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Capitolo 1: storiografia, contesto storico, storia dei corpi militari

1.3. Il contesto storico: Italia e Gran Bretagna sulle sponde del Corno d’Africa 1924-1939

1.3.1 Gli anni venti: un decennio di opposti

Per l’Africa Orientale Britannica, gli anni venti furono a prima vista un periodo di generale pacificazione, contrariamente a molti settori più turbolenti nel resto dell’impero96. Questo stato di calma era però solo apparente e superficiale. Certamente

93 Idem, Disertori e Patrioti. Soldati Africani tra guerra e passaggi di fronte (1935-1936), in Uoldelul

Chelati Dirar, Silvana Palma, Alessandro Triulzi e Alessandro Volterra, Colonia e Postcolonia come

spazi diasporici: attraversamenti di memorie e confini nel Corno d’Africa, (Roma, 2011), pp. 209-234

94 Ibidem, p.219 95 Ibidem, pp. 220-222

96 Si veda Bernard Porter, The Lion’s Share: a Short History of British Imperialism 1850-2004, (Harlow,

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l’insurrezione del leader politico somalo Mohammed Abdullah Hassan, il famigerato “Mad Mullah”, che aveva sconvolto il Somaliland Britannico per un ventennio, poteva dirsi definitivamente sconfitta97 e le genti somale pacificate. L’East African Protectorate era cessato di esistere il 31 dicembre 1920, e al suo posto era nata la Colonia del Kenya. Il Tanganika, strappato ai tedeschi e divenuto un mandato britannico, si avviava a di ventare de facto l’ennesima colonia della Corona Britannica. Si affermava la politica detta “indirect rule” a conferire alle colonie un certo grado di autonomia amministrativa e persino un minimo coinvolgimento delle popolazioni indigene. A questo proposito il Kenya nel 1924 varò la Native Authority Amendment

Ordinance che stabiliva la creazione di Local Native Councils, organi indigeni di amministrazione locale dotati di piccole prerogative politiche ed economiche98. Dopo gli anni difficili della guerra, la regione sembrava entrare in un periodo di rilassamento. Ciononostante esistevano dei “punti caldi”, zone di criticità non trascurate dall’amministrazione coloniale.

Una delle “note stonate” più evidente dell’area era più a settentrione, in Sudan, un possedimento in teoria egiziano, che però dall’Anglo-Egyptian Agreement del 1899 era diventato un Codominio anglo-egiziano, nel quale il ruolo dominante era rivestito dagli inviati di Londra: inglesi erano i capitali investiti e le rendite delle vaste coltivazioni di cotone, inglesi erano gli ufficiali delle forze militari indigene.

La stretta inglese sul Sudan era ritenuta fondamentale nel ricordo della catastrofe coloniale, ancora viva nella memoria dell’apparato militare britannico, della rivolta Mahdista che dal 1881 al 1899 aveva trasformato il Sudan in un califfato islamico. Dopo la Grande Guerra questa tutela britannica iniziò a stimolare un forte nazionalismo sudanese, intrecciato con le rivendicazione egiziane, che vedeva nella riunione di Khartoum con Il Cairo l’unica via per garantire l’autonomia del Sudan. L’influenza egiziana sul paese era enorme, e non si limitava solamente alle rivendicazioni nazionalistiche, ma a un patrimonio culturale e religioso persistente, nel

97 Riguardo alla Guerra Anglo-Somala (1900-1920), si veda Gerardo Nicolosi,

Imperialismo e resistenza in Corno d'Africa: Mohammed Abdullah Hassan e il derviscismo somalo (1899-1920), (Sovaria Mannelli, 2002), ʻAbdi Sheik-ʻAbdi, Divine Madness: Mohammed ʻAbdulle Hassan (1856-1920), (Londra, 1993), e Moyse-Bartlett, The King’s African Rifles, cit., pp. 160-194

98 Charles Chenevix Trench, Men Who Ruled Kenya: the Kenya Administration 1892-1963, (Londra,

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quale l’Egitto aveva giocato un ruolo fondamentale99. Fu soprattutto fra i giovani cadetti delle accademie militari locali che le idee nazionaliste fecero presa. Il 20 maggio 1924 essi fondarono la società segreta chiamata The White Flag League100, che iniziò a intrecciare rapporti con l’Egitto e con le comunità periferiche sudanesi. In luglio, alcuni membri della società vennero arrestati con l’accusa di complotto, dando il via a una serie di manifestazioni e dimostrazioni di malcontento fra le truppe egiziane e sudanesi.

Fu il precipitare degli eventi a imprimere alla situazione una direzione più drastica. Il 19 novembre 1924 il Major-general Sir Lee Stack, Governor-General del Sudan e Sirdār dell’esercito egiziano, venne ucciso a Il Cairo da un nazionalista egiziano. Sir Lee Stack aveva proposto nei mesi precedenti una riforma delle forze militari del Sudan, mirata a marginalizzare gradualmente l’elemento egiziano e a favorire reclutamenti fra i Sudanesi ritenuti più affidabili. La sua morte portò il console inglese Lord Allenby a richiedere la perentoria evacuazione di tutti gli ufficiali e le truppe egiziane dal Sudan. All’iniziale rifiuto delle autorità egiziane fecero seguito una serie di ammutinamenti delle guarnigioni in tutto il Sudan, il più grave a Khartoum, dove le truppe sudanesi e i loro ufficiali egiziani si scontrarono con il presidio inglese il 27 novembre. Quando le autorità egiziane acconsentirono a ordinare l’evacuazione incondizionata, la delusione e la disillusione dilagarono fra i sostenitori locali dell’ammutinamento:

“The bitter disappointment at thus having been let down by their friends and fellow men-in-arms had a great disillusioning effect on some of the Sudanese officers and civilians who had hitherto been staunch advocates of close co-operations with Egypt.”101

Questo portò il Sudan e le sue élite a distaccarsi sempre di più dall’Egitto, e fornì all’amministrazione britannica un’ulteriore motivazione per accelerare i piani di creazione della Sudan Defence Force, che vedremo nello specifico in seguito.

99 Mohammed Nuri El-Amin, The 1924 Sudanese Uprising, and the Impact of Egypt on the Sudan, in

The International Journal of African Historical Studies, vol. 19, no. 2 (1986), pp. 235-260

100 Muddathir ‘Abdel Rahim, Imperialism and Nationalism in the Sudan: a study in constitutional and

political development 1899-1956, (Khartoum, 1986), p. 105

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Spostiamoci adesso sul versante delle colonie italiane, precisamente nella Somalia Italiana, per trovare un altro dei “punti caldi” del decennio. La regione si avviava infatti a vivere un periodo turbolento sotto il governo di Cesare Maria De Vecchi, quadrumviro della marcia su Roma. Questi era stato inviato a Mogadiscio nel 1923, a causa dei suoi contrasti con Mussolini, in quelli che si riveleranno “cinque anni di

confino, anche se dorato, quasi regale”102. L’operato di De Vecchi fu incentrato alla fascistizzazione della colonia, e allo stesso tempo al consolidamento del controllo sulle popolazioni. Questo ultimo punto venne portato avanti con una campagna di disarmo tribale, con un ricorso massiccio alla uso della violenza militare, al bombardamento e all’incendio dei villaggi e al sequestro dei capi di bestiame. Veniva inaugurato un nuovo corso nella gestione coloniale della Somalia, in controtendenza non solo con il passato della colonia stessa, ma con le tendenze generali dell’amministrazione in altri contesti coloniali:

“Quindi, in ossequio alla retorica del dominio diretto e della potenza italiana, (e ora, con Mussolini al governo, fascista) che non scende a patti con la società «indigena»

[De Vecchi] decise che era giunto il momento di avviare una politica di disarmo delle

popolazioni somale.”103

Mentre il quadrumviro pianificava ulteriori manovre militari, a Roma si sbloccava l’annosa questione delle concessioni territoriali all’Italia, trascinatasi dalla fine della Grande Guerra: Londra, dopo una lunga querelle, il 15 luglio 1924 cedette all’Italia il Jubaland – o Oltre Giuba - una striscia di terreno lungo la riva destra del fiume Giuba, parte della colonia del Kenya. Una concessione alquanto magra, di un territorio di dubbia utilità, cosa che non sembrava essere ignorata dagli stessi italiani:

“Ma mentre gli inglesi fanno pesare il gesto, definendo il Giubaland «the jewel of the English crown», a Roma ci si rende conto che l’acquisizione non ha fatto altro che accrescere la collezione nazionale di deserti.”104

102 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale: II. La conquista dell’Impero, (Milano, 2001) p.51 103 Nicola Labanca, Oltremare, cit., p. 149

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Fu quindi organizzata una spedizione di occupazione, affidata al tenente Odello e con Corrado Zoli come Alto Commissario per l’Oltre Giuba. Di questa spedizione parleremo più largamente in seguito, ma per ora basti aggiungere che nel novembre 1924 iniziarono i preparativi per costituire la forza di occupazione, forte di truppe metropolitane e di truppe indigene reclutate allo scopo, le quali nel giugno 1925 occuparono l’Oltre Giuba quasi senza colpo ferire, dedicandosi principalmente alla costruzione di avamposti e al disarmo dei clan locali. Nel luglio 1926 il territorio venne unito con il resto della Somalia Italiana.

Mentre Odello e Zoli si occupavano dell’Oltre Giuba, De Vecchi organizzò una serie di operazioni per sottomettere definitivamente i sultanati di Obbia e Migiurtinia. Questi, il primo posto nella parte centro-orientale della Somalia e il secondo il quella settentrionale, erano legati da accordi diplomatici con gli Italiani, e di fatto indipendenti nella gestione dei propri territori.

Deciso a cancellare questa indipendenza, De Vecchi a inizio ottobre 1925 ordinò di muovere su Obbia, che fu conquistata in meno di un mese, e quasi contemporaneamente sulla Migiurtinia. In quest’ultimo settore la conquista risultò più difficoltosa, anche grazie alla fiera resistenza del sultano Osman Mahmud. Le operazioni si trascinarono fino a fine 1927, anche a causa di frequenti sollevazioni contro la brutalità del governo in tutto il territorio somalo. Con un massiccio ricorso a milizie irregolari e ai bombardamenti della marina, la resistenza fu piegata, e numerosi insorti ripararono oltre confine in Etiopia. Il quadrumviro organizzò persino un raid di truppe irregolari contro un assembramento di migiurtini oltre confine, suscitando la preoccupazione del governo di Roma, interessato a mantenere un profilo cordiale con l’Etiopia105. La regione dell’Ogaden, rivendicata dall’Etiopia, venne occupata illegalmente da alcuni presidi italiani nel 1926. Le operazioni contro i sultanati furono osservate con una certa apprensione anche dalle colonie inglesi di Kenya e Somaliland, soprattutto per quanto riguardava gli attraversamenti incontrollati dei labili confini fra le colonie106.

Spostandoci adesso a occidente, nell’area intorno al lago Rodolfo, incontreremo un altro punto di contatto foriero di frizioni, un settore problematico per

105 Ibidem, p.69

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l’amministrazione coloniale britannica: il triangolo di Ilemi, detto anche Turkana, dalla popolazione che lo abitava. La particolarità di questo triangolo risiedeva nel suo incidere su tre domini britannici, il Kenya, l’Uganda e il Sudan, e sulla parte occidentale dell’Etiopia. Tale regione grossomodo triangolare rappresentava una periferia coloniale di scarso interesse, di difficile controllo e soprattutto la patria di una popolazione pastorale, i turkana appunto, che in periodi di siccità e alta mortalità del bestiame, si dedicava proficuamente alle incursioni, ai saccheggi e alle razzie nei confronti delle rotte commerciali e delle popolazioni circostanti:

“The Turkana, north of the Suk, are the hardest tribe in East Africa. Emaciated as John the Baptist, naked except for ostrich plumes, ivory balls suspended from the lower lip and other embellishment, they live in barren desert west of Lake Rudolf. To survive, they had to raid their neighbours. No one else wanted their country, and if they would leave other people alone, they too would be left alone; but they wouldn’t, and they became more aggressive as they acquired rifles.”107

A loro volta i turkana erano sia vittime delle incursioni secolari degli schiavisti e saccheggiatori etiopici – principalmente i merille-dassanetch -, sia loro clienti per quanto riguardava l’acquisto di armi da fuoco. La fluidità e pericolosità della situazione costrinse Kenya e Uganda a sottoporre la regione a governo militare fino al 1925, con l’invio frequente di contingenti dei K.A.R. a supporto delle polizie locali. Nell’aprile 1924 un incontro preliminare tra Kenya, Uganda e Sudan pose le basi di una ridefinizione dei confini, modificando una precedente linea di demarcazione tracciata nel 1914108.

Dal febbraio 1926 il versante ugandese del Lago Rodolfo fu trasferito al Kenya e con esso i problemi relativi ai turkana. La successiva gestione della sicurezza fu affidata principalmente ai K.A.R., dato che il Sudan, pur avendo ricevuto richieste ufficiali di supporto, era restio a impiegare truppe e risorse così lontano da Khartoum e preferiva delegare al Kenya la questione109. Obiettivo primario era di “tutelare” i Turkana dalle incursioni esterne, viste come cause principali del ricorrere a loro volta alle razzie, e

107 Chenevix Trench, Men who Ruled Kenya, cit., pp.89-90

108 Si veda a proposito, G.H. Blake, a cura di, Imperial Boundary Making: The Diary of Captain Kelly

and the Sudan-

Uganda Boundary Commission of 1913, (Oxford, 1997)

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garantire loro i pascoli. A questo scopo i K.A.R. stabilirono una guarnigione nell’area a Lokitaung, che nel marzo 1929 respinse violentemente un incursione Merille, recuperando bestiame rubato e molti fucili110.

Il Kenya aveva un altro confine problematico, il Northern Frontier District (N.F.D.), la regione di contatto con l’Etiopia e la Somalia lungo la riva sinistra del Giuba. Pur non possedendo le stesse criticità del triangolo di Ilemi, il N.D.F. era frequentemente interessato dai raid delle popolazioni Tigrine e Galla, che varcavano il confine per razzie, bracconaggio e contrabbando di avorio. Queste incursioni potevano raggiungere dimensioni considerevoli: da fine settembre a dicembre 1925 una banda di 340 fra abissini e Galla imperversò nella regione, uccidendo alcune decine di indigeni, razziando 4.000 cammelli, per venir poi respinta da un contrattacco della guarnigione locale111. L’anno successivo una banda di simili dimensioni assalì delle postazioni di polizia locali uccidendo alcuni agenti112.

Rimane infine da descrivere brevemente la situazione della colonia che probabilmente più di tutte le altre visse gli anni ’20 come un periodo di relativa tranquillità dal punto di vista delle minacce interne ed esterne: l’Eritrea. La Colonia Primigenia venne segnata in questo periodo dall’energica, seppur non sempre efficace, attività del governatore Jacopo Gasparini, che la governò dal 1923 al 1928. Il governatore si dedicò soprattutto alla ricostruzione di Massaua, devastata da un terremoto, e alla bonifica della zona di Tessenei lungo il fiume Gasc, da dedicare all’agricoltura di piantagione. Il suo operato fu rilevante soprattutto nei confronti delle élite indigene, con cui furono allacciati rapporti sempre più profondi:

“Senza giungere ad adottare il sistema di indirect rule, Gasparini punta molto sui capi e i notabili indigeni, li premia, li blandisce, li ammette alla mensa governatoriale, li vuole in prima fila, durante le cerimonie ufficiali, accanto alle autorità metropolitane.”113

110 Moyse Bartlett, The King’s African Rifles, cit., p.445 111 Ibidem, p.449

112 Clayton, The British Empire, cit., p.225

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Allo stesso tempo Gasparini riprese la politica di contatti diplomatici con i capi locali dell’Etiopia lungo il confine, convinto che il loro favore fosse fondamentale per aumentare l’influenza italiana su Addis Abeba. Promosse anche una serie di contatti con il re Yahia dello Yemen, in chiave anti-britannica, per migliorare le relazioni commerciali fra l’Eritrea e la penisola arabica, e con l’ambizioso progetto di inserire il paese nella sfera di influenza italiana.