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Le implicazioni processuali della teoria dell’inefficacia come

4. L'inefficacia come istituto processuale volto alla realizzazione

4.3. Le implicazioni processuali della teoria dell’inefficacia come

effettiva per il ricorrente

Ritenere che l'inefficacia sia un istituto teso alla realizzazione del subentro, o del rinnovo della gara, ha come premessa logica la natura puramente processuale dell'inefficacia disciplinata dalle disposizioni codicistiche. Ciò significa che l'inefficacia non è collegata ad una invalidità del contratto, il quale quindi è di per sé idoneo, da un punto di vista di disciplina sostanziale, a produrre effetti. Da questo assunto si producono plurimi corollari in ordine all'interpretazione degli articoli 121 e 122 c.p.a. da un punto di vista processuale.

Innanzitutto, la sentenza con cui il giudice dichiara l'inefficacia del contratto pubblico sembra avere natura costitutiva. Se l'inefficacia non si collega ad un vizio del contratto, il quale quindi è di per sé idoneo a produrre effetti, è chiaro che per poterne determinare la caducazione occorre una sentenza che innovi la situazione giuridica definita dal negozio: ciò si può ottenere solo con una sentenza costitutiva. La natura costitutiva della sentenza sarebbe inoltre necessaria. Ove infatti considerassimo l'inefficacia un istituto teso al conseguimento del bene della vita da parte del ricorrente, si dovrebbe concludere che l'inefficacia debba comportare una decisione giudiziale capace di fornire adeguata tutela alla situazione giuridica soggettiva contenente detto bene della vita: poiché la situazione giuridica soggettiva al cui interno è contenuto il bene della vita è un interesse legittimo pretensivo, che richiede per il suo soddisfacimento il cambiamento della realtà giuridica vigente, è chiaro che la sentenza con cui il giudice dichiara l'inefficacia debba in realtà avere natura costitutiva. Secondo alcuni158,

la sentenza con cui il giudice amministrativo dichiara l'inefficacia del contratto sarebbe non solo di tipo costitutivo, ma anche di condanna, in

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quanto con essa si obbligherebbe la stazione appaltante ad un facere specifico, ossia l'adozione di un provvedimento di aggiudicazione a favore del ricorrente (ove la domanda di subentro fosse stata proposta) ovvero il rinnovo della gara d'appalto. Tuttavia, come si è già precedentemente accennato (Cap. II), è questione controversia se l'accoglimento della domanda di subentro si traduca nell'emanazione di una sentenza di condanna, in quanto non è escluso che i poteri ex articoli 121 e 122 c.p.a. possano essere inquadrati fra quelli ordinari contemplati dall'articolo 34, I comma, lett. c), c.p.a..

L'impostazione secondo cui l'inefficacia del contratto pubblico sarebbe funzionalizzata a rendere possibile il subentro o il rinnovo della gara porta inoltre ad interrogarsi sui presupposti di attivazione dei poteri giurisdizionali previsti dagli articoli 121 e 122 c.p.a.. Se il Codice, all'articolo 122 c.p.a., stabilisce chiaramente che il subentro possa essere disposto dal giudice solo in presenza di una domanda di parte, nulla dice in ordine alla possibilità che la dichiarazione di inefficacia possa essere pronunciata anche d'ufficio dal giudice. La possibilità di configurare una dichiarazione officiosa sarebbe tuttavia ammessa solo nelle ipotesi di gravi violazioni, giacché l'articolo 122 c.p.a. afferma con chiarezza che, nelle ipotesi di violazioni ordinarie, presupposto di attivazione del potere del giudice di dichiarare l'inefficacia del contratto sia la presentazione della domanda di subentro (nei casi in cui non sia previsto l'obbligo di rinnovare la gara). Secondo parte della dottrina159, nel caso di violazioni gravi l'inefficacia

sarebbe una risposta di carattere sanzionatorio, e costituirebbe la misura principale rispetto alle sanzioni contemplate dall'articolo 123 c.p.a.: in tal caso sarebbe possibile per il giudice amministrativo disporre officiosamente l'inefficacia del contratto. Il giudice, dotato di vasti poteri discrezionali, appare ai sensi dell'articolo 121 c.p.a. capace

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sia di decidere l'inefficacia del contratto in assenza di una esplicita domanda di parte, sia di statuire in ordine al mantenimento dell'appalto anche nei casi in cui l'inefficacia sia stata richiesta dal ricorrente e non siano state opposte a tale domanda eccezioni, purché siano in gioco esigenze imperative connesse ad un interesse generale. L'officiosità del potere del giudice nelle ipotesi di gravi violazioni sarebbe inoltre coerente con l'appurata struttura pan-processuale e giudice-centrica della disciplina in esame. Tuttavia, a tale impostazione sono state mosse due ordini di critiche, uno di carattere logico, l'altro di carattere sistematico. Come notato da alcuno160, appare improbabile prevedere

un potere sanzionatorio, quale sarebbe quello di dichiarare l'inefficacia del contratto nel caso di violazioni gravi, che possa essere esercitato d'ufficio dal giudice ma solo nell'ambito di un giudizio conseguente sempre ad un'iniziativa processuale di parte: non si può infatti dimenticare che il giudizio in ordine al mantenimento o meno del contratto è sempre conseguente ad un processo che ha portato all'annullamento dell'aggiudicazione e che ha avuto inizio con un ricorso da parte del concorrente illegittimamente escluso dall'aggiudicazione. Inoltre, da un punto di vista sistematico, appare rilevante l'osservazione operata da parte della dottrina161 in ordine

all'articolo 34 c.p.a.. In esso si afferma il principio per cui, in ordine alle questioni di merito, il giudice amministrativo decide “nei limiti della domanda” quando propende per l'accoglimento della stessa, mentre può esercitare poteri decisori officiosi in ordine alle questioni di rito: poiché la dichiarazione d'inefficacia del contratto pubblico è una decisione di merito, sarebbe da escludere in relazione ad essa qualsiasi potere decisorio officioso. Secondo la dottrina di cui si sta dando conto, l'inefficacia potrebbe essere disposta solo in presenza di una istanza di parte: ciò non significa che debba essere presentata una apposita domanda di dichiarazione d'inefficacia. In altre parole, “la

160 VACCARI S., op. cit., pp. 290 e ss.

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domanda non deve specificare il petitum della dichiarazione d'inefficacia del contratto, ma allegare i motivi per l'annullamento dell'aggiudicazione”162. Difatti, la dichiarazione d'inefficacia dovrebbe

essere disposta dal giudice amministrativo in presenza di una istanza di parte il cui accoglimento presupponga il venir meno del contratto, sia essa domanda di subentro o domanda volta ad ottenere il rinnovo della gara: ciò a prescindere dal fatto che ci si trovi nell'ambito di applicazione dell'articolo 121 o 122 c.p.a.163.

Infine, vi è da notare come l'adozione della teoria ora esposta porti a ritenere il regime dettato dal Codice come di natura processuale, e quindi applicabile anche ai processi pendenti al momento dell'entrata in vigore della disciplina164.

162 FOLLIERI E., op. cit., p. 1100.

163 In tal senso VACCARI S., op. cit., par. 4.1. 164 Di tale idea è FOLLIERI E., op. cit., p. 1077.

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CONCLUSIONI

La disciplina relativa alla dichiarazione d'inefficacia del contratto pubblico a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione offre sicuramente soluzioni che già precedentemente si è definito come ibride, difficili da catalogare secondo le categorie della classica dogmatica civilistica. Pare tuttavia alquanto condivisibile l'impostazione dottrinale che, nel conforto anche di alcuni interventi giurisprudenziali di cui si è dato conto nel capitolo, ritiene l'inefficacia un istituto di natura pienamente processuale, che funge da veicolo per declinare gli effetti processuali che la sentenza di annullamento dell'aggiudicazione è in grado di produrre sul contratto che a tale aggiudicazione è seguito. Pur essendo uno strumento giuridico decisamente peculiare fra quelli attribuiti al giudice amministrativo, l'inefficacia è comunque un istituto che si cala nel contesto normativo definito dal Codice del processo amministrativo, ed ai suoi principi generali deve comunque essere ritenuto subordinato: ciò significa che sono da ritenere corrette le letture degli articoli 121 e 122 c.p.a. che escludono un potere officioso del giudice di dichiarare l'inefficacia del contratto e che mirano a valorizzare una interpretazione di queste come volte a garantire per il ricorrente il conseguimento di una tutela piena ed effettiva. Di conseguenza, è plausibilmente corretto affermare che l'inefficacia contemplata dagli articoli 121 e 122 c.p.a. sia un istituto teso alla realizzazione del subentro da parte del ricorrente vittorioso nell'aggiudicazione e nel contratto, o al rinnovo della gara ove necessario.

A ben vedere però, se è vero che il conseguimento del bene della vita da parte del ricorrente costituisce l'esito della sentenza dichiarativa (e costitutiva) dell'inefficacia del contratto, sarebbe limitato affermare che ciò esprima anche la ratio ispiratrice dell'intero impianto normativo declinato dagli articoli 121-124 c.p.a.. Se veramente il

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Legislatore codicistico (e prima di lui il Legislatore delegato dalla legge n. 88 del 2009 e prima ancora il Legislatore comunitario) avesse voluto costruire un istituto capace solo di garantire al ricorrente illegittimamente escluso il sicuro ed effettivo conseguimento del bene della vita oggetto del suo interesse legittimo pretensivo, come ha sostenuto alcuno165, sarebbe stato sufficiente tradurre in termini di

diritto positivo la teoria, di matrice pretoria, della caducazione automatica del contratto al venir meno dell'aggiudicazione, ovvero effettuare una interpretazione estensiva dell'articolo 34, I comma, lettera c), nella parte in cui conferisce al giudice amministrativo il potere di adottare le “misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”. Il motivo per cui si è rifiutato di adottare uno di questi meccanismi di tutela potrebbe essere collegato al fatto che essi sono tutti caratterizzati da un elevato livello di automatismo. Difatti, il nesso automatico che tali meccanismi instaurano fra accoglimento del ricorso avverso l'aggiudicazione e travolgimento del contratto pubblico porta a saltare, nello svolgimento del giudizio, un passaggio che invece è ritenuto dai Legislatori interno e comunitario fondamentale: la considerazione da parte del giudice amministrativo della rilevanza che può avere l'interesse pubblico sotteso al contratto nelle vicende in questione. Vero è che nel sistema attuale anche l'interesse di cui risulta portatore il concorrente illegittimamente escluso ha ormai acquisito i connotati di interesse pubblico, essendo collegato alla tutela della concorrenza. Tuttavia, nel momento in cui il giudice amministrativo si trova, dopo aver annullato l'aggiudicazione, a decidere se mantenere o meno in vita il contratto, c'è un altro interesse pubblico che, ai sensi degli articoli 121 e 122 c.p.a., deve essere tenuto in considerazione: è l'interesse pubblico, inteso qui non come interesse patrimoniale proprio della stazione appaltante, bensì come interesse generale dell'intera comunità, alla

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prosecuzione e all'ultimazione dell'opera, frutto della frammentazione che ha subito l'unità concettuale di interesse pubblico, di cui si è dato conto all'inizio del presente Capitolo. In quest'ottica, il regime delineato dagli articoli 121 e 122 c.p.a. avrebbe la funzione di imporre al giudice amministrativo, prima dell'assunzione della decisione in ordine al mantenimento o meno del contratto, l'effettuazione di una attenta valutazione degli interessi pubblici in gioco e di valutare l'opportunità di decretare il travolgimento del contratto alla luce delle esigenze relative alla celere realizzazione dell'opera per la quale è stata stipulato l'appalto. Nell'articolo 121 c.p.a. la valorizzazione dell'interesse (generale più che) pubblico alla celere realizzazione dell'opera come (anche se non unico) metro di giudizio per decidere la sorte del contratto sarebbe contenuta nella formulazione presente al II comma e costituita da “esigenze imperative connesse ad un interesse generale”: tale espressione, secondo parte della dottrina, sarebbe da intendere come riferita ad un interesse generale alla celere realizzazione dell'opera che “può essere ravvisato in caso di opere pubbliche fruibili da parte dell'intera collettività, per es. una strada, una scuola, un ospedale” o in caso di realizzazione di strutture che, pur essendo proprie della P.A., siano finalizzate all'assolvimento “di pubbliche funzioni rivolte alla collettività”166. In questa logica, si

spiega come mai il giudice amministrativo sia sempre chiamato, pur in presenza di gravi violazioni, a disporre il mantenimento del contratto quando risulti chiaro che il contraente attuale, pur essendo aggiudicatario illegittimo, risulti l'unico capace di rispettare “i residui obblighi contrattuali”. Si comprende inoltre come mai, al fine di considerare sproporzionate le conseguenze dell'eventuale inefficacia del contratto, circostanza che consente di qualificare come esigenze imperative gli interessi economici eventualmente presenti ed escludere quindi la caducazione del contratto, la norma imponga di guardare

166 DE NICTOLIS R., op. cit, p. 2293. In tal senso anche MAGLIETTA S., op. cit.,

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anche all'avvenuta presentazione o meno della domanda di subentro, nei casi in cui non è previsto l'obbligo di rinnovare la gara. Essa costituisce infatti una garanzia contro il rischio che, una volta dichiarato inefficace il contratto, non sia possibile procedere speditamente alla stipula di un nuovo negozio. Nell'articolo 122 c.p.a. la valorizzazione dell'interesse generale alla celere realizzazione dell'opera è formulato in termini più generali, ma è comunque rinvenibile nel passaggio che impone al giudice di considerare, al fine di decidere se dichiarare o meno l'inefficacia del contratto, “lo stato di esecuzione del contratto” e l'effettiva possibilità per il ricorrente di subentrare nell'aggiudicazione e nell'appalto. Dunque, sia l'articolo 121 sia l'articolo 122 c.p.a. imporrebbero al giudice amministrativo di far salvo il contratto ove si riscontrasse un interesse generale alla prosecuzione e ultimazione dell'opera. Nell'articolo 122 c.p.a. il giudice riceve tuttavia una discrezionalità più ampia nella valutazione circa la sussistenza di detto interesse, mentre nel caso di violazioni gravi la valorizzazione di quest'ultimo (e il conseguente mantenimento del contratto) è garantito dalla formulazione più stringente del II comma dell'articolo 121 c.p.a.. Quest'ultima disposizione risulta quindi ancora più proiettata al soddisfacimento dell'esigenza imperativa di consentire la realizzazione dell'opera: in quest'ottica, appare evidente come non sia casuale la previsione dell'articolo 125, I comma, c.p.a. secondo la quale, nelle controversie relative ad infrastrutture strategiche, la disciplina processuale da applicare sia quella fornita dal Titolo V del Codice ma “con esclusione dell'articolo 122”. Ove l'interesse generale alla realizzazione dell'opera si faccia più esigente167,

ossia in relazione alle infrastrutture di carattere strategico, il Legislatore esclude che il giudice amministrativo possa godere di quella discrezionalità decisoria che invece gli è intestata nelle ipotesi

167 In tal senso DE NICTOLIS R., op. cit., p. 2293, in cui si afferma che, in presenza

del venir meno dell'aggiudicazione, “normalmente andranno mantenuti i contratti relativi a infrastrutture strategiche o insediamenti produttivi, per le quali è interesse generale la celere realizzazione delle opere”.

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di violazioni ordinarie, e debba rispettare le prescrizioni più stringenti dell'articolo 121, incluse quelle del II comma.

Il giudice amministrativo riceve quindi il potere di valutare i diversi interessi in gioco e gli elementi fattuali del caso concreto e di decidere se dichiarare o meno l'inefficacia del contratto a seconda della rilevanza o meno dell'interesse generale alla realizzazione dell'opera, ma non solo; ove ritenesse quest'ultimo interesse non prevalente ma comunque presente, può limitare gli effetti che la dichiarazione d'inefficacia del contratto possa produrre sull'esigenza della collettività di ultimare l'opera, limitando l'efficacia della dichiarazione alle prestazioni ancora da eseguire. In conclusione, possiamo affermare che, se il potere di statuire la dichiarazione di inefficacia del contratto produce come effetto il conseguimento del bene della vita da parte del ricorrente, non è questo l'elemento che dovrebbe assurgere a “bussola” che guidi il giudice nell'esercizio di detto potere, bensì l'esigenza di evitare pregiudizi sproporzionati all'interesse pubblico generale alla celere realizzazione dell'opera.

Vi è stato chi, enfatizzando il ruolo che il giudice amministrativo gioca nella ponderazione, bilanciamento e tutela degli interessi pubblici di volta in volta sottesi all'appalto, è arrivato a parlare di una possibile “amministrativizzazione” del giudice, chiamato ad effettuare scelte discrezionali “più propriamente pertinenti all'esercizio del potere amministrativo”168. Secondo questa impostazione, i poteri contemplati

dagli articoli 121 e 122 c.p.a. sarebbero in realtà propri di una giurisdizione di merito. Tale tesi non pare però condivisibile, per due ordini di motivi. Da un punto di vista della interpretazione letterale, l'articolo 134 c.p.a. esclude che fra le materie di giurisdizione di merito

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si annoveri anche quella inerente la dichiarazione d'inefficacia del contratto pubblico, che invece viene ricompresa fra le materie di giurisdizione esclusiva ex articolo 133 c.p.a.. Essendo l'elenco contenuto dall'articolo 134 c.p.a. fornito dei caratteri della tassatività, ciò sarebbe già di per sé idoneo ad escludere in principio qualsiasi possibilità di ritenere anche i poteri ex articoli 121 e 122 c.p.a. propri della giurisdizione di merito. Inoltre, come notato in dottrina169, i poteri

della giurisdizione di merito sono in realtà poteri della P.A. che il giudice amministrativo esercita in via sostitutiva: poiché non c'è norma nell'ordinamento che attribuisca alla P.A. il potere di incidere sull'efficacia del contratto d'appalto, non si vede come il giudice potrebbe sostituirsi alla P.A. nell'esercizio di un potere che non ha.

Al termine del presente lavoro, la conclusione più convincente in ordine ad un corretto inquadramento della disciplina fornita dagli articoli 121 e 122 c.p.a. è che si sia in presenza di una normativa strutturata per valorizzare, nel giudizio relativo alla sorte del contratto, la presenza di interessi pubblici nell'attività di ponderazione che il giudice amministrativo è tenuto a fare in relazione alle esigenze emergenti nel caso concreto ed intaccabili tramite la declaratoria d'inefficacia del contratto. Fra gli interessi pubblici valorizzati, nei quali si annovera adesso anche l'interesse del ricorrente al subentro o al rinnovo della gara, pare emergere, come parametro preponderante nella scelta sulla sorte del contratto, l'interesse generale più che pubblico dell'intera comunità alla celere realizzazione dell'opera: la sua rilevanza può in taluni casi, che dovranno essere individuati dal giudice secondo il suo apprezzamento più (nei casi sub articolo 122 c.p.a.) o meno (nei casi sub articolo 121 c.p.a.) discrezionale, imporre la conservazione del contratto. Ciò accade nelle vicende in cui si sia

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verificata una delle violazioni contemplate dagli articoli 121 e 122 c.p.a., ma non solo. La necessità di tollerare violazioni della disciplina attinente alle diverse fasi (genetica ed esecutiva) dell'appalto in virtù della salvaguardia di un interesse pubblico ritenuto prevalente emerge anche in altri settori, ed è riconosciuta anche dal Legislatore comunitario. Due esempi su tutti. La direttiva 2007/66/CE autorizza gli Stati membri a strutturare discipline per quanto riguarda la tutela giurisdizionale cautelare attivabile nei contenziosi inerenti appalti pubblici che impongano al giudice amministrativo di provvedere tenendo però conto delle conseguenze che i provvedimenti cautelari potrebbero produrre sugli interessi in gioco, in particolare quelli pubblici. La stessa direttiva contempla inoltre l'ipotesi costituita dall'eventualità che si sia dato avvio ad una esecuzione anticipata delle prestazioni contrattuali non solo prima della stipula del relativo contratto pubblico, ma anche prima del decorrere dei termini sospensivi del potere di stipula: la direttiva censura tali circostanze in quanto elusive delle norme relative a detti termini, ma consente di considerarle legittime in presenza di “casi in cui la mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di finanziamenti comunitari” (articolo 11, comma 9 della direttiva). Si nota quindi come anche da un punto di vista sistematico la tesi da ultimo esposta in ordine alla rilevanza preponderante dell'interesse pubblico, nelle sue diverse forme, nelle vicende contemplate dagli articoli 121 e 122 c.p.a. acquisti una certa plausibilità.

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