3. RAPPRESENTANZA POLITICA E DIRITTO DI VOTO IN ITALIA
3.4. Le Regioni: Marche, Emilia Romagna e Toscana
La regione Marche ha sperimentato, negli ultimi dieci anni, una dinamica di crescita della popolazione immigrata tra le più alte a livello nazionale (InteMiGra, cit. in, Carpo F., Cortese O., Di Pieri R., Magrin G., 2003). In particolare, gli anni dal 1996 al 1999 fanno registrare un'accelerazione nell'arrivo di stranieri nella regione, con un netto incremento del numero di donne e di minori immigrati, segnale questo di una diffusione dei ricongiungimenti familiari.
La comunità tradizionalmente più presente tra gli stranieri, quella marocchina, è oggi numericamente inferiore a quella formata dai cittadini dell’ex Jugoslavia, giunta nella prima metà degli anni Novanta. Rilevante è anche la componente tunisina (Caritas, 2004).
Alcuni indicatori lasciano supporre che il contesto sociale marchigiano possa agire come polo di attrazione anche per quegli immigrati che non hanno trovato una sistemazione lavorativa o sociale soddisfacente in altre regioni italiane: il particolare tessuto produttivo della regione, caratterizzato dalla presenza capillare della piccola e micro impresa e dell'artigianato, sembra aprire al suo interno spazi particolarmente ricettivi rispetto all'inserimento della manodopera immigrata. Questo è accaduto nonostante i processi di internazionalizzazione in atto e nonostante l'emergere di imprese leader nei loro settori che determinano una "gerarchizzazione" dei distretti economici (InteMiGra, cit. in, Carpo F. O., Cortese, Di Pieri R., Magrin G., 2003).
Nelle Marche è stata realizzata una commistione interessante tra associazionismo degli immigrati ed esperienze istituzionali di Consulte e Consiglieri aggiunti, molto valida sul piano della capacità di mobilitazione politica e della sua efficacia.
L'esperienza marchigiana vede al centro della partecipazione degli stranieri la Federazione Regionale delle Associazioni e delle Comunità straniere degli immigrati, che nasce nel 1993 da un gruppo di quattro, cinque stranieri con esperienza di militanza in partiti e associazioni anche fuori dell'Italia, con l'obiettivo di costituire uno strumento di sostegno alle associazioni di immigrati e di promozione della partecipazione degli immigrati alla vita civile e politica.
Nelle Marche la Federazione delle associazioni di immigrati ha dato impulso all'intero processo di progressiva apertura di spazi istituzionali agli stranieri, sia secondo la formula della Consulta, realizzata a livello regionale, sia nella forma di esperienze di Consiglieri aggiunti Stranieri, realizzate a livello comunale e provinciale. La stessa legge istitutiva della Consulta Regionale, la legge regionale 2/1998, è stata approvata su disegno predisposto dalla Federazione. Le cariche di Presidente e vice-Presidente della Consulta sono riservate ad immigrati, e sono immigrati quattro dei sette membri del Comitato Esecutivo.
Per evitare il prevalere di divisioni interne alla Federazione e al gruppo di rappresentanti stranieri della Consulta, si è affermata la prassi di riunire le varie associazioni di stranieri prima della convocazione della Consulta, in modo da far emergere una posizione unitaria degli stranieri da portare poi all'interno dell’organo. I membri della Consulta sottolineano come la stessa riesca ad esercitare concretamente una forte influenza sull'attività della Giunta Regionale:
" La Consulta regionale per gli immigrati fornisce pareri vincolanti sull'attività della Giunta, perché senza l'approvazione della Consulta, la Giunta non riesce a portare avanti il suo programma annuale. Addirittura si è affermata la prassi secondo cui la Consulta redige il piano annuale regionale degli interventi assieme all'assessore interessato e poi il testo viene esaminato ed approvato dalla Giunta." (David Yepmo Tchieudjouo, 1999, p. 85).
La Federazione ha promosso inoltre le varie esperienze di Consiglieri aggiunti, con una campagna di sensibilizzazione presso i Comuni e le Province della regione Marche già a partire dal 1994. Nel 1995 è stato eletto il primo Consigliere aggiunto ad Ancona; successivamente sono stati eletti Consiglieri aggiunti nei comuni di Senigallia, Fabriano, Iesi, Grottammare, Colle del Tronto, Macerata e nelle province di Ancona e Macerata, con modalità elettive che, dopo varie sperimentazioni, attualmente si avvicinano molto alle elezioni amministrative degli italiani: gli stranieri si presentano a firmare in Comune per formare la lista di candidati; chi ottiene più di 100/150 firme è candidato.
La Giunta comunale di Ancona ha approvato il 22 febbraio 2005 la modifica dell'articolo 15 dello Statuto comunale, che riguarda la variazione per l'estensione del diritto di elettorato attivo e passivo agli stranieri extracomunitari residenti ed
apolidi per l'elezione dei consigli di circoscrizione, e che passa ora all'esame del Consiglio comunale. Si legge in una nota del Comune di Ancona:
"La scelta dell'estensione di diritto di voto ai cittadini stranieri extracomunitari è in linea con l'introduzione del concetto di cittadinanza civile operata dal Parlamento europeo con una risoluzione, circa un anno fa, e su cui diversi Comuni in Europa hanno già avviato iniziative concrete per il riconoscimento del diritto di voto dei cittadini stranieri extracomunitari che vi risiedono". (Da www.meltingpot.org )
La modifica all'articolo 15 dello Statuto comunale recepisce le proposte del Consiglio di Stato in ordine ai criteri di ammissione al diritto di elettorato attivo o passivo di stranieri extracomunitari con apposito regolamento
Anche in Emilia Romagna è stato approvato un nuovo Statuto regionale, il quale all’art. 2 prevede tra gli obiettivi da perseguire:
“il godimento dei diritti sociali degli immigrati, degli stranieri profughi, rifugiati ed apolidi,
assicurando, nell’ambito delle facoltà che le sono costituzionalmente riconosciute, il diritto di voto degli immigrati residenti” .
E all’art. 15:
“riconosce e garantisce a tutti coloro che risiedono in un Comune del territorio regionale i diritti di partecipazione contemplati nel presente titolo, ivi compresi il diritto di voto nei referendum e nelle altre Consultazioni popolari”.
Le iniziative sono quindi numerose, ma a questo fermento in favore del voto si è opposto il Ministero dell’Interno, Direzione generale dei servizi elettorali, con l’emanazione della circolare n. 4 del 22 gennaio 2004, che ha ribadito l’interpretazione restrittiva degli artt. 48 e 51 cost. secondo cui tale diritto sarebbe prerogativa esclusiva dei cittadini italiani, con l’unica deroga ammessa per i cittadini comunitari, anche per quanto riguarda le elezioni dei consigli circoscrizionali o di quartiere. Di fronte a tale presa di posizione la regione Emilia Romagna ha posto al Consiglio di Stato uno specifico quesito nel merito, con particolare riferimento alla modifica dello Statuto del Comune di Forlì (art. 50) che prevede l’ammissione al voto per le sole Circoscrizioni, dei cittadini extracomunitari con due anni di residenza nel Comune. Il parere espresso il 28
luglio 2004 dalla Seconda Sessione del Consiglio di Stato smentisce le indicazioni della circolare del Ministero, sostenendo come “l’attribuzione agli stranieri extracomunitari residenti dell’elettorato attivo e straniero ai fini della costituzione dei consigli circoscrizionali di cui all’art. 17 T.U. n. 267/00, così come disposto dall’art. 50 dello Statuto del Comune di Forlì (…) non trovi ostacolo insormontabile nelle norme e principi costituzionali che disciplinano la materia”.
A livello regionale, va ricordata l’importante iniziativa della Regione Toscana, nel cui nuovo Statuto approvato nel luglio 2004, si legge, ai principi generali, che la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati”. Nel dicembre 2004 con la sentenza num. 372 la Corte Costituzionale approva lo Statuto:
“Se dunque si accolgono le premesse già formulate sul carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, ne deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa. Nel caso in esame, enunciazioni siffatte si rinvengono nei diversi commi –tra cui in particolare quelli censurati- degli artt. 3 e 4 che non comportano né alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato e neppure fondano esercizio di poteri regionali. E' quindi inammissibile, per carenza di lesività, il ricorso governativo avverso le denunciate proposizioni dei predetti articoli, anche tenendo conto delle esplicite richieste in tal senso della difesa regionale.” (Sentenza 372/2004,
punto 2)
Si rivelano infondate le obiezioni del Governo in quanto un parere o un orientamento non possono iscriversi in una violazione dell’art. 48 o della potestà governativa in materia elettorale.
3.5. Modelli di partecipazione.
La ricerca del Cnel del 2000 dal titolo La rappresentanza diffusa, evidenzia una larga area di insoddisfazione, rispetto alle reali capacità delle strutture di rappresentanza degli stranieri esistenti, ad accogliere l’insieme delle istanze provenienti dagli immigrati. Fattori problematici si riscontrano sia nella difficoltà degli immigrati a costituire gruppi di pressione e di interesse in grado di autorappresentarsi, sia nell’inadeguatezza degli operatori preposti ai servizi, sia
associative intervistati dal Cnel in occasione della suddetta ricerca mostrano un diffuso sentimento di scetticismo nei confronti della capacità del quadro legislativo di incidere efficacemente nella realtà concreta e quotidiana delle esperienze di convivenza sociale ed integrazione interculturale. (Cnel, 2000).
La partecipazione politica può realizzarsi attraverso modalità “prevalentemente individuali” o “prevalentemente collettive”: quando si parla di partecipazione prevalentemente collettiva, si vuole intendere quella modalità di azione politica degli immigrati che avviene principalmente attraverso la mobilitazione all'interno del gruppo nazionale o della comunità di appartenenza. Nel caso dell'immigrato che si trova, fin dall'inizio della sua esperienza migratoria, a vivere prevalentemente all'interno di una comunità minoritaria, che si esprime spesso in forme associative, la scelta tra forme di partecipazione individuali o associative non è banale, e può influenzare il suo destino individuale e il destino della sua comunità, anche rispetto ai modi e ai tempi dell'integrazione nella società di accoglienza. Si potrebbe declinare questa opzione di base distinguendo tra due forme fondamentali attraverso cui si estrinseca l'agire politico degli immigrati: la partecipazione individuale e la partecipazione "comunitaria" o "etnica";
Risulta parimenti rilevante il piano su cui si svolge l'attività politica: se su un piano istituzionale, che implica un contatto ed una negoziazione con le istituzioni, essenzialmente le istituzioni locali, e spesso l'assunzione e la gestione di un mandato di rappresentanza, o su un piano informale, attraverso iniziative di mobilitazione e rivendicazione all'interno delle associazioni o attraverso il coinvolgimento in un partito o sindacato. E' innegabile che la distinzione tra un piano formale ed un piano informale dell'azione politica abbia una sua validità intrinseca, che interessa tutti i cittadini di una comunità politica, non solo gli immigrati. Nel caso dei cittadini immigrati, tuttavia, la separazione tra i due livelli di partecipazione assume un rilievo peculiare a causa della notevole difficoltà per essi, come per tutti i soggetti politici "deboli", di superare il livello informale e di giungere ad ottenere uno spazio di azione all'interno del livello istituzionale della prassi politica.
Dall'incrocio tra le due variabili:
b. livello sociale prevalente in cui si attua la partecipazione: istituzionale o informale;
emergono quattro modalità prevalenti di partecipazione politica per i cittadini immigrati. Si tratta solo di quattro tipi ideali: schemi riassuntivi che permettono di classificare e "dare un ordine" ad un fenomeno sociale complesso come la partecipazione politica. Questi "tipi" puri possono convivere simultaneamente all'interno di uno stesso contesto locale di indagine.
a. Modello formale eterodiretto: la partecipazione politica messa in atto dagli immigrati raggiunge il livello istituzionale, interviene in esso anche attraverso organismi o rappresentanti formalmente riconosciuti e si attua, anche nel rapporto con le istituzioni, per la maggior parte attraverso l'azione di singoli immigrati. Quand'anche vengano rese partecipi le associazioni o le comunità di immigrati, risulta comunque determinante l'agire politico dei singoli individui, e le associazioni o le comunità etniche non riescono ad esprimere orientamenti unitari. Questo insieme di circostanze favorisce una posizione di sostanziale adattamento della parte politica immigrata alle decisioni delle istituzioni italiane.
Le caratteristiche tendenziali di questo modello sono: facilità di cooptazione e strumentalizzazione politica dei rappresentanti degli immigrati da parte istituzionale, associazionismo immigrato in gran parte debole e frammentato, preferenza per i rapporti personali tra istituzioni e stranieri. L'esito più frequente di tale modello di partecipazione politica rispecchia la debolezza negoziale dei raggruppamenti etnici e privilegia i percorsi di inclusione politica individuale. Nel complesso, la componente politica degli immigrati appare destinata ad essere assimilata all'interno del gioco politico esistente ed i rappresentanti stranieri, pure riconosciuti a livello formale, non hanno incisività e capacità di efficacia politica.
Probabilmente in questa fase della storia dell'immigrazione in Italia questo è il modello prevalente, e ad esso potrebbero essere ricondotte le esperienze di Consulte per l'immigrazione e di Consiglieri Stranieri Aggiunti descritte nei casi di Torino e di Lecce che, pur intervenendo al livello istituzionale, hanno lasciato nella maggior parte degli immigrati una diffusa percezione di fallimento e di scarsa possibilità di influenzare le scelte fondamentali del processo di decisione politica.
b. Modello formale autodiretto: la partecipazione politica messa in atto dagli
immigrati raggiunge anche in questo caso il livello istituzionale, ma si realizza per la maggior parte attraverso la mediazione delle associazioni o delle comunità di immigrati, che possiedono notevole capacità di negoziazione e sono in grado di creare tra esse una rete di stretta collaborazione e coordinamento, e di costruire ed esprimere posizioni politiche unitarie e condivise. Tale contesto associativo, unito ad una apertura delle istituzioni locali nei confronti delle formazioni sociali minoritarie, sembrerebbe favorire una posizione di forza della parte politica immigrata e una più ampia possibilità per essa di influenzare le decisioni delle istituzioni italiane. Le caratteristiche tendenziali di questo modello sono: perseguimento di autonomia politica, sindacale, religiosa da parte delle comunità di immigrati e delle loro associazioni, compattezza ed efficienza organizzativa di tale associazionismo immigrato a sostegno delle forme istituzionalizzate di partecipazione politica, stabilirsi di un livello reticolare di raccordo tra le diverse associazioni nazionali. Questo livello di integrazione tra le comunità etniche può anche assumere una dimensione formale più o meno riconosciuta (Federazione, Unione, Forum, ecc.) e può contribuire a determinare una situazione di maggiore simmetria negoziale tra immigrati e istituzioni italiane.
Questo modello di partecipazione, che implica un grado elevato di conoscenza dei meccanismi fondamentali della "politica occidentale" da parte degli immigrati, o della loro leaderhip, non è molto diffuso in Italia allo stato attuale, ma sarà probabilmente più presente se e quando aumenterà la competenza politico-amministrativa ed associativa degli immigrati. Il caso della Regione Marche costituisce un esempio molto eloquente di questo modello e del suo più rilevante esito concreto: la costituzione di organismi politici formali capaci di elaborare progetti politici e di proporli, spesso di imporli, alle istituzioni italiane. Semmai, una perplessità legata a questa virtuosa soluzione di partecipazione politica è il rischio di un eccessivo separatismo politico degli immigrati e la conseguente possibile deriva verso uno scenario di difficile comunicabilità politica.
c. Modello associazionismo: la partecipazione politica messa in atto dagli
formale, sebbene sia presente un elemento di forte mobilitazione politica da parte delle associazioni e delle organizzazioni costituite dagli immigrati.
Le caratteristiche tendenziali di questo modello sono: la ricerca dell'autogestione e dell'indipendenza dagli schieramenti politici da parte delle organizzazioni degli immigrati, la connotazione "rivendicativa" e "militante" dell'associazionismo immigrato, che appare tuttavia poco compatto e poco organizzato in rete, e soprattutto privo di contatti con forme di partecipazione istituzionalizzate.
E' il modello tipico di quei contesti locali caratterizzati dalla presenza di comunità consolidate di immigrati e in cui non sono ancora previste, o non sono ancora attuate, modalità di partecipazione formalizzate; in ogni caso, accade spesso che un associazionismo militante e poco istituzionalizzato possa convivere con il modello di partecipazione formale eterodiretto.
d. Modello partito-sindacato: la partecipazione politica posta in essere dagli immigrati non raggiunge il livello istituzionale e si realizza prevalentemente attraverso l'inserimento in partiti e sindacati di singoli immigrati, che possiedono particolari cognizioni e precedenti esperienze politiche e sono spesso avviati a ruoli di funzionariato. Le caratteristiche tendenziali di questo modello sono: l'opzione a favore di una carriera politica individuale da parte dei singoli immigrati, l'assunzione di forme di rappresentanza di natura extraetnica; una perdita di contatto con l'associazionismo etnico, che è in ogni caso fragile e poco coordinato.
L'esito più frequente di questo modello è costituito da ciò che è stato definito "assimilazione ideologica" dell'immigrato, a significare l'assorbimento dell'immigrato come soggetto-oggetto politico al servizio delle istanze e degli interessi tipici che si fronteggiano nell'arena politica italiana.
Questo modello è, per ora, diffuso soprattutto in campo sindacale, ma potrebbe estendersi anche ai partiti.
La combinazione concreta assunta dall'insieme di queste modalità ideali di partecipazione degli immigrati nei contesti politici specifici, ai diversi livelli territoriali, non solo determina le opportunità concrete di inclusione politica degli stranieri, ma incide anche sul particolare tipo di integrazione complessiva
realizzata dalla società italiana rispetto alla componente sociale immigrata, con riferimento alla oscillazione tra i due estremi dell'assimilazione e del pluralismo. Questa questione si inserisce nel dibattito sul multiculturalismo, cui si è già accennato nel trattare dei casi europei e nel primo capitolo, dove si sono brevemente esposte le idee di assimilazionismo e di pluralismo e le contraddizioni insite nel modello multiculturalista.