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Occupabilità: un neologismo che indica l’abilità a essere occupato. Con questo termine si fa riferimento sia all’abilità di trovare/ri-trovare un lavoro sia a quella di mantenerlo. E se, allo stato attuale, non si è in grado di ga- rantire la piena occupazione, accrescere l’occupabilità delle persone, anche di quelle giovanissime, diventa l’obiettivo prioritario di tutte le politiche attive del lavoro, come sottolineato nei documenti e nelle raccomandazioni comunitarie e nazionali che guidano anche buona parte degli interventi co- finanziati dal Fondo Sociale Europeo. In proposito si ricorda che l’occu- pabilità rappresenta uno dei pilastri della strategia europea per l’occupa- zione e, nel nostro Paese, l’attenzione politica è ampiamente rivolta a po- tenziare interventi ordinari e straordinari di ricerca e di accompagnamento al lavoro. La strategia dell’occupabilità punta, infatti, a incidere sui pro- blemi di un’eventuale perdita del lavoro o inoccupazione mediante azioni e strumenti di tipo preventivo, sia nell’ambito dell’orientamento e della con- sulenza di carriera, sia sul fronte dell’ampliamento delle opportunità di formazione. Il tema dell’occupabilità interessa quindi almeno tre ambiti principali di intervento: l’orientamento, la formazione e il lavoro. I dati macroeconomici nazionali e le caratteristiche che ha assunto il mercato del lavoro  in particolar modo nell’era digitale 4.0  pongono sempre più en- fasi sulle ripercussioni sul potenziale di occupabilità delle persone. La cre- scita dell’occupazione rimane debole, la disoccupazione ha ancora valori molto alti, in particolare quella giovanile, e sono ancora molti i lavoratori che restano fuori dal mercato del lavoro. La stessa fotografia dell’Italia che scatta l’Ocse nel suo rapporto di metà anno propone scenari preoccupanti sul fronte della crescita. Spicca in particolar modo la sproporzione, a sfavo- re dei giovani, fra la quota globale dei senza lavoro e quelli delle nuove ge-

nerazioni. Tra questa fetta di popolazione la fascia più critica è rappresenta- ta dai giovani inattivi, che non studiano e non lavorano. Un altro dato che però suscita preoccupazione nel confronto con gli altri paesi avanzati è che in Italia non è solo elevata la quota di disoccupati, ma anche quella di oc- cupati con un lavoro di scarsa qualità. Qualità che non rinvia esclusivamen- te al problema della sicurezza o della salute sul posto di lavoro, ma che ri- guarda principalmente il fatto che, in media, più della metà dei lavoratori svolge mansioni diverse da quelle per cui si è formato. In Italia, il “mi-

smatch” di competenze è del 70% (superato solo da Gran Bretagna e Spa-

gna), la conseguenza è spesso quella di percepire stipendi più bassi delle aspettative e di nutrire nel tempo demotivazione e frustrazione.

Diventa dunque fondamentale disporre di strumenti adeguati a rendere le persone più occupabili, più competitive, sempre più attive, committenti e cor- responsabili del proprio percorso di vita. Tuttavia, dotarsi di strumenti di ana- lisi e di valutazione di un certo fenomeno, in questo caso dell’occupabilità, è possibile soltanto se prima si dispone di un modello concettuale validato che ne declini dimensioni e indicatori. Se questo è vero sempre, diventa ancora più necessario là dove si ha a che fare con costrutti complessi e multidimen- sionali dove concorrono e interagiscono diverse variabili, a volte poco osser- vabili e di difficile “afferrabilità”. Se per trovare e mantenere nel tempo un’occupazione adeguata al proprio profilo professionale e, in linea con la domanda del mercato del lavoro, occorrono diverse competenze, è chiaro che per favorire la costruzione della propria occupabilità è fondamentale ricono- scere di quali elementi essa si componga e si alimenti.

A valle di tali argomentazioni il progetto per la messa a punto di un mo- dello di analisi e valutazione dell’occupabilità che qui si rappresenta si è articolato in tre fasi corrispondenti ad altrettante domande di ricerca.

1. Che cosa intendiamo per occupabilità? Quali dimensioni la decli- nano? Da che cosa dipende e da che cosa è influenzata?

2. Come può essere operazionalizzata? Con quali strumenti? Come si può esprimere un indice di occupabilità?

3. Quale lettura complessiva se ne può dare e come si può inserire questo dato nei percorsi operativi di consulenza orientativa?

Il primo interrogativo si è tradotto in una fase di rassegna della letteratu- ra sull’occupabilità e nella proposta di una definizione e di un modello esplicativo del costrutto declinato nelle sue dimensioni costitutive (Grimal- di, Porcelli, Rossi, 2014). Il secondo interrogativo ci ha visto impegnati nella messa a punto di uno strumento che potesse dare una misurazione del costrutto (Grimaldi et al., 2015). La variabilità, la complessità e la multi- dimensionalità del costrutto dell’occupabilità così come è emerso dall’ana- lisi teorica ha reso particolarmente sfidante la costruzione di uno strumento

valido, utile sia per poter avere un indice di misura dell’occupabilità, sia per identificare le piste di intervento su cui lavorare con le persone. Il terzo interrogativo si è tradotto nella messa a punto di un percorso di consulenza orientativa specialistica “Da AVO al progetto professionale” da poter rea- lizzare nei servizi territoriali di orientamento e/o del lavoro. Senza voler in questa sede passare in rassegna tutta la letteratura in materia di occupabili- tà, si vogliono ripercorrere alcune evidenze concettuali, soprattutto in rela- zione alle competenze per e dell’occupabilità che hanno sostenuto la rifles- sione sottesa al modello elaborato.

Se di questo tema si comincia a parlare già dagli anni 50-60 per distin- guere i soggetti “occupabili” da quelli “non occupabili” in base alle attitu- dini personali e allo stato di salute fisica e mentale, è dalla fine degli anni ‘90 che si elaborano i primi modelli sul costrutto. Da allora, la letteratura scientifica si è arricchita di contributi che offrono numerose definizioni e declinano l’occupabilità attribuendo peso e valore diverso a determinanti soggettive e personali e a dimensioni strutturali e contestuali, in riferimento alla prospettiva concettuale da cui si parte (De Fillippi, Arthur, 1994; McArdle et al., 2007; Fugate, Kinicki, 2008; Cavenago, Magrin, Martini, Monicelli, 2013; Mäkikangas, De Cuyper, Mauno, Kinnunen, 2013, Wil- liams, et al, 2015). È proprio alla fine degli anni ‘90 che Hillage e Pollard (1998) elaborano uno dei primi modelli sul costrutto. Gli autori definiscono l’occupabilità come “la capacità delle persone di trovare un lavoro e di ac-

cedere a un’occupazione soddisfacente”. Le componenti principali identifi-

cate dal modello sono così declinate: le risorse per l’occupabilità, intese come il potenziale di conoscenze, di competenze e di abilità possedute dalle persone e agite nell’ambito del lavoro; le capacità di dispiegamento delle risorse personali, intese come i comportamenti concreti messi in atto dagli individui nella ricerca del lavoro; le capacità di presentazione intese come le abilità dell’individuo nel dimostrare e comunicare il possesso delle risor- se necessarie all’ottenimento di un lavoro; le circostanze del contesto, inte- se come sia le condizioni e i bisogni personali sia le caratteristiche del con- testo esterno e del mercato del lavoro.

Qualche anno dopo, nel lavoro di Fugate, Kinicki, e Ashforth (2004) l’occupabilità viene definita come una ‘specifica forma di adattamento la-

vorativo attivo che consente ai lavoratori di identificare e realizzare le op- portunità di carriera’ (p.16), e si compone di quattro dimensioni: adattabi-

lità, capitale sociale, capitale umano e identità di carriera. In un approfon- dimento successivo (Fugate e Kinichi, 2008) gli autori sostengono che l’oc- cupabilità deve essere considerata un tratto disposizionale dove le dimen- sioni dell’apertura al cambiamento lavorativo, della resilienza di carriera, della proattività di carriera, della motivazione alla carriera e dell’identità

lavorativa costituiscono le variabili più significative. Griffin e Annulis (2013) sottolineano come nel corso degli anni le richieste del mercato del lavoro rispetto alle competenze per l’occupabilità siano profondamente cambiate. Gli autori presentano un elenco di competenze che declinano l’occupabilità: problem solving, lavoro di gruppo, comunicazione verbale, comunicazione scritta, pensiero critico, controllo e gestione, competenze relazionali, disponibilità al cambiamento, project management. Suß e Bec- ker (2012) affermano che caratteristiche quali flessibilità, creatività, doti comunicative e ampie conoscenze di base stanno diventando sempre più importanti nel mercato globale attuale.

Per quanto riguarda le caratteristiche di personalità, alcuni studi (Wille, De Fruyt e Feys, 2013) prendono in considerazione il five factor model per spiegare l’associazione di questi fattori con l’occupabilità. I risultati metto- no in evidenza l’esistenza di una correlazione positiva dell’occupabilità con l’apertura mentale, la coscienziosità e con l’estroversione.

Un’altra dimensione che emerge come predittiva di una buona occupa- bilità è l’auto-efficacia. Chi ha maggiore sicurezza nella propria capacità di percepire, di comprendere e di gestire le emozioni e lo stress si considera più occupabile e mostra maggiori livelli di soddisfazione lavorativa (Mäki- kangas, De Cuyper, Mauno & Kinnunen, 2013; Pool e Qualter, 2013).

Cavenago, Magrin, Martini, Monticelli (2013) si propongono di indivi- duare i principali fattori personali e di contesto in grado di incidere positiva- mente sull’occupabilità individuale e sul suo sviluppo nel tempo. Lo studio evidenzia che un “acceleratore” del grado di occupabilità delle persone può essere svolto dai servizi per l’impiego e dalle agenzie di somministrazione con opportune pratiche di orientamento e di accompagnamento al lavoro.

In conclusione, dalla rassegna della letteratura recente in materia emer- ge che la gran parte degli studi considera l’individuo come unità principale di analisi, con la sua “dotazione” di risorse e competenze che spesso sono considerate indipendenti dal contesto di lavoro. Tuttavia, sebbene l’orien- tamento attuale, soprattutto nell’ambito della psicologia positiva, consideri l’employability un costrutto di natura disposizionale, un ricco filone di studi sociologici intravede in questa visione alcuni limiti. Il limite principale è dato dal fatto che l’occupabilità di un soggetto non può prescindere da ele- menti di contesto e che il patrimonio di risorse del soggetto non è indipen- dente da questo. Gli elementi di contesto a cui si fa riferimento sono spesso individuati nelle dinamiche del mercato del lavoro e sono relativi all’area geografica di provenienza: variabili, quindi, non controllabili e non modifi- cabili. Se sposassimo una lettura prettamente socioeconomica dell’occupa- bilità continueremmo a considerare a più alto potenziale chi è maggiormen- te favorito dalle opportunità ambientali. Gli elementi su cui è possibile in-

cidere, anche nell’incrocio tra individuo e contesto, sono, da ricercarsi, per esempio, nelle strategie d’azione che le persone mettono in campo nel loro ambito di riferimento, familiare, sociale e di vita in generale. Si tratta quin- di, nell’ottica del modello di occupabilità qui proposto, di lavorare sulle reti di supporto, sulla conoscenza e fruizione dei servizi, e su tutti gli aspetti di potenziamento di una vita di cittadinanza attiva. La stessa crescente atten- zione verso il capitale psicologico, come risorsa chiave per l’inserimento nel mercato del lavoro, si accompagna a un sistema di carriera non più ba- sato sulla posizione, ma sulle competenze e sull’esperienza degli individui. Alcuni autori sintetizzano tale concetto con la denominazione “capitale di carriera”, che è investito temporaneamente nell’organizzazione di apparte- nenza e utilizzabile per affrontare nuove transizioni (Grimaldi, Quaglino, 2005; Rolandi, 2015). Sulla scia di una concezione disposizionale dell’oc- cupabilità, ovvero di una caratteristica non direttamente osservabile, il mo- dello che qui si descrive sostiene l’ipotesi che essa sia un potenziale che di- pende da alcune risorse e competenze interne al soggetto (ovvero il capitale umano, sociale e psicologico della persona), e da un mix di fattori in qual- che modo oggettivabili.

Fig. 1- Il modello INAPP dell’occupabilità

DATI BIOGRAFICI E CURRICOLARI

CONTESTO E CONDIZIONI AMBIENTALI E DI VITA RISORSE INTERNE DI OCCUPABILITÀ POTENZIALE COMPLESSIVO DI OCCUPABILITÀ FORMAZIONE E COMPETENZE CONOSCENZA E FRUIZIONE DEI SERVIZI TERRITORIALI PARTECIPAZIONE SOCIALE

A fronte di tali considerazioni, ma anche a valle di evidenze empiriche ot- tenute negli ultimi anni da ricerche dell’INAPP (Grimaldi, 2007) volte ad esplorare il ruolo e l’interazione di alcune dimensioni psicosociali e di alcune condizioni contestuali sui bisogni occupazionali e sulla domanda di orienta- mento, abbiamo definito l’occupabilità come l’intreccio tra il capitale uma-

no, sociale e psicologico della persona mediato dalle variabili situazionali

che consente all’individuo di porsi/riproporsi nel mercato del lavoro con un personale progetto professionale aderente al contesto (Grimaldi, Porcelli,

Rossi, 2014). Con questa definizione si sostiene l’ipotesi che l’occupabilità sia un potenziale individuale (Fig. 1) che dipende da risorse e competenze personali. In particolare, si ritiene fondamentale mettere in relazione queste risorse con alcuni aspetti indicativi delle modalità di agire di una persona: le strategie di ricerca del lavoro messe in campo; la conoscenza e la fruizione dei servizi disponibili sul proprio territorio; la partecipazione sociale.