre che nell’iconografia236. Esisteva, poi, un sostrato popolare di superstizione che si esplicava in
raccomandazioni a non profanare le tombe, ad avvicinarsi ad esse in silenzio e con rispetto oppure, dall’altra parte, in tentativi di mettere in pratica riti magici volti a mandare messaggi ai defunti237. Leggi, ma anche e soprattutto minacce e maledizioni proteggono i sepolcri238 da tentativi, di diverso genere, di accostarsi in maniera impropria a questo elemento liminare che è segno evidente e tangibile della realtà della morte sulla terra.
Quanto finora affermato, e di cui si è trattato soltanto per cenni, dimostra la grande importanza rivestita dal sepolcro nella cultura latina. Per tale motivo, quindi, anche la retorica di scuola non può esimersi dal trattare tale aspetto della vita quotidiana, inserendolo all’interno di controversie sia come elemento fondante del discorso declamatorio, sia come elemento collaterale, ma pure utile a innescare alcune dinamiche che si riferiscono a questo retroterra culturale.
231 Per maggiori informazioni su questa azione legale, si veda infra, 77 s. 232 Cf. la trattazione di Ulpiano in Dig. 47,12,3 e Paul. sent. 1,21,5-6 e 9.
233 Dig. 47,12,1 sepulchri violati actio infamiam irrogat. Per il concetto di infamia in ambito giuridico e
declamatorio rimandiamo a Dimatteo 2016.
234 Krapinger 2016, 13. 235 Stramaglia 1999a, 295.
236 Sull’argomento, cf. Peifer 1989 e Massaro 1992. 237 Cf. Strubbe 1991 e 1997.
238 Stramaglia 1999a, 298 ricorda il temibile avvertimento tumulos vindicat umbra suos (Ant. Lat. 406 Shackleton
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