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Le prime vendite in Sicilia: massoni o carbonari?

I “buoni cugini” in Sicilia: le alterne vicende di una battaglia non solo per l’indipendenza

II. 1. Le prime vendite in Sicilia: massoni o carbonari?

Le origini della carboneria in Sicilia sono state a lungo oggetto di indagine da parte degli storici, ma non tutto è stato ancora chiarito204. Quali erano le ragioni che spingevano i siciliani ad aderire ad un progetto di stato alternativo a quello borbonico, come quello proposto dalla carboneria? Erano gli stessi obiettivi a guidare i lavori delle vendite napoletane (e continentali) e di quelle siciliane? È possibile che l’associazionismo latomico sia stato la «risposta, con la sua gerarchia della virtù e del censo, alla crisi della società di ordini dell’antico regime»205. La carboneria avrebbe

potuto accogliere coloro che, in un momento di transizione della storia siciliana, avrebbero cercato nuovi modelli aggregativi per dare impulso ad una democratizzazione

203 Catechismo di primo grado, conservato presso la Biblioteca Comunale “E. Taranto Rosso”, Fondo

Manoscritti, Corrispondenza e frammenti di E. Taranto Rosso, s. d., s. a.

204 LABATE, Un decennio di carboneria in Sicilia…, vol. I e II, cit.

205 G.GIARRIZZO -V.D’ALESSANDRO, La Sicilia dal Vespro all’Unità, vol. XVI, Storia d’Italia, Utet,

dello Stato206. Avrebbe potuto consentire, peró, anche a quelle forze retrive, quali una parte della nobiltà, di continuare la linea di opposizione ad una modernizzazione dell’isola per conservare gli antichi privilegi.

Evidentemente la scelta del settarismo e della cospirazioni ha avuto anche in Sicilia delle ragioni per affermarsi, con scopi spesso né univoci, né universali, ma certamente legati alla particolare situazione che si era venuta a creare dopo la fine del Regno indipendente che era stata sancita dalle scelte politiche del Congresso di Vienna207. Esisteva un legame forte, innanzitutto, fra la carboneria (e la massoneria) calabrese e quella messinese208.

Per ricostruire gli albori della formazione delle vendite carbonare in Sicilia bisogna partire dalle prime indagini svolte sulla setta a Caltagirone. Vari diplomi, documenti necessari per installare una vendita ed affiliare adepti, erano stati portati dalla Calabria a Caltagirone nel 1815 da un sacerdote, Don Luigi Oddo209. Questi, nato

nel 1779 a Pietraperzia, aveva compiuto la sua formazione settaria in Calabria, dove era rimasto per dieci anni, entrando in contatto con i massoni e i carbonari di Reggio e Stilo, ed, in seguito, con i settari messinesi210.

Sull’installazione di vendite nel distretto di Caltagirone veniva incaricato di indagare il giudice della Gran Corte Civile di Palermo Antonino Franco211, coadiuvato

206 La carboneria era un mezzo per «trovare una garanzia alle loro opinioni ed una protezione de’ loro

interessi che non vengono riconosciuti e credono manomessi nella generale società. In ogni organismo politico in cui nascono sette vi è un vizio radicale, che fa si che una parte della società non veda soddisfatti i suoi bisogni morali e materiali sicché si forma un elemento rivoluzionario contro l’esercizio del potere» in L.BLANCH, Scritti storici, G. Laterza & figli, Bari, 1945, vol. II, p. 112.

207 N. CORTESE, La prima rivoluzione separatista siciliana (1820-21), Libreria Scientifica Editrice,

Napoli, 1951, pp. 10-43.

208 GIARRIZZO -D’ALESSANDRO, La Sicilia dal Vespro…, cit., pp. 675-683.

209 Su padre Oddo si vedano: LABATE, Un decennio di carboneria in Sicilia. Narrazione storica, vol. I,

Albrighi, Segati & co., Roma-Milano, 1904, pp. 4-5; V.DICARA, Élite di periferia. Conflitti locali e

carboneria a Caltagirone tra monarchia amministrativa e guerra indipendentista, Edizioni Lussografica,

Caltanissetta, 2004, pp. 77-166; S. VAIANA, Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento: lotte

politiche e sociali, brigantaggio, clero e massoneria a Barrafrancae dintorni, Bonfirrao Editore,

Barrafranca, 2000, pp. 27-29.

210 Luigi Oddo, secondo un resoconto delle indagini ritrovato da Vito Dicara era affiliato ad una loggia di

Monteleone (Vibo Valentia). DICARA, Élite di periferia…, cit., pp. 77-80.

211 Labate ritrovava una piccola nota biografica sul giudice Franco in V. FARDELLA DI TORREARSA, Memorie su la rivoluzione siciliana del 1848-1849, Palermo, 1887, p. 7: «D. Antonino Franco, (1778-

1850) dopo essere stato in Napoli Ministro per gli Affari di Sicilia, compì la sua carriera da Presidente della suprema Corte di Giustizia qui in Palermo». Lo stesso Franco, tuttavia, sarebbe stato in seguito accusato dalla polizia di appartenere alla vendita palermitana “I figli di Epaminonda” con il grado di

da Fidenzio Majorana, capitano d’armi del Distretto; essi avevano individuato nel 1819 circa cinquanta settari, di cui tre appartenenti ad alti gradi carbonici. Secondo la relazione finale del giudice Franco, i dignitari carbonari avevano raggiunto al massimo il quarto grado nella società segreta212. Michele Amari, grazie alla testimonianza resa a lui dal Majorana, indicava che in un primo momento l’indagine era stata osteggiata ed era stato ordinato di «perseguitare i ladri e i malfattori e lasciasse ire i galantuomini»213. Le testimonianze dei contemporanei, tuttavia, minimizzavano queste prime adesioni. Francesco Paternò Castello, marchese di Raddusa, nel suo “Saggio storico politico”, attribuiva la prima diffusione della carboneria a pochi individui «giovani senza fortuna e viziosi» di Caltagirone214. Più in generale, la setta, era quasi esclusivamente riservata ai militari napoletani di stanza in Sicilia «ma essi nell’isola e precisamente nella capitale le loro unioni mantennero con somma riservatezza, e giammai i cittadini in seno a loro ammisero»215. Anche Michele Amari sosteneva che

«in Sicilia la carboneria avea pochissime radici infino a giugno 1820 e che nella rivoluzione di luglio ebbe poca parte o niuna»216.

Altri tentativi di fare proselitismo si erano avuti ad opera del cavaliere Gaetano Abela, che in seguito sarebbe divenuto uno degli eroi della rivolta del 1821, e di un poeta di Pistoia, Bartolomeo Sestini217, il cui viaggio in Sicilia nel 1817 avrebbe costituito uno spartiacque molto importante nella diffusione della setta sull’isola. In particolare, in molti documenti la dicitura “fu riconosciuto carbonaro dal Sestini” denotava un’affiliazione precoce alla setta, rispetto all’esplosione delle adesioni durante

apprendista, vedi infra, cap. IV. Secondo un documento dell’Archivio di Stato di Napoli, dal titolo “Magistratura di Sicilia”, la carriera di Antonino Franco fu folgorante. Già ministro segretario di Stato per gli affari di Sicilia in Napoli, al momento dell’abolizione di questo con r. d. del 31 ottobre 1837, diveniva Presidente della Corte di Giustizia di Palermo. Si veda ASN, Ministero di Grazia e Giustizia, Affari di

Sicilia, b. n. 6220 bis.

212 LABATE, Un decennio di carboneria…, cit., p. 45.

213 M.AMARI, Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820, pubblicato a cura di A.

CRISANTINO, Accademia nazionale di scienze lettere e arti, Palermo, 2010, p. 401-402.

214 F. PATERNÒ CASTELLO (Marchese di Raddusa), Saggio storico e politico sulla Sicilia dal cominciamento del secolo XIX al 1830, rist. anast., Edizioni della Regione siciliana, Palermo, 1969, pp.

138.

215 PATERNÒ CASTELLO, Saggio storico e politico…, pp. 138. 216 AMARI, Studii su la Sicilia…, cit., p. 402.

217 Bartolomeo Sestini (1792-1822) era il “prototipo del patriota idealista e avventuriero”. Potrebbe essere

stato inviato in Sicilia su mandato di massoni del Granducato di Toscana. Si veda sul punto Dicara, Élite di periferia…, cit., pp. 101-102. Cfr. V.LABATE, Un decennio di carboneria…, cit., pp. 10-19; PATERNÒ

la rivoluzione del 1820-21. Nel 1817, un altro carbonaro proveniente dall’ordone di Salerno che fece proselitismo per la Setta nell’isola, fu il sacerdote Matteo Farro. Egli, considerato un “democratico accesissimo”, fu uno degli organizzatori del tentativo di insurrezione mai realizzato del 1817218.

Tra gli accusati dal giudice Franco, durante le indagini svolte a Caltagirone, vi era, dunque, don Luigi Oddo, che in seguito avrebbe scritto una memoria sul suo viaggio in Sicilia219. In tale scritto, sosteneva di essere arrivato a Messina il 15 dicembre del 1814, malgrado le difficoltà dovute all’occupazione francese nel Regno di Napoli, e di avere avuto l’autorizzazione dalla polizia siciliana per attraversare lo Stretto. La sua “formazione” settaria gli aveva permesso di raccogliere numerose informazioni:

per mezzi leciti non solo ed onesti, ma doverosi (che non fa d’uopo qui esprimere) io fui alla portata di conoscere i dommi, i segni, alcuni distintivi di esse Società, ed ammanire anche molte carte che vi avevano rapporto. Mi feci strada per tali mezzi di passare oltre e conoscerne l’empio sistema e svilupparne lo scopo.[…]Con que’ lumi acquistati volli far prova se vi fossero Carbonari e Massoni in Messina. Bastò frequentare qualche Caffè per iscorgerne moltissimi, ma per lo più forestieri, essendovene Greci, Napolitani etc., a’ quali vedeva far de’ segni ed altro che vi ha rapporto220.

Si evinceva, dunque, che già nel 1814, vi era la presenza di carbonari e massoni221 nella città peloritana. È necessario sottolineare che il chierico aveva denunciato più

218 G.BERTI, I democratici e l’iniziativa meridionale nel Risorgimento, Feltrinelli, Milano, 1962, p. 217,

nota n. 180. Sul punto si veda anche SÓRIGA, Le societá segrete…, cit., pp. 85-89. Sul tentativo di insurrezione del 1817 si è già detto nel cap. I, par. IV.

219 Nel 1920 veniva pubblicato da Francesco Lemmi il testo di una “Istoria dei fatti occorsi in Sicilia da

Dicembre 1814, sino al 1819, che presenta in Genova all’Alta Polizia l’ab. Luigi de Oddo, affine di farla con sicurezza pervenire a mani di S. M. il Re del Regno delle Due Sicilie in Napoli”. L’Istoria scritta dall’abate Luigi Oddo, menzionato già da Valentino Labate, risulta essere stata redatta durante l’esilio genovese dell’autore e rinvenuta da Lemmi presso l’Archivio di Stato di Torino. F.LEMMI, Le società

segrete nella Sicilia nell’autodifesa dell’ab. Luigi Oddo, Estratto dall’Archivio Storico Siciliano, a.

XLIII, Palermo, Tipografia Boccone del Povero, 1920.

220 LEMMI, Le società segrete…, cit., p. 11.

221 Sul punto si veda quanto riportato da Librino che ha riferito di una lettera di Acton al Vicerè del 21

giugno 1792 nella quale si sosteneva che vi erano logge nelle città di Catania e Siracusa, ma che erano stati rinvenuti e bruciati “ordigni” massonici in Messina nel 1790. Nelle riunioni segrete si leggevano libri di Voltaire, Franklyn, Cagliostro, Mirabeau «contenenti massime pericolose alla pubblica tranquillità, delle quali stampe, dirette a Catania, ha egli trattenuto una quantità nelle dogane di Messina». E.LIBRINO, «I liberi muratori in Sicilia dal regno di Carlo III a quello di Francesco I», in Archivio Storico Siciliano, n. s., XLV (1924), pp. 379-405, in particolare p. 388. Sulla massoneria nell’isola, si veda, inoltre, l’elenco di massoni denominato “Catalogo dei liberi muratori di Sicilia”, più volte citato in vari testi, conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano, Appendice Napoleonica, vol. 18 e databile secondo M. P. Azzurri, primo a pubblicarlo, al 1791 o al 1792. Esso include: «1. Principe Dicaramanico, vicerè di Sicilia. 2. D. Francesco Carelli, Segretario del Governo. 3. Il Marchese Dragonetti, Conservatore e Consultore inter. 4.

volte i settari (almeno tre) e se, da un lato ciò potrebbe denotare una conoscenza approfondita del mondo latomico, dall’altro dovrebbe porre degli interrogativi sulla validità della sua testimonianza e sulle opportunità che la scelta della delazione gli prospettava222.

A Messina, il convento di S. Anna era uno dei centri di diffusione della carboneria nella Sicilia orientale, in particolare durante il biennio 1816-1818223. Il superiore, padre

Il Cav. D. Stefano Airoldi, fu presidente della Corte, fin dalla prima fondazione della Loggia in Palermo. 5. Il Presidente Grassellini, Maestro Razionale. 6. D. Paolo Leone, Giudice della Gran Corte, Fu venerabile. 7. Il principe di Pacecco, Governatore delle Armi interino. 8. Il principe di Campofranco fin dalla prima fondazione. 9. Il Duchino di Casoli, figlio del sig. Vicerè. 10. Il Duchino di Sicignano, nipote del sig. Vicerè. 11. Il Cav. Michereux aiutante Reale del Sig. Vicerè. 12. Everardo [Everard], colonnello del reggimento del Re, Fu venerabile. 13. Li due capitani dei Pacchetti Regali: Cianchi e Ratti. 14. Il Marchesino e D. Giuseppe Virtz figli del Tenente Generale di questo nome, e generalmente quasi tutti gli ufficiali della truppa a riserva di pochi vecchi. 15. Il Marchese Corrado Bajada. Fu venerabile. 19. Il Duca della Ferla. Fu venerabile. 20. L’avv. Forcella Nap., Agente del Duca di Monteleone, fu venerabile. 21. Un Chevalier francese. 22. Il principe del Cassaro. 23. Il principe di Valguarnera. 24. D. Corrado Ventimiglia. 25. Principino d’Aragona. 26. Principe di Villadorata. 27. Principe di Niscemi. 28. Il Baroncino Pucci. 29. Primogenito del Marchese Merlo. 30. Baldassarre Palise, console di Venezia. 31. Dr in Medicin D. Giovanmaria Meo. 32. Dr in Medicina Poeta D. Giovanni Meli. 33. D. Federico Trevia. 34. L’abb. Scrofono in cui casa teneasi una Loggia. 35. L’avv. D. Benedetto Meli. 36. Dr. D. Francesco Corvaja. 37. Computista D. Francesco Graffio. 38. Il Barone d’Italia Marsalese. 39. Il Dr. Todero Todero di Trapani. 40. Il Dr. Rossi. 41. D. Gaspare Lione/ Ecclesiastici. 42. Mr Ventimiglia [e Stelletta, Salvatore, princ. Di Belmonte]. Fu Vescovo di Catania [1757-73] ed Inquisitore Generale [1776-1782], fin dalla prima fondazione [della Loggia].43. Mr Airoldi, Giudice della Monarchia. 44.Mr Jeuta C?] Cotamta C?] Abbe di S. Lucia. 45. Mr [Francesco] Vanni Vescovo di Cefalù , eletto per questo merito due anni sono da Caramanico. 46. Mr D. Bernardo Bologna. 47. Un sacerdote…di cognome Ruffo. 48. Un sacerdote…di cognome Lo Cascio, Agente del Principe di Paternò. 49. Il Padre (Giuseppe) Maria Levante, domenicano, Maestro Scozzese, e Tesoriere della Società. 50. Il Padre Maestro Dominici, domenicano. 51. Il Padre Minichelli, Teatino. 52. Il Padre Giuseppe Piazza [Piazzi] Teatino. 53. Il Padre Horzingher [Josef Sterzinger 1746-1821], teatino, Bibliotecario della Real Biblioteca. 54- 55. Li due Fratelli Benedettini Spacches [Spucches?]. 56. Il Padre Monti, scolopio, Lettore di Rettorica nella Università. 57. Il Padre D. Berengario Gravina, Benedettino, attualmente Vicario del Vescovo di Girgenti che briga in Napoli per la vacante chiesa di Mazzara, briga in Roma per un titolo in partibus». In M.P. AZZURRI (P.MARUZZI), «Inizii e sviluppo della libera muratoria moderna in Europa. La libera muratoria in Sicilia», in Lumen Vitae, Latomia Editrice, Roma, VI, (2-3), febbraio-marzo 1959, pp. 44-56. L’elenco è alle pagine 55-56.

222 Vincenzo Cosimini, uno degli accusati da Oddo, scriveva: «Finalmente io sono libero, e sono andate a

vuoto le accuse di un tale Oddo, lettore di Matematiche, e del Padre Polistiva[Polistena], lettore di Belle Lettere in Caltagirone. Questi due infami, che hanno rovinato in questa occasione infinite famiglie di tutta la Sicilia e sacrificato la miglior gioventù della nobiltà siciliana, erano i miei accusatori. Essi però sono stati discordi, ed io gli ho smentiti. Con molta segretezza hanno agito verso di molti e le condanne le ha date il Re e la Giunta di Stato di Napoli. Circa trenta persone sono uscite in libertà: molte altre sono state condannate pubblicamente; altre, tra i quali il cavalier Abele [sic!] la Torre siracusano [sic!], dopo la mezzanotte gli hanno fatti sparire dalle carceri , e non se ne sa più niente.[…] Hanno però a tutti confiscato i beni. La mancanza di questi ha impedito che si scoprano le linee delle sètte, che, al dir de’ due accusatori, si estendevano molto lontano anche al di fuori di questi stati». In LABATE, Un decennio di

carboneria…, vol I, cit., pp. 20-21.

Vincenzo Conti, confidava all’abate Oddo delle informazioni preziose, riguardo alle sette presenti nella città. Ecco la descrizione della conversazione fra i due:

Sapevo io troppo bene che il Conti aveva dato alloggio ed anche cibato a sue spese per molti mesi nel suo Convento certi Giacobini di Reggio di Calabria, emigrati, che poi conobbi pubblicamente (come si diceva in Reggio) per Carbonari e Massoni; non dubitai che quest’uomo non fosse tale. Non m’ingannai. Appena mi vide, cominciò a chiedermi notizie de’ suoi amici; che cosa facessero i Massoni e Carbonari. Dissi: «Nel Regno di Napoli vi sono molti di questi…e qui?», «Oh qui gl’inglesi hanno esercitato queste cose pubblicamente». Per assicurarsi di me mi fece diversi segni, lo finsi di non corrispondervi per timore … Alla fine mi disse «Qui ve ne sono più che in Napoli, e non vi è tanto timore, sebbene però a tempo degl’inglesi fosse più pubblica»224.

Padre Conti, dunque, comunicava all’Oddo che sia la massoneria che la carboneria erano state attive “pubblicamente” durante il decennio inglese, arrivando fino a sostenere che in Sicilia vi fossero più settari che nella parte peninsulare del Regno. L’abate Oddo aveva saputo che non solo a Messina ma anche «in Palermo vi erano carbonari e massoni»225.

Nella sua memoria padre Oddo mentiva affermando di non essere né massone, né carbonaro. Non solo veniva appurato che egli era affiliato ad una loggia massonica di Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) ma, al momento della perquisizione del suo alloggio, venivano rinvenuti numerosi catechismi (da apprendente, maestro, e maestro “simbolico”), e diplomi che attestavano la sua appartenenza alle due sètte226.

La doppia appartenenza, alla carboneria ed alla massoneria, dell’abate Oddo, non sarebbe stato una circostanza isolata, lo stesso Gaetano Abela era membro di entrambe le sette. Potrebbe esserci stata una circolazione di idee e programmi nell’ambiente latomico che traeva le sue origini già nel giacobinismo settecentesco.

Il confine tra il giacobinismo e l’associazionismo latomico era molto vago. Spesso si trattava degli stessi individui, che modificavano il modello organizzativo attraverso il quale esprimere le loro convinzioni. In tutta l’isola, infatti, vi era una «straordinaria continuità di un ceto politico “giacobino”» sin dalla congiura di Francesco Paolo di

224 LEMMI, Le società segrete…, cit., p. 12.

225 LEMMI, Le società segrete…, cit., p. 14. Cfr. RENDA, Risorgimento e classi popolari…, cit., p.34, nota

n. 58.

Blasi del 1795227, rispetto a coloro i quali si facevano portatori di ideali nuovi, che erano confluiti successivamente nel contrasto netto alla politica borbonica, in virtù di aspirazioni democratiche228.

In Sicilia, questa contiguità era data anche dalla diffusione nel Regno della libera muratoria, già dalla metà del Settecento, con logge fondate nelle principali città, con una graduale ascesa della “manifestazione” della loro presenza negli anni sessanta del Settecento229. In quel periodo, la partecipazione alla vita latomica coinvolgeva principalmente i nobili e il clero, o, fra i siciliani residenti nel Regno di Napoli, i militari di carriera. Questi personaggi erano molto spesso legati da vincoli di parentela, e l’adesione alla massoneria diveniva quasi una “tradizione di famiglia”230. In particolar

modo si sosteneva l’idea di una «nobiltà virtuosa (e massonica) al potere»231. Tale idea

si evinceva anche da opere letterarie, quali, ad esempio, “La caristia”, scritta in siciliano sul finire del Settecento, nella quale si proponeva di sostituire una “gerarchia della virtù, della conoscenza e dell’onore” ad una meramente censitaria232. La proposta politica che

veniva fuori dai gruppi elitari non era di un’uguaglianza reale, in senso moderno, ma di una rifondazione di una società gerarchicamente ordinata, governata in parte secondo nuovi principi. Anche queste tematiche, tuttavia, trovavano uno svolgimento differente negli anni successivi. Tante anime e tante idee diverse si sarebbero interrogate su cosa fare della Sicilia.

227 Su Francesco Paolo Di Blasi si veda F.GUARDIONE, «Di un tentativo politico nel 1795 in Palermo e di

Francesco Paolo Di Blasi», in Rivista storica del Risorgimento italiano, 1895 (1), pp. 757-793; G. GIARRIZZO, «Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca», in Rivista storica italiana, LXXIX (1967), pp. 619-622. A. Sindoni, «Giacobinismo napoletano e giacobinismo siciliano: due percorsi storico-politici», in A. A. V. V., Studi in memoria di Cesare Mozzarelli, vol. I, pp. 1001-1031.

228 A.DE FRANCESCO, «La carboneria in Sicilia, notabilato politico o politica notabilare?», G.BERTI-F.

DELLA PERUTA, La nascita della Nazione. La Carboneria intrecci veneti, nazionali e internazionali, Minelliana, Rovigo, 2004, pp. 163-171. Si veda anche F. SCANDONE, Il giacobinismo in Sicilia, Tipografia Boccone del Povero, Palermo, 1921, estratto dalla rivista Archivio Storico Siciliano, 1922(XLIV).

229 In quegli stessi anni si aveva un fiorire di riviste e fogli periodici in Sicilia, in particolare a Messina.

Si veda sul punto P.DE SALVO, «Editori e fogli periodici nella Sicilia fra Sette e Ottocento: il caso di Messina», Brocar. Cuadernos de investigación histórica, Editorial: Universidad de La Rioja Publicado en Logroño (La Rioja), 34 (2010), pp. 33-48. Il saggio in questione si legge oggi in P.DE SALVO, Sicilia

inglesa…, cit., pp. 127-150.

230 La tradizione massonica in Sicilia è stata descritta da R.DI CASTIGLIONE, La Massoneria nelle Due Sicilie e i fratelli meridionali del ‘700. La Sicilia, vol. 5, Gangemi Editore, Roma, 2011, p. 21; p. 45. 231 D’ALESSANDRO GIARRIZZO, La Sicilia dal Vespro…, cit., p. 625-626.