Come abbiamo avuto modo di vedere, gruppi e movimenti sociali rappresentano un importante canale di partecipazione politica non convenzionale e di tipo non istituzionalizzato, teso soprattutto a portare alla ribalta temi altrimenti probabilmente ignorati, o comunque a riunire collettività aventi gli stessi interessi per portarli all’attenzione del palcoscenico politico per antonomasia, ossia quello dei partiti. Tuttavia, se fino agli anni Cinquanta si riteneva di esaminare movimenti, partiti ed istituzioni su piani separati, oggi gruppi e movimenti non si limitano a fare da mediatori tra il pubblico e la politica, trasmettendo a chi gode dell’autorità decisionale le domande degli elettori, ma partecipano propriamente all’attività politica e concorrono a realizzare le politiche per cui si battono; dunque, non assurgono più alla mera funzione policy-related, ossia di selezione del personale politico, ma partecipano in maniera attiva all’intero ciclo di vita della politica pubblica, dalla formazione dell’agenda alla programmazione , condizionando eventualmente in maniera negativa il processo decisionale tramite, ad esempio, il veto [ Raniolo, 2002, 174], oppure con la protesta tesa alla mobilitazione: la protesta rappresenta un mezzo di contestazione in cui simboli, rituali, pratiche e discorsi sono tesi al raggiungimento di uno scopo preciso, che può essere ad esempio quello di ottenere o prevenire cambiamenti nei poteri istituzionali [ Della Porta, Diani, 1998, 176]. Ecco che, allora, al di fuori delle sedi parlamentari e lontani dalle scadenze elettorali, ai cittadini viene offerta una nuova molteplicità di canali per far sentire la propria voce: petizioni, boicottaggi, sit-in, dimostrazioni, manifestazioni. Non è scorretto perciò dire che la protesta usa canali indiretti per influenzare i decision-makers o, come sostiene Lipsky [ 1965, cit. in Della Porta, Diani, 1998, 167], che essa è una risorsa politica per coloro che non hanno potere politico.
Appare in questo senso di fondamentale importanza l’utilizzo del mezzo di comunicazione come veicolatore e diffusore del messaggio, e forse proprio per la sua corretta trasmissione i movimenti degli ultimi anni sono sembrati preferire Internet: forse perché giudicato più indipendente rispetto ai media mainstream, data la possibilità di fornire direttamente la notizia con il semplice utilizzo di un blog, o di un social network, e perciò ritenuto meno manipolabile se paragonato a televisione e giornali, dove le news possono sempre essere tagliate e filtrate ad hoc, a seconda del grado di partigianeria del mezzo di informazione; oppure perché la Rete offre un'informazione a costo zero, che non richiede una spesa da parte di chi intende informarsi né da parte di chi intende far circolare le informazioni, ed anche questo può essere sintomatico di maggiore indipendenza rispetto ai
34 finanziatori di giornali e televisioni. I movimenti sociali hanno visto nella rete il nuovo media
watchdog della politica e advocacy [Mazzoleni, 2012, 84] della cittadinanza, preferendolo perciò
come strumento per dare il via alle proprie mobilitazioni. Si può dunque affermare che l’evoluzione storica dei gruppi e movimenti abbia portato alla creazione di una sorta di cyber attivismo [Karpf, 2012, 171], dove ci si può tenere aggiornati seguendo la pagina Internet del gruppo da un pc, un tablet o uno smartphone. Il “capostipite” di questo nuovo genere di gruppi è rappresentato dal già citato Move.On che, con 5 milioni di membri, si presenta come il più imponente gruppo di pressione della storia americana, nato in difesa dell’ex presidente Clinton nell’affare Lewinsky ma poi divenuto sempre più importante in ragione di altre battaglie condotte, soprattutto dopo gli interventi americani in Afghanistan e in Iraq, e che ha raggiunto il proprio culmine nel corso delle presidenziali 2008 [ ivi, 173] . Tuttavia nel tempo altri gruppi e movimenti hanno seguito la scia di Move.On, anzi alcuni hanno ottenuto un seguito talmente ampio da passare dall’attivismo via Internet alle sedi istituzionali: è il caso del Partito Pirata Svedese prima e dei Piraten tedeschi poi, nati nel 2006, i quali hanno ottenuto seggi al Parlamento Europeo rispettivamente nel 2009 e nelle ultime elezioni 2014. L’ideologia di base di entrambi i movimenti è una decisa opposizione allo smantellamento dei diritti civili in telefonia e in Internet, alla censura della rete, e la lotta per una riforma dei diritti d’autore e del copyright [www. piratenpartei.de].
Ma non dobbiamo guardare solo all’estero per trovare traccia di questi movimenti, perché il movimento che forse più degli altri, nell’ultimo decennio, ha suscitato clamore sotto diversi aspetti è nato proprio in Italia, ed è naturalmente il Movimento 5 Stelle, nato dal blog ideato all’inizio del 2005 dal comico Beppe Grillo e dal guru delle telecomunicazioni e del marketing Gianroberto Casaleggio, e capace di guadagnare, nell’arco di 5 anni, il 25% dei voti a livello nazionale e il 21% alle ultime elezioni europee.
Controverso come il suo ideatore, alternativo, il Movimento con il suo programma ispirato ai valori postmaterialisti ha raccolto la sfiducia degli italiani verso le istituzioni politiche, aggiungendo una voce nuova, e chiaramente in controtendenza, al panorama politico tradizionale; ha eroso le certezze elettorali dei due schieramenti “classici” imponendosi come “terza via”, e costretto quindi gli altri a ripensare le proprie strategie, o il proprio ordine di alleanze. Ma come è stato possibile, in un contesto di astensionismo e di disaffezione crescente dovuti alla recessione economica e alla delusione verso la classe politica, ottenere un successo talmente vasto, coinvolgere nuovamente tanta gente alla mobilitazione e all’attivismo, sociale più che politico, per un movimento nato semplicemente come blog di un comico da sempre particolarmente dedito alle battaglie ecologiste e ambientali? (si ricordi ad esempio il suo sostegno nel 2003 alla campagna contro l’inquinamento elettromagnetico promossa dai Verdi) [ Biorcio, Natale, 2013, 21] Forse, proprio perché ha
35 rappresentato quell’alternativa che gli italiani pensavano di non avere più, perché ha toccato temi particolarmente a cuore dell’elettorato e che la classe politica aveva, secondo alcuni, trascurato o non affrontato adeguatamente; forse anche perché lo stile comunicativo di Grillo è più vicino a quello dei cittadini rispetto ai discorsi preconfezionati dei leader istituzionali, e lo vedono perciò come “uno di loro”. Per capire a fondo le ragioni di tale successo è necessario ripercorrere le tappe principali del movimento di Grillo, dalla nascita del blog alla trasformazione in Movimento 5 Stelle, passando per il ruolo cruciale svolto da Internet, alle mobilitazioni organizzate in rete, fino al difficile rapporto con i media mainstream.