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L’enfasi oggi posta sulle competenze personali e su quelle trasversali culturali e tecnologiche non deve però distogliere dalla necessità di coltiva- re, spesso anche a lungo, lo sviluppo di conoscenze, abilità e disposizioni interne stabili in ambiti lavorativi specifici, anche se, spesso gli stessi datori di lavoro insistono sul fatto che queste possono essere sviluppate sul posto

di lavoro. Ciò può essere vero in molti casi in quanto la velocità di cam- biamenti tecnologici e organizzativi porta alla necessità di adeguare conti- nuamente il patrimonio posseduto. Tuttavia, tutto ciò è possibile solo a par- tire da una buona base di partenza, non solo centrata sull’acquisizione delle conoscenze di base, ma anche sviluppata a partire da pratiche ed esperienze concrete di attività lavorativa in uno particolare settore professionale. Oc- corre accompagnare i giovani a esplorare realtà lavorative specifiche, a co- glierne la complessità e dinamicità, a individuare ambiti di professionalità nei quali potersi collocare, a fare esperienza diretta di attività lavorative e di organizzazioni di produzione di beni e servizi, cogliendone le risonanze non solo conoscitive, ma soprattutto emotive e di possibili scelte personali. In particolare, occorre cogliere in maniera sufficientemente chiara l’intero processo nel quale si innestano i vari ruoli professionali, di cui è essenziale considerare la complementarità delle diverse fasi del processo produttivo.

Infatti, molto spesso la realizzazione di un prodotto finale richiede molteplici passaggi, ciascuno dei quali condiziona il successivo. Un esempio può essere dato dalla catena di produzione di un testo stampato. La prima fase è quella della progettazione del testo da stampare, fase che ovviamente condizione tutta il percorso successivo. Ma la fase successiva, quella della cosiddetta prestampa, implica la composizione grafica di testo e immagini secondo il progetto. Questa fase, se da una parte è condizionata dalla qualità del pro- getto, dall’altra, essa condizione la qualità del risultato finale. Segue la fase vera e propria di stampa. Infine, si può considerare la fase finale o di alle- stimento. Ciascuna fase implica collaborazioni orizzontali tra varie incom- benze, ma soprattutto viene coinvolta la qualità di ciascun passaggio della catena, passaggio che è condizionato dal precedente e condiziona il succes- sivo. Di qui la necessità che ciascuno sia consapevole dell’intero processo e dello specifico apporto di ciascun attore.

In generale, la costruzione di un’immagine di sé come lavoratore attivo e produttivo in ambito lavorativo costituisce una dimensione essenziale del- lo sviluppo della propria identità professionale. anche in senso generale. B. Skorikov e F. W. Vondracek (2011) hanno evidenziato come le prime espe- rienze e preferenze in ambito lavorativo che si manifestano tendono ad ave- re un effetto duraturo nel tempo. Esse in gran parte derivano dall’osserva- zione informale del comportamento e degli atteggiamenti dei membri di famiglia, dalla frequentazione dei mezzi di comunicazione di massa, da in- fluenze di natura socioculturale. Ciò può avere effetti sia positivi, sia nega- tivi, come spesso è il caso di stereotipi circa i ruoli lavorativi femminili o propri di classi sociali emarginate. Infatti, è spesso in ambito famigliare che può svilupparsi un’identità professionale in qualche modo imposta, più che scelta personalmente. Tuttavia, alcune volte si sviluppa precocemente un

orientamento professionale che va consolidandosi nel tempo, nonostante contrasti famigliari o almeno forti scetticismi.

Esaminando la situazione evolutiva di un giovane dal punto di vista del- la propria identificazione con un ambito lavorativo, è possibile identificarne quattro grandi possibili situazioni soggettive, facendo riferimento a signifi- cativi studi sull’identità personale di James Marcia (1966). La prima e più favorevole situazione dal punto di vista dello sviluppo della propria identità professionale è quella che ne evidenzia un buon livello di individuazione e assunzione sulla base di esplorazioni e verifiche esperienziali. Ne deriva un impegno costante e sistematico nel prepararsi nel tempo e nello sviluppare le competenze fondamentali che sono implicate. Spesso tale situazione è segnata dal fatto che sia le esplorazioni, sia le scelte successive riguardano non solo il lavoro, ma anche la famiglia e la società. Il termine inglese usa- to in questo caso è commitment.

La seconda situazione in cui si possono trovare i giovani, soprattutto in alcuni ambienti famigliari, si evidenzia quando la pressione esercitata da un contesto fortemente controllato impedisce l’esplorazione di prospettive oc- cupazionali diverse da quelle prefigurate per lui dai propri cari o dallo stes- so contesto di vita sociale e culturale. Si prospetta quindi un orientamento verso impegni legati al proprio futuro lavorativo precoce fino al punto da non consentire una libera sperimentazione di alternative professionali. Nella terminologia di Marcia si tratta di uno stato di preclusione di alternative a quanto predisposto, in inglese foreclosure.

A differenza di questi due primi possibili stati, o condizioni, nei quali possono venirsi a trovare i giovani nel loro processo evolutivo verso la co- struzione della propria identità professionale, si debbono considerare due altri stati, o condizioni, di mancato sviluppo di un’identità lavorativa suffi- cientemente chiara e definita. Il primo di questi viene detto di attesa, o mo- ratorio. In questa condizione l’esplorazione delle possibili prospettive di sbocco lavorativo non porta a una scelta o almeno a un orientamento suffi- cientemente delineato. Si continuano a considerare in astratto, e qualche volta anche a sperimentare in concreto, le varie possibilità di attività lavora- tiva, ma si rimane incerti su dove far propendere la bilancia. In qualche ca- so ciò può dipendere anche da una tendenza generale della persona a rumi- nare a lungo prima di prendere qualsiasi decisione. Il termine usato in in- glese è moratorium.

Più pericolosa, soprattutto se si prolunga nel tempo, è la condizione de- finita di diffusione o confusione circa l’identità professionale da costruire. In questo caso non c’è alcun impegno e, che ci sia stata o no una qualche esplorazione, il giovane non è ancora in grado di prendere delle decisioni e sente che la propria vita è priva di direzione. In inglese si usa l’espressione

diffusion. In realtà durante il periodo adolescenziale e della prima giovinez-

za possono essere presenti anche lunghi periodi di confusione mentale circa il proprio futuro lavorativo. Recentemente, è stato messo in evidenza (Pel- lerey, 2016) il ruolo che in questo periodo dello sviluppo ha la percezione del tempo futuro, considerato come incerto o troppo complesso per potersi orientare in esso3. Di qui lo svilupparsi di un verto fatalismo oppure di una

ricerca di soddisfazioni immediate. Non pochi giovani sviluppano, sulla ba- se delle loro esperienze di vita aggregativa, un atteggiamento poco favore- vole a impegnarsi in una seria preparazione al lavoro o dedicarsi a vere e proprie attività lavorative, anche se temporanee, ma che tendono a limitare la loro vita sociale. La percezione soggettiva del valore del lavoro come di- mensione fondamentale della propria esistenza sembra dissiparsi a favore di esperienze più gratificanti legati all’amicizia, alla vita collettiva, al pia- cere di relazioni anche di tipo sessuale. In questi casi sembra emergere un certo moto oscillatorio tra stato moratorio e stato diffusivo.