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Il lavoro del Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU su business e diritt

CAPITOLO 3. INIZIATIVE DI SOFT LAW

3.1 Il lavoro del Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU su business e diritt

Codici di Condotta. - 3.5 Working Group ONU sull’uso dei mercenari.

Premessa

Dall’analisi finora condotta emergono l’inadeguatezza dei principali strumenti giuridici riferiti alle PMSCs ed al loro staff e le criticità relative ad una loro applicazione.

Una disciplina internazionale che regoli l’industria della sicurezza è sentita oggi come urgente. L’approccio alla questione è stato duplice: da una parte sono state portate avanti da Stati o da organizzazioni internazionali iniziative di regolamentazione e controllo del fenomeno tramite la formulazione di documenti non giuridicamente vincolanti prettamente indirizzati a Stati e imprese. Nel fare ciò si è adottato il c.d. multistakeholder approach, si è tentato cioè di rendere partecipi tutte le componenti coinvolte nel fenomeno (rappresentanti dell’industria, Stati, organizzazioni internazionali, ONG e società civile) al processo di regolamentazione e monitoraggio dell’industria militare e della sicurezza privata.

Dall’altro le imprese hanno elaborato strumenti di autoregolamentazione, i c.d. Codici di Condotta o Linee Guida nei quali si dichiara che l’impresa si impegna ad aderire a standard giuridici internazionali.

È stata inoltre presa in considerazione la possibilità di elaborare uno strumento giuridicamente vincolante direttamente le imprese transnazionali. Tale ipotesi non ha avuto seguito; rendere entità giuridiche depositarie di diritti e doveri significa ammetterne la soggettività internazionale: benché le imprese transnazionali siano destinatarie di alcune norme internazionali (perlopiù da fonti pattizie) se si analizzano i rimedi contro gli abusi commessi da esse, risulta evidente che esse non siano depositarie di diritti e doveri sul piano internazionale. La difesa dai loro eventuali abusi passa attraverso gli Stati ed è garantita dai diritti e doveri che gli Stati hanno nei loro confronti. L’approccio che è stato adottato è quindi quello di elaborare degli strumenti non giuridicamente vincolanti tramite i quali Stati ed imprese si impegnano a rispettare il diritto internazionale pertinente nella gestione delle proprie attività: gli Stati si impegnano a regolare in modo efficace le imprese e le imprese si impegnano ad attenersi al diritto internazionale nello svolgimento delle

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proprie attività. Per superare il limite che tali strumenti hanno (la loro applicazione è volontaria) si è ritenuto di lavorare sulla creazione di meccanismi di monitoraggio in modo da garantire trasparenza ed applicazione degli standard allargando la base di partecipazione per comprendervi tutti i gruppi portatori di interessi.

3.1 Il lavoro del Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU su

business e diritti umani

Il proliferare caotico di iniziative di Corporate Social Responsibility a partire dagli anni ’90, nelle più svariate forme (iniziative delle imprese come linee guida, codici di condotta e dichiarazioni di principi) ha spinto nel Giugno 2000 l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan alla formulazione del Global Compact (UNGC), un’iniziativa che incoraggia le imprese di tutto il mondo ad adottare politiche sostenibili e socialmente responsabili. È una dichiarazione composta da dieci principi sintetizzanti le pratiche da seguire in materia di rispetto dei diritti umani, ambiente, lavoro e anti-corruzione. I principi richiamati si ispirano ai principali strumenti internazionali sui diritti umani: la Dichiarazione Universale sui Diritti Umani (ODHR), la Dichiarazione OIL sui Diritti Fondamentali dei Lavoratori, la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo e la Convenzione ONU Contro la Corruzione. Lo UNGC conta più di 12000 imprese aderenti. Tuttavia essa ha sollevato non poche critiche, soprattutto perché non prevede nessuna forma di monitoraggio delle imprese al rispetto dei principi richiamati. Inoltre si è sottolineato che l’aderenza al Global Compact da parte di molte imprese può (o vuole) avere l’effetto di scoraggiare gli Stati dall’elaborazione di validi sistemi di monitoraggio(187).

Nel 2003 la Sottocommissione ONU per la Protezione dei diritti umani (ad oggi non più esistente) ha adottato un progetto di convenzione sulle responsabilità delle imprese transnazionali (Norms

on the Responsibilities of Transnational Corporations and Other Business Enterprises(188)). Il

progetto di articoli fu presentato alla Commissione sui Diritti Umani nell’Aprile 2004 che pur apprezzando lo sforzo di indagine della Sottocommissione e gli spunti proposti, non ha approvato formalmente il progetto dichiarando che le norme non avevano alcun valore giuridico. Il lavoro sulle Norme è Stato dunque ripreso a livello concettuale, smussato dalla pretesa di essere

(187) A. BUZATU, Towards an International Code of Conduct for Private Security Providers, DCAF SSR Paper 12,

Ginevra, 2015, p. 22.

(188) U.N. DOC. E/CN.4/SUB.2/2003/12/REV.2, Norms on the Responsibilities of Transnational Corporations

and Other Business Enterprises, 2003, consultabile al sito: http://business-humanrights.org/en/united- nations-sub-commission-norms-on-business-human-rights-explanatory-materials, visitato il 09/12/2015.

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vincolante direttamente sulle imprese. La questione è stata attivamente affrontata dalle Nazioni Unite: nel 2005 il Segretario Generale Kofi Annan ha nominato un Rappresentante Speciale con il compito di identificare le maggiori problematiche concernenti il rapporto tra imprese e diritti umani e trovare adeguate soluzioni. Ha ricoperto tale ruolo Sir. John Ruggie, docente dell’Università Harvard, con un mandato iniziale di due anni, poi esteso a tre. Al temine di tale mandato John Ruggie ha compilato un Report finale sulla sua indagine e con le sue indicazioni ed ha visto rinnovare il proprio mandato per ulteriori tre anni.

Il rapporto finale del 2008 presenta un quadro concettuale di politiche da attuare per uniformare il dibattito su diritti umani e responsabilità d’impresa che guidino tutti gli attori coinvolti, confermato ed implementato poi nel Report finale del 2011. In esso vengono formulate le Linee Guida ONU su business e diritti umani che rendono operativi i concetti esposti nel resoconto del 2008. Si rinnova l’esigenza di creare un modello uniforme che guidi le condotte di Stati, imprese e società civile. Le linee Guida sono state approvate dal Consiglio ONU sui diritti umani con risoluzione 17/4, tramite la quale si decide di stabilire un Working Group ONU su business e diritti umani composto da cinque esperti indipendenti da rieleggere ogni tre anni con il compito di monitorare l’applicazione delle Linee Guida e implementare il lavoro svolto da John Ruggie per la durata del suo mandato(189).

La soluzione adottata da Ruggie è l’elaborazione di uno standard internazionale basato su tre principi che Stati ed imprese devono impegnarsi ad applicare nello svolgere ciascuno le proprie funzioni. I principi richiamati sono protect, respect and remedy.

Le linee guida sono così strutturate: si elencano i principi e si offrono spunti al fine di renderli operativi.

Il principio di protezione dei diritti umani (protect) è in capo agli Stati che hanno l’obbligo positivo di garantire adeguata protezione contro gli abusi da parte delle imprese. Questo implica, come abbiamo visto, il loro dovere di prevenire, investigare, punire e fornire rimedio nel caso in cui gli abusi si verifichino.(190)

(189) A/HRC/RES 17/4, Human rights and transnational corporations and other business enterprises, 6 Luglio

2011, consultabile al sito: http://www.ohchr.org/EN/Issues/Business/Pages/ResolutionsDecisions.aspx, visitato il 13/01/2016.

(190) A/HRC/8/5, Protect, Respect and Remedy: a Framework for Business and Human Rights, Report of the

Special Representative of the Secretary-General on the issue of human rights and transnational corporations and other business enterprises, 7 Aprile 2008, consultabile al sito: http://business-

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Nella pratica si risolve nell’adozione di legislazioni che incoraggino le imprese al rispetto del diritto internazionale; nell’incoraggiamento delle imprese domiciliate nel proprio territorio ad adottare politiche che garantiscano il rispetto dei diritti umani come parte integrante delle attività commerciali che portano avanti localmente o all’estero; nell’imposizione di compilazione di resoconti alle imprese madre circa l’attività dell’impresa in toto, incluse le operazioni delle imprese filiali; aderenza a strumenti di soft law (Linee Guida OECD, Dichiarazione Tripartita ILO, Global Compact ONU);

Garantire il rispetto dei diritti umani deve inoltre corrispondere anche a politiche eque tra investitori ed imprese. Nei casi in cui siano gli Stati ad intrattenere rapporti con le imprese, i primi devono assicurarsi che i dipartimenti governativi, agenzie od altre istituzioni governative che entrano in contatto con le imprese o che stabiliscono i termini entro i quali le imprese devono operare, siano consapevoli ed osservino le norme vigenti sui diritti umani. I contratti o i trattati bilaterali sugli investimenti che gli Stati concludono con le imprese devono essere equi e non intaccare la legge nazionale.

Il secondo principio richiamato (respect) è da attribuire alle imprese: esse hanno la responsabilità di rispettare i diritti umani indipendentemente dalla capacità o volontà dello Stato di rispettare il dovere di proteggere i propri cittadini dagli abusi(191). Si insiste sul concetto di «due diligence»,

come comportamento chiave che permette alle imprese il rispetto dei diritti umani. Sir. John Ruggie definisce in questi termini il concetto:

«A process whereby companies not only ensure compliance with national law but also manage the risk of human rights harm with a view to avoiding it. The scope of human rights-related due diligence is determined by the context in which a company is operating, its activities, the relationships associated with those activities(192)»

Il termine due diligence (dal latino debita diligentia) in relazione ai diritti umani indica quindi un processo grazie al quale le imprese identificano, prevengono, mitigano e chiariscono l’impatto che le loro attività hanno sui diritti umani. Questa pratica sarà possibile attraverso:

a) il consulto con esperti interni all’azienda o indipendenti che aiutino la valutazione dei contesti nei quali le imprese operano e dall’analisi di essi traggano le possibili conseguenze che l’attività

humanrights.org/en/un-secretary-generals-special-representative-on-business-human-rights/un-protect- respect-and-remedy-framework-and-guiding-principles, visitato il 22/11/2015.

(191) Ivi.

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potrebbe avere in termini di rispetto degli standard internazionali sui diritti umani. Questa pratica di valutazione deve essere periodica e svolta ogni qualvolta l’impresa intraprende una nuova attività in un nuovo contesto;

b) una dichiarazione delle politiche aziendali e della strategia d’impresa che deve comprendere il rispetto degli standard internazionali sui diritti umani;

c) compilazione di rapporti periodici nei quali sono descritte le caratteristiche delle attività che vengono svolte con gli eventuali rischi che esse possono comportare e resoconto sui risultati ottenuti, questo è valevole a maggior ragione se l’impresa decide di svolgere i propri affari in una zona a rischio;

d) creazione di un meccanismo interno di controllo e supervisione. In questo modo le aziende possono impegnarsi a livello di prevenzione e rispetto dei diritti umani.

Il terzo principio guida è la garanzia di accesso a mezzi di ricorso (remedy) per coloro che sono negativamente affetti dall’azione delle imprese. Gli Stati devono garantire entro la propria giurisdizione la possibilità di effettivo rimedio ad abusi attraverso strumenti di natura giudiziaria amministrativa, legislativa o di altro tipo(193).

Devono essere predisposti sistemi statali giudiziari e meccanismi di reclamo non giudiziari funzionali che per quanto possibile riducano la presenza di barriere legali, pratiche o di altro tipo che rendono il ricorrervi poco accessibile.

Gli Stati devono considerare anche di facilitare l’accesso a meccanismi di reclamo non giudiziari non statali (a livello di associazioni di categoria o agenzie intergovernative o altre). Ruggie identifica i requisiti sostanziali e procedurali minimi necessari al funzionamento di tali meccanismi:

a) Legittimazione da parte dei gruppi interessati alla loro attivazione b) Accessibilità,

c) Attendibilità, avere procedure chiare e stabilite nei tempi e metodi d) Equità

e) Trasparenza

f) Compatibilità con il diritto

g) Fonte di continuo miglioramento, strumento flessibile e in continuo sviluppo

79 h) Impegno al dialogo tra i gruppi interessati

Il metodo usato da Sir. John Ruggie è di riconsiderare gli obblighi positivi derivati da diritto internazionale dei diritti umani con riferimento alle imprese transnazionali. Gli Stati hanno il dovere di proteggere i propri cittadini da abusi, quindi prevenire la commissione di atti contrari alle norme sui diritti umani e dovere di controllo e regolamentazione di attori non statali entro i confini della propria giurisdizione (con l’ipotesi, da applicarsi a discrezione degli Stati, di estendere la giurisdizione al di fuori dei confini statali). Alle imprese è raccomandato di rispettare le norme sui diritti umani esercitando due diligence come parte integrante della strategia d’impresa. Il quadro presentato da John Ruggie deve essere inteso come espressione della volontà di uniformare le pratiche di Stati ed imprese, almeno a livello di principi base.