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Lavoro vs gioco

Nel documento Imparare una lingua con i videogiochi (pagine 49-51)

CAPITOLO 2: IL VALORE DEL GIOCO NELLA VITA DELL’UOMO

2.1. IL GIOCO: DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE

2.1.5. Lavoro vs gioco

In quanto attività libera, spontanea e autotelica, il gioco viene generalmente visto come opposto al lavoro, che invece è visto come dovere, come attività obbligatoria e che produce un guadagno. Questa distinzione viene ripresa nella maggior parte degli studi sul gioco: Whitebread afferma che “il gioco viene spesso messo in contrasto con il lavoro, caratterizzato come tipo di attività essenzialmente superflua senza alcuno scopo serio. Viene quindi vista come qualcosa che i bambini fanno perché immaturi, che devono abbandonare una volta

20

“For play to develop and be a satisfying experience, children need to feel safe and secure.” 21

“School administrator and teachers broadcast the not-so-subtle message that these days play seems super)uous, that at bottom play is for slackers, that if kids must play, they should at least learn something while they are doing it.”

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“[…]children’s free time has become associated only with learning, rather than enjoyment of play itself.” 23

“children’s play and leisure are instrumentalised and

reduced to an education tool for something else which is not play.” 24

“When children do have free time away from school and unstructured activities, other commitments, such as homework, mean that children can rarely use this time for free play.”

diventati adulti” (Whitebread, 2012: 3)25. In accordo si trova anche il LEGO Learning

Institute, che afferma che “negli animali e negli umani i contesti di gioco (opposti al lavoro)

permettono agli individui di focalizzarsi sul ‘significato piuttosto che sul ‘fine.’ Privi dalle costrizioni dell’ambiente lavorativo, dove le persone devono fare qualcosa, nel gioco possono provare nuovi comportamenti, esagerare, modificare, abbreviare o cambiare una sequenza di comportamenti […]” (LEGO Learning Institute, 2010: 9)26

.

Tale distinzione è valida ovviamente anche nei contesti accademici. Come dichiara Kernan, “il gioco può essere visto sia come il mezzo naturale con cui i bambini imparano, sia può essere accantonato in favore del lavoro oppure essere usato come ricompensa per aver fatto un buon lavoro. In contesti informali di gruppi di gioco prescolari, il gioco viene visto come preparatorio al ‘vero’ apprendimento nelle ‘grandi scuole.’ Una volta a scuola, il gioco può essere considerato poco serio da insegnanti e genitori” (Kernan, 2007: 10)27. In questi contesti di lavoro accademico, le qualità del gioco come la libertà, spontaneità o esuberanza non sembrano integrarsi con un programma educativo e già prestabilito, tanto che, continua Kernan, “queste tendono, in alcuni contesti, ad essere confinate nei limiti degli intervalli all’esterno, visti dagli adulti come momenti non educativi […]” (Kernan, 2007: 10)28

. Dello stesso avviso è anche Youell: “il gioco viene visto come compenso o premio. La scuola promuove questa visione sin dai primi stadi dell’educazione, in cui i bambini vengono incoraggiati a guadagnarsi un ‘momento d’oro’ (il gioco) lavorando sodo e comportandosi bene. Comportarsi e lavorare male vengono puniti con la negazione di momenti di gioco […]. Allo stesso tempo, il gioco è visto come perdita di tempo” (Youell, 2008: 122)29.

Altri studiosi fanno invece un’analisi più profonda per determinare la controparte del gioco. Lester e Russel partono dal presupposto che “[…] il gioco è un’esperienza piacevole. […] Ricerche sugli effetti del piacere sul sistema biologico e sociale dell’uomo indica che è molto benefico per le funzioni umane. […] Alcune ricerche suggeriscono che l’esperienza di situazioni piacevoli può avere dei benefici nell’affrontare lo stress e le situazioni negative.

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“‘Play’ is sometimes contrasted with ‘work’ and characterised as a type of activity which is essentially unimportant, trivial and lacking in any serious purpose. As such, it is seen as something that children do because they are immature, and as something they will grow out of as they become adults.”

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“in animals and humans, play (as opposed to work) contexts free individuals to focus on ‘means’ rather than ‘ends’. Unfettered from the instrumental constraints of the work context, where one has to get something done, in play the individual can try out new behaviours, exaggerate, modify, abbreviate or change the sequence of behaviours […]”

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“Play can be viewed both as the natural vehicle by which young children learn and yet may be sidelined in favour of ‘work’ or used as a reward for ‘good’ work. In informal settings such as pre-school playgroups, play can be seen as preparatory to ‘real’ learning in ‘big school’. Once in school, play may not be taken seriously by parents or teachers.”

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“these tend to be marginalised to the outdoor break, also viewed as the non-teaching, or ‘down tools’ time by adults […].” 29

“Play is seen as compensation, a reward. Schools promote this view from the earliest years when children are encouraged to earn ‘golden time’ (play) by hard work and good behaviour. Bad behaviour or poor work is punished by the loss of playtime […].At the same time, playing is often equated with ‘wasting time.”

[…] L’opposto di questo, espresso dalla depressione e dalla tristezza, è un disequilibrio in cui questi benefici vengono ridotti, portando alla depressione. Questo suggerisce che l’opposto del gioco non è il lavoro, ma la mancanza stessa del gioco” (Lester e Russel, 2010: 18-19)30. Su questa opposizione c’erano già in precedenza dei pareri discordanti. Claparède infatti ritiene che il gioco e il lavoro non siano poi tanto diversi, dato che entrambi possiedono “la funzione di soddisfare a dei bisogni, di realizzare un desiderio. […] Gioco e realtà sono soltanto i poli di una stessa linea tracciata dalla natura per lo sviluppo del bambino” (Claparède, in Kaiser, 2001: 60-61). Il lavoro più complesso e gratificante “è raggiungibile solamente tramite il gioco, cominciando proprio dalle forme maggiormente semplificate di quest’ultimo” (Kaiser, 2001: 61).

Nel documento Imparare una lingua con i videogiochi (pagine 49-51)