Sul problema del caro viveri sono stati versati fiumi d'inchiostro. Non è nostra intenzione esaminarlo nei suoi vari aspetti, il che por-terebbe a disquisizioni infinite nel campo dell'economia generale, nel quale campo sono diverse le opinioni e di conseguenza anche molto diverse le conclusioni. Ci limiteremo invece ad esaminare un lato del problema, nel quale tutti coloro che si occupano degli interessi generali delle nostre popolazioni, si trovano concordi, e nelle constatazioni, e nel formulare voti e desideri. L'augurio è naturalmente che questa concordia porti a qualche buon risultato.
11 problema del caro vita comprende tutto ciò che occorre alla famiglia : alloggio, vestiario e vitto. Ma più propriamente accennando al caro viveri si intende riferirsi a quella sola parte che riguarda il vitto e cioè le derrate alimentari e anche per questa parte ci limiteremo ad un particolare della questione, quello dei trasporti ferroviari.
E scendendo ad un particolare del particolare, aggiungeremo che il problema ci interessa principalmente nei rapporti delle regioni set-tentrionali d'Italia che sono importatrici, sebbene per riflesso ne ven-gano interessate anche le regioni meridionali quali produttrici ed esportatrici.
Non ripeteremo il noto adagio, che le ferrovie sono le arterie del paese. Ognuno sa che, arrestando il movimento ferroviario, la vita del paese si arresta e che rapidi e poco costosi mezzi di comunicazione sono potente coefficiente per il progresso civile ed economico di una nazione. Basta all'uopo confrontare la rete ferroviaria dei paesi più progrediti con quella dei paesi più arretrati per convincersi che l'indice maggiore del progresso sta nella misura dei chilometri di ferrovie in rapporto alla popolazione. Da questo lato molto resta a fare all'Italia per corrispondere adeguatamente alle esigenze cosi dell'industria che dell'agricoltura.
(1) Quest'articolo, già pronto per il fascicolo di ottobre-dicembre, per esigenze tipografiche e di spazio, soltanto in questo fascicolo ha potuto essere pubblicato.
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L'Italia settentrionale è assolutamente dipendente, almeno in alcuni mesi dell'anno, dalla produzione del meridionale. Tre stadi sono a considerarsi della importazione del mezzogiorno d'Italia verso il centro e il settentrione:
Un primo stadio rappresenta il periodo in cui la produzione agri-cola del nord è quàsi nulla e quindi quella del mezzogiorno è una necessità imprescindibile. Se essa manca si ha veramente un fenomeno di parziale carestia e la carne, le uova, i cavoli, prodotti locali anche invernali, salgono a prezzi favolosi.
Il secondo stadio è rappresentato da quel periodo in cui si inizia e si sviluppa la produzione locale, ma è ancora insufficiente al bisogno e la produzione meridionale viene ad integrare quella, esercitando anche in pari tempo utile funzione di calmiere.
Il terzo stadio è quel periodo in cui la produzione locale potrebbe anche, a stretto rigore, soddisfare alle esigenze locali, ma la produ-zione del mezzogiorno continua a venire in misura più limitata e serve opportunamente a mantenere in giusti limiti i prezzi, che altrimenti, per effetto del monopolio che i produttori locali eserciterebbero, sali-rebbero assai al disopra di quanto il costo reale di produzione ed un equo profitto consentirebbero di fissare.
In questo ultimo stadio, insegna l'esperienza, bastano pochi vagoni di provenienza del mezzodì d'Italia per esercitare sui nostri mercati una assai benefica influenza.
Da quanto abbiamo esposto, non è chi non veda come sia di capitale importanza un servizio di trasporti ferroviari molto celere e a tariffe miti. Ora, come è stato ultimamente rilevato, questo servizio non si è avuto, ed il costo di molte derrate è stato sensibilmente alterato. Diremo degli inconvenienti lamentati e cercheremo poi di analizzarne le cause principali. Nell'ante guerra il servizio di trasporti ad uso delle esportazioni verso la Germania era organizzato in modo veramente perfetto. I vagoni dalla Sicilia giungevano in 36 ore alia frontiera ed anche oltre, e, quando occorreva, si dava ad essi la precedenza persino sui treni diretti, onde non mancassero l'arrivo al mattino sui mercati tedeschi. Chi conosce l'organizzazione dei mercati (che si tengono generalmente tre volte alla settimana), sa che se i vagoni non possono essere sca-ricati in tempo da poter essere riversati a prima ora sul mercato, non esercitano più influenza di sorta sui prezzi. La scarsa merce determina naturalmente un rincaro, ma la derrata giunta tardi rimane nei magaz-zini per almeno ventiquattro ore, qualche volta anche 36 e si deteriora, deve vendersi con sacrificio e non ne profitta più alcuno. Ora qualche inconveniente di ritardo allo scarico si è verificato anche nelle nostre principali città, ma la buona volontà dei dirigenti ha potuto imme-diatamente rimediarvi, quindi per questo riguardo poco abbiamo a dire.
Ai famosi treni di esportazione cui accennammo più sopra si con-trapponevano per l'interno treni a piccola velocità accelerata,che da
Napoli impiegavano un massimo di due o tre giorni, comprese le operazioni di carico e scarico e non più di cinque o sei giorni dalle Calabrie e dalla Sicilia, il che era sufficiente nella buona stagione, esclusi i forti calori, nei quali conveniva naturalmente spedire a treno diretto almeno le derrate più deperibili.
Il termine di resa (24 ore ogni 225 chilometri più 18 ore per le operazioni di servizio) non era quasi mai raggiunto, anzi normalmente era assai abbreviato, per cui, salvo casi eccezionali, le cose andavano discretamente.
Ma la guerra è intervenuta e la mancanza di vagoni e di carbone, le esigenze dell'approvvigionamento dell'esercito hanno fatto sì che lo Stato non potesse più mantenere tali termini di resa, e questi vennero semplicemente triplicati. Era logico cbe, durante la guerra, nessuno protestasse e neppure nei primi mesi che alla guerra seguirono. Tre anni dopo l'armistizio, non può a meno di parere eccessivo che, per un vagone di cavolfiori proveniente da Napoli, la ferrovia possa valersi di un termine di resa di dodici giorni 1 Tanto vale dire cbe non si spedisca più a piccola velocità accelerata; ed infatti gli importatori, ben sapendo cbe in corrispondenza a tali termini di resa la derrata giunge completamente inservibile, senza diritto a reclamo, non spe-discono più a piccola velocità accelerata, ma a treno diretto, con una spesa così elevata che su qualche prodotto ha raggiunto oltre il 50% del costo di esso.
Basta d'altronde aver presente, che il termine di resa per la piccola velocità accelerata rappresentava proprio il massimo compatibile colla conservazione della maggior parte delle derrate agricole, per compren-dere, che, una volta triplicati questi termini, che giungono così fino a 30 giorni per un trasporto da Palermo a Torino, il servizio trasporti derrate alimentari, in base alle norme attualmente in vigore, costituisce una derisione. Coloro che spediscono tentano un giuoco. Se va bene, cioè se i vagoni impiegano molto minor tempo dello stabilito come massimo (e bisogna riconoscere che oggi questo massimo non si rag-giunge più), la derrata può rag-giungere in buone condizioni, altrimenti la derrata è perduta, perchè la ferrovia non rimborsa nulla.
Qui occorre ricordare che, oltre a questi termini di resa, veramente intollerabili, le ferrovie trovano nell'articolo 58 delle tariffe una comoda scappatoia per non pagare, anche quando i termini di resa sono sor-passati. Dice infatti questo articolo, che non si pagano le conseguenze dei ritardi dovuti a cause indipendenti dal fatto dell' Amministrazione. Ma in queste cause si comprendono molti casi, la cui indipendenza dal fatto dell'Amministrazione è per lo meno discutibile, come i cosidetti
ingombri di stazione, ecc.
Si può dunque affermare cbe la spedizione a piccola velocità acce-lerata, stando ai termini di tariffa, non è utilizzabile. Nella pratica, e quando la stagione lo consente, la si usa tuttavia per derrate meno
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deteriorabili, come le patate ; ma anche per queste si sono lamentate avarie notevolissime, perchè vagoni provenienti da Avezzano hanno impiegato oltre quindici giorni, ciò cbe ha fatto si che le patate sono giunte quasi totalmente germogliate.
Fra il trasporto a piccola velocità accelerata e il treno diretto sta il servizio grande velocità, ma quando si tratta di invii in forti quan-tità, come avviene per le derrate alimentari, manca l'opportunità di servirsene, in quanto i termini di resa sono di poco inferiori a quelli della piccola velocità accelerata. Nell'epoca in cui le città del setten-trione fanno larga importazione di aranci, che si riduce per qualche mese ad essere l'unica frutta accessibile alle borse modeste, furono segnalati sui giornali frequentissimi casi di vagoni giunti con uno scarto del 25 e 30%. Qualche vagone giunse cosi avariato, che venne scaricato nel fiume, dando luogo a un singolare episodio. Alcune donne del popolo, che assistevano allo scarico dei carri, ebbero a sca-gliarsi contro i negozianti all'ingrosso, accusati di accaparrare le derrate e lasciarle marcire in magazzino per non cederle a basso prezzo. E tali aranci erano gettati in fiume d'ordine dell'ufficio d'igiene municipale!
Siccome queste perdite non possono essere subite dal produttore, ne è derivato che il prezzo medio degli aranci si è elevato automa-ticamente del 30 e più per cento per coprire tali perdite. Ed in ultimo,
la temperatura essendosi elevata e non potendosi ottenere dalle fer-rovie sufficienti garanzie di rapido trasporto, le spedizioni degli aranci verso il settentrione cessarono assai prima dell'epoca normale. Gli importatori non si arrischiarono più a far venire un prodotto che non poteva più giungere mangiabile.
Diremo più innanzi delle cause degli inconvenienti che si lamen-tano, ma non sarà inopportuno ricordare alcuni fatti tipici che furono già ricordati sui giornali cittadini.
Un vagone proveniente da Gioja Tauro dovette subire il trasbordo e giunse a Torino con deficienza di merci di 90 quintali, un altro proveniente dallo stesso luogo diede 25 quintali di derrata utilizzabile su un carico di 130, un altro da Rosarno 42 quintali su 101 caricati. Una sola ditta di Torino ha presentato alla ferrovia, nello spazio di sei mesi, ben 22 reclami e l'ufficio ferroviario è oberato di reclami, la maggior parte dei quali, per le condizioni di tariffe più sopra accen-nate, non avrà esito. Questi danni sono dovuti ai ritardi, ma ci sono disguidi dovuti a difetto di sorveglianza, a trascuranza colposa se non volontaria, a disordine. Ad esempio, un vagone partito da Gioja Tauro il 18 marzo, con destinazione a Torino, e che portava ai due lati car-tellini con indicazione della destinazione e del destinatario, è finito a Berna (bello anche il controllo doganale), donde veniva ritornato a Torino. Qui, su 130 quintali di derrata ne venivano utilizzati 30! Altro vagone spedito da Nocera Inferiore a Torino, finì a Venezia, dove
venne venduto al pubblico incanto. In questi casi è probabile che la ferrovia abbia pagato, ma la distruzione di ricchezza è ugualmente avvenuta.
Più recente, fra altri, il caso di un vagone di uva da tavola, di circa 11.000 chili, che, spedito il 7 ottobre da Lonigo a piccola velo-cità accelerata, pagando 1160 lire di trasporto, è giunto a Torino il 18, impiegando 11 giorni. La perizia, fatta in contraddittorio, ha stabilito il danno al 35%,!
Sebbene questi cosi siano stati rilevati a Torino, tuttavia risulta, e dai reclami presentati e da quanto è stato pubblicato nei giornali milanesi e nel giornale della classe dei produttori, negozianti e impor-tatori, che gli inconvenienti lamentati furono comuni a tutto il set-tentrione, tanto è vero che i prezzi correnti delle derrate importate si mantennero quasi uguali tanto sul mercato di Torino cbe su quello di Milano, anzi in questo furono alquanto più elevati.
Fra gli altri guai del servizio ferroviario c'è quello degli imballi. Oggi questi costano tanto da rappresentare mia percentuale notevole nel prezzo delle derrate. Occorrerebbe poterli spedire a piccola velocità, ma le ferrovie non hanno mai vagoni da mettere a disposizione dei richiedenti e siccome non si può far a meno di spedirli alle ditte pro-duttrici, così si ricorre alla spedizione a grande velocità. La spesa è più che doppia, e naturalmente, in ultima analisi, viene a gravare sul prodotto.
Da tutto quanto abbiamo esposto, possiamo trarre la deduzione che vi è ancora nel servizio ferroviario una organizzazione difettosa, la quale si risente un po' troppo del periodo di guerra, da tempo felicemente sorpassato.
Dove si debbono ricercare le cause?
Premettiamo cbe se, nei dipartimenti di Torino e Milano, accadono degli inconvenienti, questi sono molto lievi in confronto a quelli che avvengono nel Meridionale. Dal foglio di via che accompagna tutti i vagoni dal punto di partenza fino a destino, riesce facile riconoscere a che cosa si debba il ritardo od il trasbordo di un vagone. Nella maggior parte dei casi si tratta di riscaldamento di vagoni, che obbli-gano a sospendere il viaggio, a fare il trasbordo, od a lasciare un vagone fermo per qualche po' di tempo, fino a quando qualche altro treno pietosamente vi provveda. I bene informati però dicono che molti guai sono piuttosto originati da cattiva volontà che non da fatalità di circostanze. Perchè i vagoni si riscaldano preferibilmente nella zona calabrese e jonica? Perchè man mano che si sale nella linea ferroviaria e ci si avvicina alle zone dei compartimenti di Torino e Milano, gli incidenti son sempre meno numerosi, fino a non veri-ficarsi più affatto, tanto vero che dal confine del compartimento di Torino, i vagoni derrate giungono quasi sempre con perfetta regolarità?
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Ancora lo scorso mese il giornale da noi più sopra citato aveva una corrispondenza da Roma, in cui si rilevava cbe da qualche tempo tutti i vagoni, o buona parte di essi, provenienti da Napoli e destinati a Roma, avevano avuto delle peripezie, specialmente avevano sofferto del riscaldamento. E siccome per un percorso cosi breve il fatto diventava, anche per la sua frequenza, inesplicabile, è naturale e logico che lo si attribuisca a manovre delittuose, manovre che trovano la loro con-ferma nelle constatazioni fatte alcune volte che, nei vagoni, là dove si doveva trovare l'olio lubrificante, si trovava invece delia sabbia. Non è pertanto arrischiato giungere alla conclusione che vi è perso-nale che ha un certo interesse a che il servizio non proceda regolar-mente, sia perchè nei trasbordi c'è sempre qualcosa da arraffare, sia perchè qualcuno è interessato da concorrenti a non lasciar proseguire qualche vagone di derrate. Quel che è positivo, matematico e provato dall'esame dei fogli cbe accompagnano i treni, si è cbe nelle Calabrie e nella Sicilia e anche nel Napoletano, il servizio non procede con la voluta regolarità. È onesto riconoscere che vi sono degli ostacoli non inerenti al personale. Le linee delle dette zone sono tutte ad un solo binario, le stazioni sono assai distanti fra di loro, e parecchie di quelle che figurano nell'elenco non funzionano, sono cioè smobilitate, senza personale. Ne consegue cbe se ad un treno capita un accidente, bisogna attendere lungo tempo prima di potervi provvedere, dovendosi tele-grafare alla stazione, conoscere se l'altro treno vi è giunto, aspettare la risposta; insomma fare una quantità di pratiche, del resto neces-sarie ad evitare incidenti più gravi, ma cbe tutte richiedono molte ore, spesso dei giorni. Poi vi sono le coincidenze da attendere e, tutto insieme considerato, un lievissimo guasto può portare a ritardi di qualche giorno.
Ma la questione del personale va ancora esaminata da due punti di vista. La zona calabrese e siciliana è per i ferrovieri quello che è la Sardegna per i magistrati: pochi ci vogliono andare, e, se anche non vi vanno i peggiori elementi, è certo che nessuno vi porta quello zelo che portano i ferrovieri in zone più gradite. Peggio di così, dicono quei ferrovieri, non si può stare e, checché accada, vi è speranza di cambiare in meglio. C'è dunque un insieme di personale cbe non è animato da alcuna buona volontà, da alcun amore alla disciplina, da alcun interesse per l'azienda. Quando non si lascia corrompere, come l'occasione si presenta spesso là dove ci sono dei carichi da fare, agisce automaticamente e aggrava, più che non cerchi di alleviare, le circo-stanze create da un impianto quasi sempre deficiente. Infatti in molte stazioni manca assolutamente il necessario per operare un rapido trasbordo, per riparare anche provvisoriamente un vagone, per rime-diare con qualche sollecitudine ad un lievissimo incidente, tn taluni luoghi il minimo guasto crea una paralisi di tutto il servizio. Chi segue la cronaca può vederlo anche dagli inconvenienti che la rottura
di un argine, la caduta di un piccolo ponte, un alluvione, porta nel movimento viaggiatori. Nel servizio merci tutto è più grave, perchè non c' è lo stimolo ad una sollecita soluzione.
Esiste poi un malanno generale a tutta l'amministrazione ferro-viaria, ed è l'applicazione delle otto ore. È unanime fra i dirigenti dei ferrovieri, ed anche fra i ferrovieri stessi, l'ammissione che le otto ore hanno completamente disorganizzato il servizio. Nei grandi centri è possibile ripartire gli orari in modo che il servizio non ne sottra troppo, ma là dove le stazioni distano dall'abitato molti chilo-metri, dove il personale è ridotto ad uno o due manovali, dove la continuità del servizio non può assicurarsi, dove il ritardo di un treno anche solo di mezz'ora può avere per conseguenza che la stazione rimanga affidata esclusivamente al capo stazione, se, al passaggio di un treno, un vagone si guasta, il meno che può capitare è che sia staccato e messo iu disparte dallo stesso personale del treno. Nessuno 10 riceve in consegna ; all' indomani il personale cbe riprende servizio non ne sa nulla, e nessuna meraviglia che questo vagone rimanga giacente due, tre, quattro giorni, poi riprenda il suo viaggio, magari attaccato ad un treno, cbe non è quello cbe sarebbe il più indicato. Più le linee sono mài costrutte, più attraversano zone di scarsa popolazione, più le stazioni sono rare e di modesta importanza, più la questione delle otto ore ha avuto ed ha riflessi gravissimi. Per rimediarvi in modo soddisfacente bisognerebbe duplicare il personale e aumentare le stazioni, ma non crediamo che la situazione generale del bilancio ferroviario consigli delle spese in tal senso ; piuttosto sarà 11 caso di vedere se non sia conveniente e forse necessario fare le linee a doppio binario e moltiplicare le ispezioni in quelle zone dove gli inconvenienti sono così frequenti. Nè occorrerà per questo che si aumentino gli ispettori; basterà far sì che si dirigano più spesso in Calabria e Sicilia, che non nel Settentrione, dove essi vengono più volentieri, ma dove la loro opera, fortunatamente, è meno richiesta. Il guaio è che, così gli ispettori come i ferrovieri, in certi paesi vanno assai di malavoglia.
Questi sono i difetti di organizzazione che producono i numerosi incidenti, cbe hanno per risultato i ritardi nel trasporto di derrate alimentari dal sud al nord. Ma questi difetti trovano, se non l'origine esclusiva, certo una delle cause prime nella deficienza di vagoni e nella loro non ancora razionale distribuzione. Inutile ricordare l'uso eccezionalmente intensivo che dei vagoni si è fatto durante la guerra e come assai scarsamente siasi provveduto alla sostituzione di quelli resi inservibili ed alla riparazione di quelli deteriorati.
L'industria privata, cui le riparazioni sono state affidate, lavora, ma non in misura adeguata al fabbisogno; i numerosi scioperi che si sono avuti nel 1919 e nel 1920, la scarsa produttività dell'operaio, che appena ora si riprende e lentamente, la ripulsione di certe maestranze
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ad eseguire le riparazioni, perchè il lavoro di materiale nuovo appare più redditizio e di più facile applicazione dei cottimi, tutto ha concorso a lasciare le nostre ferrovie con una insufficiente dotazione di vagoni, in rapporto al bisogno sia delle industrie, che dell'agricoltura. Ma questa scarsità di vagoni è aggravata dalla situazione ancora caotica della nostra produzione industriale. Se essa pare riprendere in qualche paese, la stazione richiede vagoni che vi si mandano; ma poi uno sciopero, una sospensione di carico per soverchio affollamento di merci,