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Capitolo 1: storiografia, contesto storico, storia dei corpi militari

1.3. Il contesto storico: Italia e Gran Bretagna sulle sponde del Corno d’Africa 1924-1939

1.3.2 Gli anni trenta tra distensione e riarmo

Il decennio 1929-1939 in East Africa fu caratterizzato dalla grave contrazione economica provocata dalla crisi finanziaria del 1929, e dall’aggressione italiana all’Etiopia del 1935.

La crisi economica nelle isole britanniche si era saldata con un diffuso “anti-military

mood”114, che vedeva nell’imponente spiegamento di forze imperiali – per altro spinte fino al limite delle loro capacità – uno spreco di risorse e un’inutile manifestazione di forza. Nelle colonie, dove la situazione pur continuava a non essere pacificata in modo uniforme, le guarnigioni di truppe indigene iniziavano ad essere percepite sempre di più come un peso per i bilanci coloniali. In East Africa i K.A.R. furono l’obiettivo di tagli e riforme strutturali volti a renderli meno onerosi.

A questo proposito è utile anticipare un tema che riprenderemo in seguito trattando delle riforme dei corpi militari, quello della substitution. Sul finire degli anni venti era diventata opinione comune che i costi di difesa coloniale potessero essere fortemente contenuti ricorrendo all’arma aerea. Questa si era dimostrata assai efficiente nel sedare le rivolte in Iraq, in India settentrionale e in Sudan meridionale. L’idea di sostituire la fanteria indigena con pochi bombing squadrons ben addestrati ed economicamente vantaggiosi si fece strada nella mentalità degli amministratori coloniali dell’East Africa, grazie ad una vera e propria attività di lobbying da parte della Royal Air Force:

“Between 1930 and 1935 the R.A.F. gathered civil and military responses to substitution from the sub-Saharan colonies. The most receptive area was East and Central Africa. Kenya, for example, was facing serious financial problems and a large

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part of the white settler population were keen to see defence expenditure reduced and for the air force and police to take over some of the roles performed by the K.A.R.”115

Più che una complete sostituzione delle forze indigene, i piani di substitution portarono alla diminuzione degli organici militari, nel caso dei K.A.R. a una radicale riorganizzazione, e in alcune colonie alla costituzione di milizie di volontari bianchi. Londra e i governatori coloniali ritenevano infatti che la situazione fosse decisamente tranquilla, e che le sommosse tribali, le razzie e persino gli scioperi potessero essere tenuti a bada dalle polizie locali o dal deterrente degli attacchi aerei.

La situazione fu decisamente modificata dall’aggressione italiana all’Etiopia. Di questa ultima, anacronistica ma allo stesso tempo moderna guerra coloniale è stato scritto molto116, e in questa sede cercheremo di espone brevemente gli eventi fondamentali, per collegarli con gli effetti avuti sullo scenario del Corno d’Africa. Il casus belli riguardò il confine conteso tra la Somalia e l’Etiopia, la zona ricca di pozzi di Ual Ual – o Wal Wal - nell’Ogaden. Occupato illegittimamente dall’Italia dal 1926 e reclamato dall’Etiopia, Ual Ual vide il 5 dicembre 1934 uno sconto fra la guarnigione di irregolari dubat e una colonna armata etiopica che accompagnava una commissione di ratifica dei confini. Seppur di scarsa portata, l’incidente offrì il pretesto al governo fascista per scatenare la guerra. Nei due anni precedenti Roma aveva intrecciato una serie di relazioni diplomatiche che le concedessero di fatto mano libera contro l’Etiopia, e dal tardo 1932, nonostante gli effetti della crisi continuassero a farsi sentire, l’arruolamento di truppe indigene aveva subito un notevole ampliamento nei numeri, mentre i generali italiani pianificavano le direttive della futura invasione. Invasione che fu lanciata il 2 ottobre 1935, senza alcuna dichiarazione di guerra.

115 David Killingray, 'A Swift Agent of Government': Air Power in British Colonial Africa, 1916-1939,

in The Journal of African History, vol. 25, no. 4 (1984), p.441

116 Si vedano a proposito Giorgio Rochat, Militari e Politici nella preparazione della campagna

d’Etiopia: studio e documenti 1932-1936, (Milano, 1971); Angelo Del Boca, La Guerra d’Etiopia:

l’ultima impresa del colonialismo, (Milano, 2010); Nicola Labanca, Una Guerra per l’Impero: memorie

della campagna d’Etiopia 1935-1936, (Bologna, 2005), e La Guerra d’Etiopia: 1935-1941, (Bologna, 2015);

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La forza militare che l’Italia mise in campo vide una stragrande maggioranza di truppe metropolitane, ma il contributo degli indigeni fu fondamentale e in molti casi risolutivo117:

“Ai primi di ottobre 1935 le colonie italiane del Corno d’Africa erano già state trasformate in giganteschi trampolini di lancio per la guerra contro l’Etiopia. L’Eritrea, che aveva da tempo ospitato meno di cinquemila coloni bianchi e qualche centinaio di soldati, nonché poche migliaia di ascari, contava nel luglio 1935 più di 55.000 civili italiani, 30.000 soldati e quasi 50.000 ascari. La Somalia, dove i bianchi erano ancora meno, nell’estate 1935 ospitava 25.000 soldati italiani e 30.000 ascari.”118

Alla fine del conflitto, nel maggio 1936, i militari italiani impiegati raggiunsero i 330.000. Inizialmente dirette dal generale Emilio De Bono, le operazioni procedettero troppo lentamente per le ambizioni di Mussolini. Per questo motivo De Bono fu sostituito con Pietro Badoglio, che impresse alla guerra un carattere ulteriormente più aggressivo, preparando e scatenando un offensiva feroce, ed arrivando ad utilizzare le armi chimiche sia sui militari che sui civili nemici.

L’esercito dell’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié offrì una strenua resistenza, ma seppur in parte modernizzato e numericamente colossale, dovette soccombere alla macchina da guerra fascista. Addis Abeba capitolava il 5 maggio 1936 e l’imperatore fuggiva in esilio a Londra. Il trionfo dell’imperialismo fascista sembrava assoluto, ma l’Etiopia, sebbene conquistata, non era affatto pacificata. In varie parti dell’ex impero si costituirono formazioni partigiane anti-italiane, composte da arbegnuoc (patrioti), che incastrarono gli invasori in lunghe e sanguinose operazioni di polizia coloniale per quasi quattro anni119, sovente accompagnate da massacri di civili indigeni.

Dal fronte delle colonie inglesi la guerra d’Etiopia fu guardata con crescente preoccupazione. Londra, che non aveva opposto una vera resistenza diplomatica o militare alle operazioni italiane, iniziava a temere per la sicurezza delle proprie colonie di fronte all’imperialismo fascista. L’ascesa della Germania nazista e il suo

117 Volterra, Sudditi Coloniali, cit., p.112 118 Labanca, Oltremare, cit., p.190

119 Riguardo le operazioni di polizia coloniali, si veda Federica Saini Fasanotti, Etiopia 1936-1940: le

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avvicinamento sempre maggiore all’Italia portarono le autorità inglesi a inaugurare piani di riarmo che interessarono tutti i quadranti dell’impero. In East Africa i K.A.R. e la S.D.F. videro lievitare il proprio organico, potenziare l’armamento e approfondire l’uso di tattiche di guerra moderna120.

Ma oltre che la minaccia generale della guerra, le operazioni italiane avevano innescato una serie di effetti domino di difficile gestione. Già nel 1931 le forze sudanesi erano state stanziate sul confine con la Libia per controllare e arginare l’afflusso di profughi libici che fuggivano difronte all’occupazione italiana dell’oasi di Cufra. Nel 1936 la S.D.F. aveva occupato l’altopiano di Boma, attuale Sudan del Sud, una zona non direttamente controllata, che con la guerra d’Etiopia assumeva una grande importanza strategica121.

Allo stesso tempo, il Kenya subì gli effetti della conquista italiana, con alcune migliaia di rifugiati etiopici, soldati e ufficiali dell’esercito imperiale sbandati e persino ascari disertori delle forze italiane che attraversavano il confine settentrionale. Questa massa eterogenea di persone fu sistemata in campi profughi, con gli eritrei separati e controllati dai K.A.R.; dal 1937 al 1939 la situazione rimase delicata, con frequenti scontri tra i vari gruppi etnici presenti fra i profughi e tentativi di fuga dei disertori122. La soluzione fu trovata con la rilocazione dei profughi fuori dai campi, che vennero chiusi.

Gli eventi in Etiopia causarono anche nuove turbolenze nel triangolo di Ilemi. Il versante etiopico fu disseminati di postazioni militari italiane, e Sudan e Kenya cercarono di proporre nuove sistemazioni dei confini, atte a delimitare le zone di pascolo dei turkana e a evitare nuovi scontri tribali. Nel 1938, la proposta di modifica dei confini del triangolo fu fermamente rifiutata da Roma, e i britannici non poterono che assistere al peggiorare della situazione. I dassanetch e i loro vicini nyangatom, dopo il 1936 sudditi dell’impero coloniale italiano, avevano visto le proprie mandrie e pascoli devastati dagli scontri fra le forze governative e la resistenza etiopica. Come era avvenuto in passato, si inoltrarono nel triangolo, piombando sui turkana, e solamente la scorta da parte dei K.A.R. permise a questi ultimi di fuggire verso il Kenya, lasciando pero sul campo alcune centinaia di morti123.

120 Killingray, Fighting for Britain, cit., p. 28 121 Clayton, The British Empire, cit., p.427 122 Ibidem, p.428

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Con l’Impero Italiano da un lato che cercava di pacificare sanguinosamente l’Etiopia e di renderne economicamente utile la dispendiosa conquista, e le colonie britanniche dall’altro che scivolavano gradualmente in un nuovo clima di riarmo e apprensione, l’Africa Orientale si incamminava, con il resto del mondo, verso gli anni bui della Seconda Guerra Mondiale.