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il rendimento dell’istruzione universitaria

4.1 La laurea, e poi?

L’ingresso nel mercato del lavoro in un sistema produttivo come quello to- scano fondato sulla piccola impresa familiare, può, per i laureati, non essere privo di difficoltà, anche in considerazione della contrazione delle assunzioni nel pubblico impiego che hanno caratterizzato gli ultimi anni e che in passa- to hanno garantito uno sbocco occupazionale soprattutto per alcuni profili. L’attenzione intorno all’investimento in capitale umano e gli inviti, da parte degli studiosi, a convogliare maggiori risorse verso il sistema universitario

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potrebbero, infatti, non essere sufficienti: il problema dell’alta qualificazione del capitale umano, all’interno del sistema economico regionale, è legato non solo all’offerta ma anche, se non soprattutto, alla domanda da parte dell’ap- parato produttivo. A un sistema universitario che -anche per via dell’alto tasso di abbandono- produce pochi laureati corrisponde, come è noto, un si- stema produttivo che ne richiede altrettanto pochi16.

Analizzando i dati, a tre anni dalla laurea il 77% dei giovani ha un’occupazione che solo nel 24% dei casi è iniziata prima della conclusione degli studi e questo è, in prima analisi, un dato sicuramente positivo. Ma tutte le lauree hanno uguale valore all’ingresso nel mercato del lavoro? e quanti sono i neolaureati che hanno un lavoro continuativo e coerente con il titolo di studio conseguito? Sicuramente più deboli risultano le lauree conseguite nell’area giuridica (54%), scientifica (69%) e umanistica (75,5%) (Tab. 4.1): se, però, per i giu- risti questa evidenza empirica trova parziale giustificazione nell’attività di praticantato che, infatti, caratterizza oltre il 20% degli intervistati, la si- tuazione è un po’ più complessa per gli altri due percorsi di studio. Sembra, infatti, palesarsi una concreta difficoltà del mercato ad assorbire laureati in discipline scientifiche e umanistiche, acuita dal fatto che anche l’insegna- mento nella scuola primaria e secondaria non è più un percorso in grado di garantire una continuità lavorativa.

Tabella 4.1. conDIZIonE occUPaZIonalE a TrE annI Dalla laUrEa. Valori %

Gruppo di

laurea Occupati In cerca di un lavoro Proseguono gli studi In formazione retribuita TOTALe

Area umanistica 75,5 9,2 5,1 10,1 100,0 Area sociale 80,7 5,8 4,8 8,7 100,0 Area scientifica 68,9 4,0 11,3 15,8 100,0 Area giuridica 54,2 8,0 15,7 22,1 100,0 Area tecnica 87,5 2,4 4,5 5,7 100,0 Area medica 84,7 0,5 4,5 10,3 100,0 TOTALe 77,0 5,2 6,8 11,1 100,0

Fonte: elaborazioni su dati IsTaT, Indagine sull’inserimento professionale dei laureati Tra coloro che non sono occupati, la percentuale più elevata (11%) è impe- gnata in un’attività formativa retribuita: tra questi, oltre ai già citati giuri- sti (22%), numerosi sono i laureati provenienti da gruppi di laurea scientifici iscritti a scuole di dottorato (16%) e i laureati in medicina che frequentano la scuola di specializzazione (10%).

Un ulteriore 7% dichiara di continuare a studiare: ne fanno parte coloro che sono iscritti a corsi professionalizzanti come i master, universitari e non, i dottorandi senza una borsa di studio e chi -pochi per la verità- ha deciso di prendere una seconda laurea. Certo è che non possiamo considerare questi ragazzi dei disoccupati in senso proprio, ma il fatto che a tre anni dalla lau- rea abbiano ripreso (o continuato) a studiare per alcuni potrebbe dipendere da un precedente ingresso nel mercato del lavoro non in linea con le aspetta-

16 Secondo gli ultimi dati dell’indagine annuale Excelsior, relativi al 2009, soltanto il 9,5% del

totale delle assunzioni di lavoratori dipendenti previste dalle imprese in Toscana è rivolto a persone in possesso di una laurea.

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tive e le ambizioni personali che li ha spinti a tornare a studiare. e il ritorno all’attività formativa può essere dettato dalla volontà di acquisire specifiche competenze richieste dal mercato del lavoro, ma anche dalla necessità di “rifugiarsi” in una zona grigia dell’inattività, quella in cui ufficialmente non si è alla ricerca di un lavoro perché si sono già riscontrate oggettive difficoltà a farlo: fenomeno già diffuso delle regioni meridionali dove le difficoltà di trovare un impiego, anche per i più istruiti, sono rilevanti.

Coloro che dichiarano di cercare lavoro (5%) costituiscono il gruppo dei disoc- cupati in senso proprio, che effettuano azioni di ricerca attiva. Il dato ci per- mette di dare una prima quantificazione del mismatch quantitativo, ovvero della disoccupazione intellettuale giovanile. Se nel lungo periodo emerge il vantaggio che nel mercato del lavoro deriva da una maggiore scolarizzazio- ne, nel breve termine i più istruiti incontrano non poche difficoltà a inserirsi nel sistema produttivo regionale. Le ragioni della scarsa valorizzazione dei giovani laureati toscani sono, infatti, legate alle caratteristiche della doman- da di lavoro che è alimentata da un sistema produttivo di piccole e medie imprese manifatturiere e terziarie le cui carenze occupazionali sono colmate in prevalenza da giovani, maschi soprattutto, in possesso di una qualifica professionale o di un diploma di scuola media superiore. Più penalizzati sono i giovani che hanno concluso un percorso di studi nell’area umanistica (9%) e in quella giuridica (8%).

Nella tabella 4.2 si stima la probabilità17 di essere occupati date determina-

te caratteristiche come il genere e l’area tematica a cui afferisce il titolo di studio conseguito18: l’individuo tipo si caratterizza per essere un maschio con

una laurea umanistica. Si conferma più utile per l’inserimento nel mercato del lavoro l’aver conseguito una laurea tecnica (in ingegneria o architettu- ra) (+17,6%) e, in minor misura, in discipline economico-sociali (+11,1%) e mediche (+10%). Trovare un’occupazione risulta, invece, più difficile rispetto ai laureati in materie umanistiche ai giuristi (-8,7%) e a chi possiede una laurea scientifica teorica (matematica, fisica, biologia) (-3,9%). Questi dati non danno, però, informazioni sulle caratteristiche del lavoro svolto, sulle conoscenze e competenze necessarie, sul grado di soddisfazione (in termini di trattamento economico, mansioni, stabilità e sicurezza, possibilità di car- riera, ecc.) individuale.

Tabella 4.2. sTIma DElla ProBaBIlITà DI EssErE occUPaTI

Coefficiente effetto marginale P>|z|

Costante 0,619378 0,000 Femmina -0,17687 -3,7% 0,019 Area sociale 0,581619 11,1% 0,000 Area scientifica -0,18452 -3,9% 0,180 Area giuridica -0,39693 -8,7% 0,012 Area tecnica 1,028599 17,6% 0,000 Area medica 0,497389 10,0% 0,000

Fonte: elaborazioni su dati IsTaT, Indagine sull’inserimento professionale dei laureati

17 Per la stima dell’impatto si utilizza il modello di regressione logistica, ovvero una specifica-

zione del modello lineare generalizzato: si tratta, cioè, di una regressione applicata nei casi in cui la variabile dipendente y è di tipo dicotomico, riconducibile ai valori 0 e 1.

18 L’inserimento di altre variabili nel modello, e specificatamente del voto di laurea e dei tempi

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Anche se il principale elemento che determina il successo occupazionale dei laureati rimane l’indirizzo di studio, emerge ugualmente lo svantaggio delle ragazze nei confronti dei coetanei maschi: nonostante siano più numerose, più brave (si laureano più in fretta e con votazioni più elevate) e proba- bilmente anche più motivate, le donne continuano a essere discriminate. Le disparità perdurano nel tempo (a tre anni dalla laurea la probabilità di essere occupate è inferiore del 3,7% rispetto a quella degli uomini) e sono comuni a tutti i percorsi di studio. Tali disuguaglianze sono l’esito di fattori differenti ma convergenti: dal lato della domanda pesa l’atteggiamento di- scriminatorio dei datori di lavoro; dal lato dell’offerta le ragazze prediligono l’insegnamento o l’impiego pubblico alla libera professione e all’inserimento nel privato e hanno maggiori vincoli di orario al fine di poter conciliare i tempi privati con quelli lavorativi.

Deve essere inoltre segnalato che anche se il voto di laurea non risulta signi- ficativo ai fini della probabilità di trovare un’occupazione, esso rappresenta un importante segnale per il datore di lavoro in quanto è l’unico indicatore diretto del grado di preparazione e delle capacità conoscitive degli individui.