5. Il potere di mercato
5.2. Le barriere all’ingresso
Gli ostacoli che si oppongono all’espansione di altre imprese su un certo
mercato sono il fattore principale da cui dipende la posizione di dominio o, comunque, il potere monopolistico dell’impresa già presente.
L’insieme di questi ostacoli viene sussunto nella nozione di “barriera
all’ingresso”, nozione che riveste, nell’ambito del diritto antitrust,
un’importanza fondamentale e dalla cui definizione dipende la soluzione di
un’ampia serie di problemi: da quello relativo all’esistenza di una posizione
dominante a quello degli effetti di certe intese verticali; dalla valutazione degli
effetti di una concentrazione, a quello della innocuità o pericolosità di molte
pratiche unilaterali. Non sorprende, quindi, che la definizione di barriera all’ingresso sia attualmente oggetto di accese discussioni e di un acuto
dissenso81.
81 Il problema della natura e della rilevanza delle c.d. “barriere all’ingresso” è vastissimo e coinvolge anche alcune questioni molto generali: v., ad es., l’originale, quanto discutibile, impostazione di H. Demsetz, Barriers to Entry, “AER”, 72 (1982), p. 47. Un’ottima rassegna, parzialmente critica nei
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Una nozione più restrittiva, identifica le barriere all’ingresso con quelle
condizioni che impongono ai nuovi entranti costi di lungo periodo più elevati
di quelli sopportati dalle imprese già presenti82. Questa definizione si propone
di escludere dal novero delle barriere all’ingresso quelle caratteristiche che
l’impresa già presente ha acquisito sopportando dei costi e che un’altra impresa
può ugualmente acquisire sopportando costi analoghi83. Più in generale, con
questa formulazione si vuole escludere che possa costituire una barriera all’ingresso l’entità, in sé considerata, degli investimenti necessari per entrare
sul mercato. Il nuovo entrante deve semplicemente procurarsi lo stesso capitale,
grande o piccolo che sia, che hanno dovuto procurarsi le imprese già presenti.
Egli sopporterà gli stessi costi di remunerazione del capitale investito che queste
ultime già sopportano84. L’ambito delle barriere all’ingresso viene in questo
confronti della “scuola di Chicago” in W. Wentz, Mobility Factors in Antitrust Cases: Assessing
Market Power in Light of Conditions Affecting Entry and Fringe Expansion, “Mich. L. Rev.”, 80
(1982), o. 1545. Cfr. anche i numerosi saggi raccolti in Journal of Reprints of Antitrust Law and
Economics, vol. XIV, n. 1.
82 Su questa nozione di barriera all’ingresso cfr. R. Posner, The Chicago School of Antitrust Analysis, 127 University of Pennsylvania Law Review 925 (1978), cit., p. 929. Più in generale cfr. H. Hovenkamp, Economics and Federal Antitrust Law, St. Paul, MN, West Publishing Co., 1985, cit., p. 305 s.
83 Così, ad es., mercato (e di cui dovrebbe munirsi l’impresa entrante) non costituirebbe una barriera all’ingresso, poiché la seconda, per entrare, dovrebbe semplicemente investire in ricerca-sviluppo somme di entità analoga a quella degli investimenti già effettuati dall’impresa presente, onde acquisire una tecnologia altrettanto efficiente.
84 Cfr. R. Posner, op. loc. cit.; v. anche H. Hovenkamp, Antitrust Policy after Chicago, 1985, cit., p. 227.
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modo significativamente ristretto e l’ingresso su quasi tutti i mercati può essere
presentato come “agevole”85.
Si può allora assumere come un dogma l’ineluttabile penetrazione dei
concorrenti sui mercati in cui alcuno pratichi prezzi sovracompetitivi e si può
ridurre il problema ad una previsione sul tempo: il monopolio verrà smantellato
più velocemente86 dall’ingresso di nuovi concorrenti o da una sentenza del
giudice?
Quella di barriera all’ingresso è pertanto una nozione relativa, che assume
significato nella comparazione di due situazioni diverse ed a cui possono essere
attribuiti differenti significati in considerazione delle diverse situazioni poste a
confronto. Se la nozione viene impiegata per confrontare le situazioni esistenti
in due mercati diversi o in due distinte fasi evolutive dello stesso mercato, il
raffronto dovrà essere effettuato tenendo conto delle diverse difficoltà che lo stesso potenziale imprenditore incontra nel penetrare sull’uno o sull’altro
mercato. Non appare, in questa prospettiva, contestabile che l’ingresso sul
mercato della raffinazione del petrolio, dati gli investimenti che richiede, sia più
85 Si è arrivati così a teorizzare i mercati c.d. “contendibili” o “ad entrata ultra-libera”. Cfr. W. Baumol, Contestable Markets: An Uprising in the Theory of Industry Structure, “AER”, 72 (1982), p. 1 e le convincenti repliche di W. Shepherd, “Contestability” Vs. Competition, “AER”, 74 (1984), p. 572.
86 È il tema ossessivamente ripreso nei più recenti lavori di F. Easterbrook, The Limits of Antitrust, cit.; Id., Workable Antitrust Policy, “Mich. L. Rev.”, 84 (1986), p. 1696; Id., Comparative Advantage
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difficile dell’ingresso sul mercato della produzione di ceramiche, né si potrebbe
contestare che l’ingresso su quest’ultimo mercato diventerebbe più difficile se
l’invenzione di una nuova, costosa, tecnologia rendesse economicamente
efficienti solo impianti comportanti ingenti investimenti. In questo senso, si può affermare che le barriere all’ingresso sono più elevate su un certo mercato
anziché su un altro, oppure che un determinato evento accresce le barriere all’ingresso su un certo mercato.
La nozione di barriera all’ingresso misura dunque la libertà di entrare su un certo mercato in rapporto ai requisiti che deve possedere l’impresa entrante.
Tanto più rari e impegnativi essi sono, tanto più elevata è la barriera. Nella diversa accezione pocanzi illustrata, la nozione di barriera all’ingresso misura,
invece, la libertà di entrare su un certo mercato in rapporto al divario tra i
requisiti richiesti all’impresa presente rispetto a quelli che deve possedere l’impresa entrante. Maggiore è il divario, più elevata è la barriera. La prima
barriera all’ingresso si può definire “generale”, la seconda barriera all’ingresso
invece “selettiva”.
Il problema è verificare se il diritto antitrust riconosca rilevanza e protezione anche all’interesse a che l’ingresso sui vari mercati sia mantenuto
aperto per la più vasta gamma possibile di imprese, o se protegga solo l’interesse a che imprese identiche abbiano identiche possibilità.
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In generale, non si può escludere che il diritto antitrust protegga entrambi
questi interessi, sia pure con diversa intensità, e ammettendo, a diverse condizioni, l’occasionale sacrificio dell’uno o dell’altro. La rilevanza delle
barriere dell’ingresso generali o delle sole barriere all’ingresso selettive non può
essere pertanto affermata o negata a priori, ma deve essere verificata in
relazione ad ogni singola fattispecie, ed è evidente che la questione si pone
diversamente secondo che si tratti di valutare l’esistenza di una posizione di
potere oppure la liceità di un comportamento suscettibile di incidere sulla
facilità di ingresso nel mercato. Nel primo caso, risulterà particolarmente rilevante il confronto tra i costi dell’impresa presente e quelli dell’impresa
entrante, poiché è la differenza tra questi che determina e misura il potere dell’impresa. Nel secondo caso, nulla esclude che possa essere valutato
negativamente anche un comportamento che provochi un elevamento dei costi
di ingresso uguale per tutti, rendendo il mercato considerato meno accessibile (e, in questo senso, protetto da più alte barriere all’ingresso).
La distinzione tra i due tipi di indagine consente anche di chiarire i discussi rapporti esistenti tra le barriere all’ingresso ed efficienza. È stato sostenuto che
in nessun caso potrebbe essere considerata una barriera all’ingresso rilevante
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entrare in un mercato dove è presente un’impresa più efficiente87. La confusione
che regna sull’argomento deriva probabilmente anche dalla peculiarità della
disciplina vigente nell’ordinamento statunitense. Infatti, nelle cause in cui
un’impresa è accusata di monopolization occorre accertare se l’impresa abbia
diminuito o meno la capacità dei concorrenti di superare svantaggi significativi
sul piano dei costi o su altri piani e se le azioni aventi questi effetti fossero
necessarie per ottenere costi inferiori o comunque una maggiore efficienza. Non
si riproduce con chiarezza, quindi, la scissione tra i due momenti dell’analisi – quello volto ad accertare l’esistenza di una posizione di dominio e quello volto
ad accertare se vi è stato abuso – mentre nell’ordinamento europeo l’accertamento del dominio prescinde da ogni considerazione in ordine alla
fonte da cui il dominio deriva, posto che è in posizione dominate anche l’impresa che abbia raggiunto detta posizione in forza della sua maggiore
efficienza e persino un’impresa autorizzata a ricoprire tale posizione da norme
di legge.
87 Questa tesi è ricordata e criticata da W. Wentz, Mobility Factors in Antitrust Cases: Assessing
Market Power in Light of Conditions Affecting Entry and Fringe Expansion, 80 Mich. L. Rev. 1545,
1551, 1982, cit., p. 1577 s., che correttamente distingue due aspetti del problema: quello sull’accertamento del potere (e qui è irrilevante se il potere derivi da maggiore efficienza o da altre cause) e quello dei rimedi adottabili per ridurre il potere esistente (e qui non si può prescindere da una valutazione che tenga conto della maggiore efficienza di cui gode l’impresa considerata). Con riguardo all’ordinamento europeo concordano con questa distinzione N. Kyriazis - L. Gyselen, Article
86 EEC: the Monopoly Power Measurement Issue Revisited, 11 European Law Review 134, 1986,
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