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La vita militare: quotidianità e disciplina

Capitolo 1: storiografia, contesto storico, storia dei corpi militari

1.2. Temi storiografici

1.2.3 La vita militare: quotidianità e disciplina

Due aspetti delle truppe coloniali sui quali la storiografia ha riposto molta attenzione sono la quotidianità delle truppe, soprattutto la loro dimensione abitativa e familiare, e il rapporto che avevano con i regimi disciplinari attuati dai colonizzatori.

Le truppe coloniali dell’Africa Orientale oggetto di questa ricerca non fanno eccezione e molti studiosi si sono dedicati ad un tema in particolare: i campi famiglia.

Caratteristica importantissima di molte delle truppe coloniali dell’Africa Subsahariana era infatti la presenza, vicino agli accampamenti sia in tempo di pace che in guerra, di villaggi abitati dalle mogli e dai figli dei soldati. In alcuni casi, invece che in caserme e in barracks, i soldati abitavano con le famiglie in questi villaggi. Queste sistemazioni finivano spesso per influenzare le dinamiche disciplinari nei ranghi delle truppe. Tali aspetti non sono sfuggiti alla storiografia, che li ha spesso approfonditi insieme. Parsons ha collaborato a Guardians of Empire con il contributo All askaris are family

men: sex, domesticity and discipline in the King’s African Rifles, 1902-196482, offrendo una panoramica di queste tematiche nei K.A.R. Parsons sostiene che il sistema coloniale britannico necessitasse l’isolamento delle truppe indigene dal tessuto sociale preesistente, e che quindi fosse necessario per i soldati avere delle famiglie al loro fianco, specialmente in tempo di pace. L’autore sostiene che le mogli e compagne dei K.A.R. servissero a una serie di scopi: fornire letteralmente welfare quotidiano ai propri mariti, come la preparazione dei pasti e la gestione delle abitazioni; soddisfare le esigenze fisiche dei soldati, che secondo la visione razzista degli ufficiali bianchi erano incapaci di contenere le proprie pulsioni sessuali. Un askari senza moglie sarebbe stato più incline a comportamenti indisciplinati. Su questo punto Parsons insiste sulle dinamiche di prostituzione che ruotavano intorno ai reggimenti, specialmente durante le operazioni belliche, e alla diffusione esplosiva di malattie veneree fra le truppe che queste comportavano. Infine un ruolo importante viene assegnato ai figli dei soldati, già cooptati nell’apparato militare in giovane età come inservienti o trombettieri e instradati a un futuro come nuove leve.

82 Timothy H. Parsons, All askaris are family men: sex, domesticity and discipline in the King’s African

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Chiaramente queste tematiche hanno trovato uno spazio molto ampio in The African

Rank-and-File. I capitoli 5 e 6 sono infatti dedicati rispettivamente alle famiglie dei soldati e a alla disciplina fra i ranghi. Per quanto riguarda il primo83 - Army Women and Military Families – viene ulteriormente sviluppato il rapporto tra i soldati e le loro mogli. Viene soprattutto ribadito che in periodo di pace, i K.A.R. non erano dotati di una legislazione precisa riguardo le mogli e le famiglie al seguito, ma che comunque gli ufficiali incoraggiavano i soldati indigeni a sposarsi. Allo stesso tempo Parsons ribadisce la dimensione di prestigio virile che il mestiere delle armi conferiva, portando i soldati indigeni a pensare che quel tipo di impiego dovesse avere come corollario inevitabile una maggiore attrattiva per delle compagne. Nella mentalità britannica questo sistema disegnava un quadro di pacifica coesistenza familiare sotto le insegne militari:

“The peacetime K.A.R. subscribed to a paternalistic idea that the families of British officers and African enlisted men were part of a larger «regimental family», which in addition to military discipline, was bound together by ties of loyalty and affection. Most Africans, however, had different sense of the colonial military. Career African soldiers subscribed to some of the K.A.R.’s familial sentiments, but most rank-and-file askaris viewed the army more as a job and a source of patronage than as an emotive family.”84

Nel capitolo viene descritto come le faccende domestiche esercitate dalle mogli degli ascari fossero considerate una parte fondamentale del buon funzionamento dei battaglioni, poiché molti uomini ritenevano tali faccende disdicevoli per il loro ruolo di maschi e soldati; viene inoltre aggiunto che le famiglie sottostavano alla giurisdizione militare e che usufruivano dei benefici dei mariti e padri, soprattutto per quanto riguarda i trattamenti sanitari. Parsons sottolinea poi efficacemente la differenza con il periodo di impiego dei K.A.R. durante la Seconda Guerra Mondiale. In questo caso infatti non solo le esigenze di spostamento non permisero la permanenza di campi famiglia vicini alle truppe, ma si iniziò a scoraggiare i soldati indigeni dallo sposarsi finché non avessero ottenuto il congedo o un permesso lungo. Questo portava a una maggiore tensione nei ranghi, a un ricorso alla prostituzione o a relazioni più o

83 Idem, The African Rank-and-Files, cit., pp. 144-181 84 Ibidem, p. 148

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meno lecite, ma anche a episodi di assalti e violenze su donne dei territori che vedevano il passaggio delle truppe.

Nel capitolo successivo – Discipline and Resistance85 – si affronta la questione dell’effettiva fedeltà dei K.A.R. ai loro ufficiali britannici e degli episodi di aperta opposizione. Parsons ribadisce efficacemente che il servizio militare non era esercitato per un senso di sudditanza e fratellanza imperiale, ma per questioni economiche e di prestigio:

“Contrary to colonial stereotypes, Africans did not join the King’s African Rifles to serve the British Empire or «King Georgi». Most askaris enlisted because military service was the most lucrative source of unskilled wage labor in colonial East Africa. Most African soldiers thought of soldiering as a prestigious work that entitled them to special consideration from the army, and consequently, the colonial state.”86

Furono proprio queste pretese di riconoscimento “lavorativo” che furono le principale cause di problemi disciplinari e resistenza da parte delle truppe. Purtroppo ammette Parsons, non è possibile determinare la dimensione della resistenza interna da parte delle truppe indigene africane: i rapporti ufficiali prendono in considerazione solo i casi disciplinari gravi. Le interviste a ex-askari e ufficiali diventano quindi le fonti principali a riguardo, ma questo allo stesso tempo rende molto più nebulosa l’indagine intorno al primo periodo di attività delle truppe in East Africa.

Le fonti disponibili mostrano comunque una scarsità di casi gravi nel periodo di pace fra le due guerre, e una disciplina che “…was never as strict or rigid as the official

histories suggest”87.

Gli ufficiali si servivano di molti metodi formali e informali per mantenere la disciplina e la sottomissione nei ranghi. Il Secondo Conflitto Mondiale costituisce il focus principale dell’autore in questo capitolo, soprattutto riguardo a numerosi episodi di malcontento e insubordinazione legati al trattamento economico delle truppe. L’attenzione quasi esclusiva di Parsons sui K.A.R. del Kenya e sulla Seconda Guerra Mondiale ha tagliato fuori un episodio di questioni disciplinari riguardanti il S.C.C.

85 Ibidem, pp. 182-223 86 Ibidem, p. 182 87 Ibidem, p. 185

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del 1937. Questo episodio, seppur marginale, è stato analizzato da Jama Mohamed in

The 1937 Somaliland Camel Corps Mutiny: A Contrapuntal Reading88. L’autore ha ribadito lo scarso interesse della storiografia per l’evento e in genere per il corpo dei S.C.C. Pur trattandosi di un accadimento di scarsa portata e del tutto incruento – l’insurrezione di un reparto motivata dal rifiuto di pulire delle stalle reggimentali – l’autore ne sottolinea l’importanza sul piano trans-coloniale: i soldati indigeni si sarebbero rivoltati poiché pagati meno dei loro omologhi in territorio italiano. Torneremo su questo piccolo mutiny durante l’analisi della documentazione archivistica.

Il tema della disciplina e della coercizione sotto le armi è stato affrontato da Killingray con nel suo The “Rod of Empire”: The Debate over Corporal Punishment in the

British African Colonial Forces, 1888-194689. L’articolo descrive l’impiego delle punizioni corporali fra le truppe dei K.A.R. e della R.W.A.F.F. Killingray illustra più volte l’idea coloniale britannica che gli Africani fossero sia infantili e ingenui, sia animaleschi e proni all’insubordinazione: le pene pecuniarie e la prigione erano ritenute inefficaci vista la “loro mentalità”, e quindi la fustigazione era non solo l’unico strumento efficace, ma addirittura “preferito” dagli stessi soldati indigeni. Vengono riportate sia le voci critiche degli ufficiali coloniali e dei gruppi umanitari contrari all’uso arbitrario della fustigazione, che quelle di coloro che la ritenevano parte integrante dell’armata coloniale. Killingray inoltre insiste sullo scontro fra i tentativi di riforma del Colonial Office e i “senior officers” più recalcitranti ad abolire queste pratiche.

Anche nella storiografia italiana troviamo una notevole attenzione alla questione dei campi famiglia e dell’amministrazione della disciplina fra le truppe degli ascari. Scardigli ha dedicato il capitolo 490 de Il Braccio Indigeno alle questioni organizzative e quotidiane degli ascari eritrei, inclusi la disciplina e i campi famiglia.

Riguardo alle questioni disciplinari durante il periodo iniziale di vita degli ascari eritrei, Scardigli indugia soprattutto sull’utilizzo delle pene corporali – con il

88 Jama Mohamed, The 1937 Somaliland Camel Corps Mutiny: A Contrapuntal Reading, in The

International Journal of African Historical Studies, vol. 33, no. 3 (2000), pp.615-634

89 David Killingray, The “Rod of Empire”: The Debate over Corporal Punishment in the British African

Colonial Forces, 1888-1946, in The Journal of African History, vol. 35, no. 2 (1994), pp. 201-216

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famigerato frustino chiamato curbasc – come fondamento dell’ordine dei ranghi. Impiegando soprattutto le testimonianza di viaggiatori e ufficiali coloniali, viene mostrato come il ricorso alla fustigazione fosse ritenuto non solo efficace, ma anche preferito dagli stessi ascari, al posto multe e sanzioni pecuniarie, ritenute più gravose. L’autore mostra anche come questo modo di amministrare la giustizia militare rafforzasse il senso di superiorità, tendente all’onnipotenza, degli ufficiali italiani. Sui campi famiglia, Scardigli ripropone un’analisi simile a quella che abbiamo visto per i K.A.R. Pur essendo considerati una peculiarità del tutto estranea alla visione dell’organizzazione militare dei quadri europei, non se ne poteva negare l’utilità: la presenza delle famiglie rendeva gli ascari più affidabili; le mogli alleggerivano i soldati da tutte le attività non strettamente militari; gli ufficiali italiani amministravano la giustizia e la concordia nei campi famiglia; le gerarchie militari persistevano al loro interno e infine si sperava che i figli degli ascari cresciuti nei campi avrebbero positivamente risentito dell’influenza coloniale91.

Volterra affronta il tema dei campi famiglia misurandosi con le problematiche della documentazione archivistica. L’autore riporta più volte le difficoltà insorte durante l’indagine sui campi famiglia, per le reticenze e mancanza della documentazione durante il periodo indagato. Inoltre, dal momento che il campo famiglia di un battaglione veniva sciolto quando questo era inviato in missione fuori dall’Eritrea, dopo il 1936, con tutti i battaglioni eritrei impegnati in missione, i campi famiglia sembrano scomparire, sia dalla documentazione che dalla memorialistica. Se da un lato viene esposta la visione secondo cui i campi famiglia fossero un dispositivo di “italianizzazione” delle truppe indigene, l’autore è più propenso a supportare l’idea che la loro presenza fosse tollerata e incoraggiata dai comandi italiani per le ragioni logistiche che abbiamo già visto.

Di notevole interesse l’approfondimento relativo alle paghe degli ascari92 che mescolando interviste e rapporti ufficiali evidenzia una serie di fattori: l’importanza dell’elemento economico per determinare l’attrattività del reclutamento; la differenza di trattamento tra i diversi corpi coloniali, soprattutto fra Eritrea e Somalia e infine la presenza di numerosi benefici, premi e indennità derivanti dal grado di specializzazione tecnica delle truppe.

91 Ibidem, p.83 92 Ibidem, pp. 173-188

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Un contributo riguardante la disciplina delle truppe indigene è Disertori e Patrioti.

Soldati Africani tra guerra e passaggi di fronte (1935-1936)93, sempre ad opera di Volterra. L’articolo riguarda i passaggi di fronte avvenuti durante la guerra d’Etiopia. La prima parte si concentra sull’esercito imperiale etiopico e su quegli ufficiali e soldati che disertarono per unirsi agli italiani. La seconda parte94, che più ci riguarda, è quella relativa alle diserzioni avvenute fra gli ascari italiani. Volterra, analizzando i rapporti dello Stato Maggiore Italiano, si pone subito in contrasto con Del Boca, il quale aveva sostenuto il verificarsi di diserzioni di massa fra gli ascari eritrei95. Allo stesso tempo Volterra riporta il clima di paranoia e di timore circa la fedeltà degli ascari che traspare dalle carte dei generali e degli ufficiali italiani ribadendo quanto fosse poco fondato e dovuto al clima generale di incertezza del conflitto. Analizzeremo più nello specifico questo dibattito nel capitolo dedicato alla disciplina.

1.3. Il contesto storico: Italia e Gran Bretagna sulle sponde del Corno