Poco dopo l'armistizio, in una grande città dell'Alta Italia, ebbi occasione di assistere ad una riunione di medi e piccoli industriali meccanici. Si voleva documentare con precise offerte l'opposizione ad una domanda d'importazione di macchine utensili. Quando il presi-dente, letto l'elenco delle macchine, invitò i presenti a dire quali fabbricassero già o potessero fabbricare, fu un grido éolo: «Tutte! ». Fu solo quando si passò a redigere le offerte che le Ditte si accorsero che si trattava di macchine di difficile costruzione, alcune coperte da brevetti, e che non erano in grado di fabbricarle a prezzi commerciali. Rinunciarono una ad una e la riunione, cominciata fra il più sincero entusiasmo, finì melanconicamente.
Ora, mi sembra che la nuova tariffa del 1921 sia stata compilata da gente di mentalità poco diversa da quei tali industriali i quali, almeno, meritavano una certa indulgenza per la loro stessa debolezza. Nei campi della siderurgia e della meccanica pare evidente il proposilo di escludere la concorrenza estera dal mercato italiano e questo concetto è applicato con perfetta logica e grande conoscenza della nostra industria e delle concorrenti; qualità l'una e l'altra che farebbero escludere l'opera dei soliti burocrati o di dilettanti. Sembra che gli autori siano veri competenti, come ce ne son pochi fuori degl'interessati.
Certamente, tutte le tariffe doganali di questi ultimi anni sono infor-mate ad un simile concetto, anzi a quello, ancor più assurdo, di proibire l'importazione e di promuovere insieme l'esportazione. L'Italia è stata piuttosto contagiata che promotrice delle idee di moda, ma, tuttavia, è sempre utile vedere se noi non avessimo bisogno, più di altri paesi, di resistere a questo contagio; se, per esempio, quello che riesce ancora sopportabile agli Stati Uniti non sia, invece, dannosissimo all'Italia. Io mi propongo di tentare un simile esame per qualche voce riguardante 1* industria meccarfìca, mettendomi dal punto di vista dei protezionisti moderati (che è poi l'unica specie confessata di protezionismo) e non tenendo conto della scusa che la nuova tariffa sia soltanto mezzo di scambio per le trattative commerciali. Credo che quest'idea sarebbe giusta solo se si trattasse di individui padroni della propria industria e non di Stati ; massime poi di uno Stato come il nostro che, sino a prova contraria, bisogna proprio esser maldestri o sfortunati per non piegarlo a rispettare anche piccoli interessi. Ormai la nuova tariffa è in
vigore da più di un anno e su parecchie voci si sono creati forti interessi. Vorrei proprio vedere il Ministro che si arrischiasse a sacrificarli disin-voltamente come mozzo di scambio soltanto ! SI potrà trattare e cedere solo su quelle voci che danneggiano l'industria estera, ma in Italia non giovano a nessuno.
I.
L'industria meccanica è una delle più naturali in Italia perchè, in generale, la mano d'opera entra nel costo più delle materie prime. Di più, il peso delle materie prime è di poco superiore a quello delle macchine finite e la maggior parte della differenza è data da cascami (torniture, ecc.) riutilizzabili ; mentre le materie prime sono meno, ingombranti delle macchine, non hanno bisogno d'imballaggio ed anche perciò si trasportano più economicamente. È difficile calcolare il margine fra i salari italiani e quelli esteri, perchè ciò che interessa l'industria è la differenza di salario a pari produttività ed a pari qualità o grado di lavorazione. Per esempio, in lire oro, il salario d'un mec-canico degli Stati Uniti è adesso, come prima della guerra, da quattro a cinque volte il salario d'un meccanico italiano; il primo, però, dà una produzione molto maggiore, sia perchè quell'industria là uso larghissimo di macchine ecònomizzatrici di mano d'opera, sia perchè quelle masse operaie sono in parte, formate da un 'élite dei più volon-terosi operai europei e, di più, i metodi americani sono di intenso sfruttamento degli operai come delle macchine. Ci sono poi differenze anche da regione a regione d'Italia; a mio parere, fra meccanico del Mezzogiorno e meccanico del Settentrione, c'è tanta differenza quanta ce n'era prima della guerra fra il secondo ed il suo collega tedesco. In generale, ed a parte le presenti condizioni di differenza fra il potere d'acquisto della moneta legale all'interno ed all'estero dei paesi vinti, si ammette che, in tempi normali, la mano d'opera all'industria meccanica italiana costa meno che alle sue concorrenti della maggior parte dei paesi più industrializzati. I costi della l'orza motrice, sempre tenuto conto del valore in oro della lira, si possono paragonare non sfavorevolmente coll'estero; tanto più dove ci sono grandi impianti idroelettrici dell'anteguerra.
Per tutte queste ragioni, si può escludere che l'industria meccanica italiana si trovi in condizione d'inferiorità naturale rispetto a quelle estere. Deve importare parte delle materie prime; ma le industrie cotoniere dell'Europa debbono importarle completamente e nessuno vorrà sostenere che, p. es., quella inglese si trovi per ciò in condizioni d'inferiorità rispello all'americana od all'indiana. La nostra industria meccanica è invece inferiore perchè più giovane e quindi meno salda-mente organizzata, con impianti meno ammortizzati e, soprattutto, con maestranze che ancora non hanno una solida tradizione. Con tutto ciò.
- 542 —
ha fatto brillanti prove ed è riuscita in qualche caso a battere fuori d'Italia la concorrenza estera, specialmente in lavorazioni nuove, come quella delle automobili.
Ci sono però altre, e gravi, cause d'inferiorità; ma del tutto artificiali : la pressione tributaria, in genere, diretta ed indiretta ; in particolare, e direttamente, l'industria meccanica è colpita dalla protezione doganale alla siderurgia. Il maggior pretesto a favore di questa — le necessità della difesa nazionale — ha trovato una larga conferma nell'esperienza della guerra o, piuttosto, della propaganda di guerra, la quale taceva che i nostri stabilimenti nel 1917-1918 erano costretti ai turni di riposo per gli scarsi arrivi di combustibite estero e che avremmo realizzato un'economia di spesa e di navi se avessimo importato proiettili semi-lavorati anziché materie prime. Comunque, la protezione siderurgica c'è, ed è fortissima con la nuova tariffa. Però, anche sottraendo l'equi-valente della protezione siderurgica, la nuova tariffa resta sempre troppo alta ed, a mio parere, anche dannosa all'industria stessa.
Tengo a chiarire che, con ciò, non intendo riferirmi agli interessi immediati. Al pubblico sono spesso segnalati — e con fortuna — gli errori dei « teorici » i quali trascurerebbero le gravissime conseguenze « pratiche » delle loro proposte e ciò si fa col semplice artificio di confondere gli effetti immediati con gli effetti di regime. Se domani si togliesse la protezione, l'industria qnal'è oggi ne soffrirebbe un danno enorme, per lo meno eguale al vantaggio che l'instaurazione della prote-zione le ha dato. S'imporrebbe un raggiustamento che, in linguaggio « pratico », vuol dire perdite delle Ditte interessate, fallimenti, disoc-cupazione operaia, ripercussioni sulle Banche, ecc. È naturale che gli interessati se ne preoccupino; essi anzi hanno il dovere, di fronte agli azionisti ed ai creditori, di fare il possibile per evitare queste perdite. Ma, se l'instaurazione di un nuovo regime produce simili danni, non vuol dire affatto che esso sia dannoso all' industria ; può anzi accadere che i vantaggi del regime siano enormemente superiori ai danni della crisi iniziale. Similmente, per citare un caso estremo, il crollo della Banca di Sconto ha danneggiato centinaia di migliaia di persone e perturbato per qualche tempo la vita economica italiana, ma alla finanza, all'industria ed alla massa stessa dei depositanti sarebbe costato molto di più il mantenere in vita indefinitamente un organismo così malsano ed i suoi parassiti.
II.
L'industria meccanica moderna è caratterizzata dall'importanza sempre crescente della lavorazione in serie e questa, insieme ad alcuni dei sistemi Taylor, rappresenta la maggior fonte di economie realizzabili in un prossimo avvenire.
Nel tipo primitivo di officina — che è ancora il tipo delle più piccole officine nei paesi meno progrediti — ogni macchina, anzi ogni pezzo
di macchina era « speciale », costruito su modelli appositi ed aggiustato sui pezzi vicini. Ogni bullone si avvitava soltanto sul suo dado. Per conseguenza, non si poteva sostituire un pezzo se non in presenza dei vicini ed ogni riparazione era costosissima per i nostri criteri d'oggi, come anche la costruzione. Gradualmente, prima alcune parti di mac-chine, cominciando dalle più comuni, come i bulloni, poi macchine intere, furono fabbricate quasi esclusivamente secondo tipi normali ed intercambiabili in ogni loro parte ; donde la lavorazione in serie. Per sostituire il pezzo d'una macchina di serie non c'è che da acquistare il pezzo di ricambio e questo costa pochissimo, perchè è prodotto coll'attrezzatura speciale dell'officina produttrice della macchina.
In Italia il concetto di lavorazione in serie è stato enormemente popolarizzato dall' industria di guerra e specialmente dalla lavorazione dei proiettili, col suo tipico apparato di calibri. Forse non è sufficien-temente penetrata fra il grosso pubblico la nozione che gran parte dei sopraprofitti delle fabbriche di proiettili era il risultato di economie ottenute con la lavorazione in serie. In principio il prezzo di lavorazione di ciascun proiettile era generalmente fissato in base al costo nelle officine d'artiglieria; cioè al costo di piccole serie in officine male attrezzate e peggio organizzate; questo prezzo ad una discreta officina privata consentiva anche un rapido ammortamento. L'industriale privato organizzava la sua officina per serie molto maggiori ; ai primi collaudi rimaneva impressionato dalla altissima percentuale di scarti (pezzi eccedenti i limiti d'intercambiabilità), ne studiava diligentemente le cause e così poco a poco, perfezionando l'attrezzatura e, più ancora, educando gli operai, la percentuale di scarti diventava minima e, nello stesso tempo, si elevava moltissimo la produzione, abbassando di altrettanto il costo; che finiva coll'essere una piccola frazione del prezzo pagato dallo Stato. Il prezzo veniva diminuito, mentre i salari ed i profitti crescevano.
II limite all'introduzione della lavorazione in grandi serie è dato dalla potenza d'assorbimento del mercato. Evidentemente, le turbine a vapore da 50.000 cavalli non possono essere costruite neanche a decine e così tutte le macchine di cui la vendita è limitata a pochi esemplari all'anno non giustificano l'attrezzatura speciale delle medie e grandi serie, sempre costosissima. Ma per quei tipi che, sebbene venduti in gran numero, sono prodotti da molte Ditte in modelli differenti e ciascuno in poclii esemplari, spesso una Ditta emerge allargando le sue vendite e facendo serie sempre più grandi e così riduce il costo e va spostando le concorrenti, sulle quali il suo vantaggio aumenta sempre più. Così un mercato chiuso, che può essere sufficiente per assorbire grandissime serie di piccolo materiale elettrico, può essere troppo ristretto anche per piccole serie di motori a gas di media potenza.
L'economia realizzabile con la lavorazione in serie è grandissima. Per darne un'idea — sebbene le cifre medie vadano sempre prese
- 544 —
cutn grano salis — si può dire che il costo di lavorazione di un pezzo,
dalle serie di centinaia alle serie di milioni all'anno, può diminuire dell'80% e P'ù. La lavorazione di una macchina in un solo esemplare può costare 100 ed in 100.000 esemplari meno di 10. P. esi, una semplice innovazione: l'introduzione del montaggio degli chassis su traspor-tatori continui, permise al Ford di ridurre da 12 ore e 28 minuti ad 1 ora e 33 di lavoro di un uomo la mano d'opera impiegata nella operazione; ed il primo tempo era già quello di operai specializzati e di grandi serie. Naturalmente simili attrezzature sono molto costose; considerando la cosa sotto un altro aspetto, si può dire che il costo di lavorazione della prima macchina è altissimo; oppure che va decre-scendo per ogni successivo lotto di macchine prodotte in serie. Questo ultimo modo di vedere è la base di certe politiche di prezzi di vendita. È precisamente contro la superiore economia di Ditte estere, che hanno produzione in serie incomparabilmente più grandi delle nostre, che la nuova tariffa ha voluto proteggere l'industria itóliana. E, d'altra parte, è impossibile dire che questa protezione permetterà alle Ditte italiane di svilupparsi fino a poter fare a meno della protezione, perchè il mercato italiano è così piccolo, che non potrà mai permettere se non piccole serie e quindi costi alti. Cercherò di dimostrarlo con qualche esempio.
III.
Uno degli esempi più rappresentativi che l'industria mondiale possa offrire è quello delle automobili Ford. 11 Ford, antico operaio, ha il inerito di aver introdotto ardite innovazioni tecniche ed è anche noto per l'abitudine di pagar salari più alti di quelli correnti. Cioè, ha ceduto agli operai una parte notevole dei suoi profìtti e perciò nei circoli industriali americani è consideralo un eretico.
La sua macchina è poco diversa dalle concorrenti. Come tutti sanno, è abbastanza brutta, ma buona e robusta, capuce di sopportare gli sforzi imposti dalle pessime strade della campagna americana. Nei primi tempi doveva avere poche ragioni di superiorità sulle concorrenti di allora; in seguito è stata diffusa in America da una rete vastissima ed efficacissima; ora deve la sua immensa vendita al basso prezzo; carrozzala a torpedo costa 348 dollari franco Detroit. Questo prezzo è possibile perchè si fabbrica in serie da 1.400.000 all'anno, di 4000 al giorno in un solo modello. E queste serie sono possibili perche gli Slati Uniti assorbono 2 milioni di automobili all'anno. Sui 12 milioni esistenti in tutto il mondo, circa 10 sono agli Stati Uniti, in certe zone dei quali ce n'è una ogni 0 o 7 abitanti. La « General Motors Corporation », il trust della maggior parte delle altre marche americane, quando ne ha venduto solo 20.000 in un mese è in cattive acque.
In Italia, invece, le automobili non arrivano a 00.000; una ogni 050 abitanti, e se ne comprano poche migliaia all'unno. La produzione
delle maggiori fabbriche raggiunge le 4 o 5000 e divisa in molti modelli per giunta. Tutti sappiamo che da noi l'automobile è considerata oggetto di lusso; nè il dazio può certo agevolarne la diffusione. Quindi, non vedo quali probabilità noi abbiamo di creare un'industria del-l'automobile popolare che possa raggiungere costi paragonabili a quello minimo della Ford. In Inghilterra ed in Francia si è fatto il tentativo, con modelli piccoli ed a piccolissimo consumo, preferibili alla Ford sulle strade di quei paesi, ma, finora, ha avuto poca fortuna.
Eppure, una Ford è colpita da un dazio di 115 lire oro a quintale, cioè <>90 lire oro |>er una vettura di 6 quintali, pari a 131 dollaro, cioè il 36% del prezzo all'origine, più il 35% di sopradazio ad valorem,
in totale il 71 %. Si aggiunga che la Ford paga, agli effetti della tassa di circolazione, circa il triplo di una vetturetta leggera italiana, e si comprenderà come sia praticamente esclusa dall'Italia. E si tratta di macchina adatta, per la sua rusticità e la potenza del motore, sia come vetturetta che come camioncino, alle pessime strade di tanta parte del Mezzogiorno, che in molti tratti possono considerarsi a fondo naturale. Ultimamente si è anche detto che gli industriali italiani si sarebbero perfino opposti all'impianto di un'officina di montaggio della Ford nel punto franco di Trieste, per l'esportazione nei paesi danubiani.
Senza dubbio, il dazio enorme è una ritorsione alle tariffe che hanno escluso le nostre automobili da tanti dei loro migliori mercati. Ma, sotto questo aspetto, mi sembra un magro affare, per la solita ragione che un piccolo mercato non può compensare della perdita di uno grande. D'altra parte, le automobili popolari non sono in concorrenza colle nostre, perchè queste appartengono alle classi, interamente diverse, delle vetture di lusso e medie e la loro clientela è formata prevalen-temente dalla media ed alta borghesia, che non si adatterebbe ad una marca che ha su di sè ii marchio del buon mercato. Se interferenza c'è, in quella clientela che usa l'automobile per affari, la perdita di questa sarebbe compensata dalla maggior diffusione dell'automobilismo, per cui molti comincerebbero dalla vettura popolare per poi passare a quella più elegante. Tanto vero, che in America la Ford non ha certo fermato lo sviluppo delle marche più care che tuttora accaparrano da un terzo a metà delle vendite totali. Edanzi, un paio di anni fa ha stabilito una sua fabbrica agli Stati Uniti proprio la Rolls-Royce, cioè una delle più care fra le marche di lusso. la quale si è proposta di fabbricare le stesse macchine, con le stesse piccole serie, con la stessa lavorazione accuratissima e con gli slessi costi altissimi, della sua fabbrica inglese. Gli americani slessi osservano che, appena una marca di lusso arriva ad abbassare il costo mediante serie maggiori, è abbandonata da una parte della clientela ricca, che la vede diventare meno rara e perciò la trova meno « distinta» ; perciò ritengono che le macchine europee, solo perchè più « distinte » pur essendo a miglior mercato per il minor costo della mano d'opera, troveranno sempre un largo sbocco agli Stati Uniti.
- 546 —
Altri prodotti notevoli della lavorazione in grandi serie sono le macchine da scrivere, gravate dal dazio di L. o. 200 a quintale, coeffi-ciente di maggiorazione 1, cioè 400 lire oro e, per una macchina di peso medio, 250 lire al cambio attuale. Protezione tanto più notevole quando si paragona ai costo in fabbrica, cioè netto delle altissime spese di
vendita e di réclame. Il pubblico può intuirne gli effetti dalla fioritura di pubblicità di marche italiane vecchie e nuove, anche sulla stampa estera. 1 nostri negoziatori saranno liberi di usare questa voce come mezzo di scambio cogli Stati Uniti, che sono i più interessati? E quanto dovremo aspettare perchè la nostra industria, clie prima di crescere si moltiplica, si sia rafforzata tanto da sostenersi senza protezione?
Particolarmente delittuosa, poi, dev'essere l'importazione di parti di macchine da scrivere, colpite da un dazio di 350 L. o., coefficiente di maggiorazione 1, cioè 700 lire oro a quintale, più delle macchine fotografiche con obbiettivo (L. o. 350, coefficiente 0,5), più delle profu-merie (L. o. 300, coefficiente 1), più delle specialità medicinali (L. o. 4<X>, coefficiente 0,5) ; ma in giusto rapporto, bisogna dirlo, col dazio sulle macchine intere; senza di che le marche estere non avrebbero avuto clie da fare in Italia il montaggio delle parti fabbricate all'estero, tutt'al più la fusione dell'incastellatura, analogamente a quanto si è fatto per le macchine da cucire.
Le macchine ed il materiale elettrico, con dazi che vanno da 30 a 120 lire oro, coefficiente 1, non possono dirsi troppo protetti in confronto ad altre macchine, se si tien conto della protezione al rame in fili. Eppure si tratta di uno dei più antichi domini della lavorazione in serie, e di prodotti che il mercato italiano assorbe largamente. Abbiamo un'industria nazionale che si è sviluppata anche sotto la concorrenza tedesca, è divenuta esportatrice e di cui qualche nome fa onore al paese; basta citare quello del Marelli. Sarebbe interessante . sapere se la protezione moderata è da attribuire a minori domande di questi industriali oppure al fatto che i maggiori consumatori sono
Ditte fortissime ed influenti.
È forse utile ricordare il caso generale. Supponiamo che un certo mercato assorba annualmente date macchine in un numero, cui cor-risponde, poniamo, il costo unitario di fabbricazione 60. I concorrenti esteri sfruttino un mercato più largo, che consente serie maggiori, con costo di produzione 20. Evidentemente, se un dazio copre la differenza, l'industria del mercato piccolo potrà tutt'al più accaparrarselo intera-mente, ma, per svilupparsi ulteriorintera-mente, deve vendere all'estero a meno di 20. Può farlo, se considera il costo sotto il punto di vista cui ho precedentemente accennato. Se, aumentando la produzione di un quinto, si abbassa, poniamo, il costo unitario a 51, si può anche dire che il costo unitario del primo lotto, quello assorbito all'interno, è di <50 e quello del secondo 10. Cosi si ha convenienza a vendere all'interno a 61 ed all'estero a l i . Questo si chiama volgarmente fare del dumping,