3. RAPPRESENTANZA POLITICA E DIRITTO DI VOTO IN ITALIA
3.8. Ruolo dell’associazionismo
La messa a punto dello Statuto e del regolamento elettorale della Consulta di Bolzano ha richiesto diversi mesi di lavoro di un’apposita commissione, costituita dal Comune e composta di rappresentanti delle associazioni a carattere nazionale, e non solo, che raggruppano gli stranieri a Bolzano, sindacati, associazioni del terzo settore, Caritas. Con questo approccio, il Comune si è guadagnato l’appoggio dei diretti interessati, che sin dall’’inizio hanno sentito la Consulta come una cosa propria, e non un’iniziativa imposta dall’alto.
A Lecce le organizzazioni di volontariato italiane appaiono impegnate specialmente nella fornitura di servizi di accoglienza e di primo inserimento agli stranieri, l’azione di questi enti e delle associazioni comunitarie non è riuscita a produrre una maggiore partecipazione politica dell’insieme della popolazione immigrata, ma ha contribuito a formare, attraverso l’inserimento nei propri ranghi di mediatori culturali, un'élite in grado di fare da tramite tra cittadini stranieri ed istituzioni. Sono queste persone, provenienti dall’esperienza dello sportello unico per l’immigrazione “Lecce accoglie”, i principali referenti politici che riescono ad inserirsi negli organi di rappresentanza istituiti sul territorio, all’interno dei quali tuttavia spesso si produce un rapporto di tipo personale con i rappresentanti delle istituzioni.
Come si è detto, l’esperienza marchigiana è fortemente segnata dall’azione della Federazione regionale della Associazioni e delle Comunità straniere degli immigrati nata nel 1993. I principi che guidano l'azione del gruppo originario, poi recepiti all'interno della federazione, sono essenzialmente il principio di autonomia della mobilitazione degli stranieri rispetto alla politica italiana, e la valenza fondamentale riconosciuta alla collaborazione e alla costruzione di un rapporto di rete tra le diverse associazioni di immigrati. Le associazioni sono costituite generalmente su base etnica, e quasi tutte sono composte esclusivamente da stranieri. A partire dalle sei associazioni raggruppate all'inizio, oggi si contano 24 associazioni formalmente iscritte alla Federazione, molte delle quali sorte su invito della stessa Federazione attraverso un'opera di pressione politica svolta presso gli esponenti dei gruppi nazionali non ancora organizzati, con lettere, informative, inviti a partecipare alle riunioni, sostegni di varo tipo. A testimonianza della validità di questa esperienza ecco le parole di uno dei membri della federazione:
“Per quello che riguarda il settore della partecipazione politica degli immigrati, in grandi linee nelle Marche tutto passa per la Federazione, attraverso la quale partecipiamo direttamente alle varie Consulte comunali, provinciali e regionali. Di fondamentale importanza è il fatto che non partecipiamo mai alle Consulte senza avere prima Consultato le varie comunità di immigrati; dopo questo momento di concertazione, i rappresentanti inviati si presentano con una posizione da seguire. Allo stesso modo, in attesa della riforma sulla cittadinanza e del diritto al voto, abbiamo sviluppato l’idea del Consigliere aggiunto, che sta funzionando molto bene. Questo istituto rappresenta una via intermedia e tramite questa via nella regione Marche si stanno ottenendo cambiamenti positivi, in particolare in questi ultimi due anni.” (David Yepmo Tchieudjouo, 1999, p. 85).
Secondo la prospettiva dei suoi dirigenti, l'esperienza della Federazione Regionale Marchigiana rappresenta un tentativo riuscito di opporsi alla strumentalizzazione politica nei confronti degli stranieri, spesso attuata da parte dei soggetti politici italiani, nel loro tentativo di gestire le problematiche legate all'immigrazione e le sue ricadute politiche. La prassi di “assorbire” gli stranieri all'interno del gioco politico locale o nazionale è stata di frequente denunciata da parte degli stranieri intervistati nella ricerca della Satchel, anche perché l'immigrazione rappresenta un problema sociale rispetto al quale la proposta e la realizzazione di interventi viene ampiamente sostenuta da fondi, sovvenzioni, stanziamenti di ogni tipo. La Federazione Regionale Marchigiana ha perseguito con forza una strategia di mantenimento della piena indipendenza, sia nei confronti dei sindacati locali, con i quali, dopo aver resistito all'iniziativa della CISL di una sua assimilazione all'interno dell'ANOLF (Associazione Nazionale Oltre le Frontiere) ha di recente siglato una Convenzione con modalità indipendenti per ogni associazione, anche se su un testo unificato, sia nei confronti dei partiti politici, all'interno dei quali viene promossa l'iscrizione e la partecipazione degli stranieri membri, senza indicazioni di schieramento e con l'intento di controllare all'interno di tutti i partiti, compresa la Lega, le principali posizioni di potere nelle aree relative all'immigrazione. Esempio interessante, questo, di utilizzo del contesto politico locale e dei suoi attori per promuovere la causa dei diritti degli immigrati, con grande capacità di arginare o neutralizzare le spinte strumentalizzanti provenienti da esso.
La competenza operativa della Federazione è garantita da un'organizzazione interna flessibile, rinnovabile, che affida al meccanismo elettivo la scelta dei ruoli di responsabilità, riservati esclusivamente a stranieri. La struttura organizzativa della Federazione prevede infatti: un Ufficio di Presidenza, che viene eletto ogni tre anni, composto dal Presidente, dal Segretario e da tre Vicepresidenti; un Direttivo, anch'esso eletto ogni tre anni, composto da tre rappresentanti per ogni associazione; infine l'Assemblea di tutte le associazioni che partecipano alla Federazione.
Il valore dell’esperienza partecipativa mediata dall’associazionismo si esprime bene nella testimonianza che segue:
“[…] in sede di discussione sulla legge regionale, per noi assumeva grande significato la parola «autogestione». Autogestione è una maniera di dire che ci dobbiamo staccare dalle strutture italiane? No, è piuttosto uno strumento minimo per poi garantire, ad un primo livello, almeno una partecipazione democratica all’interno delle varie comunità di immigrati, evitando così anche problemi etnici di religione e altro sul territorio, quindi una pre-partecipazione politica tra gli immigrati e infine la piena partecipazione al fianco degli italiani. È lo strumento che utilizziamo spesso quando nelle Marche si vota per i Consiglieri aggiunti: tramite la Federazione ci riuniamo con tutte le varie comunità, decidiamo, appoggiamo unitariamente un candidato. È quello che ha funzionato fino ad oggi e che ci permette di ricomporre diversità di religione, di etnia, di cultura ed altro.” (David Yepmo Tchieudjouo, 1999, p. 85).
L’esperienza marchigiana è la più interessante e, forse, una delle più efficaci, perché sembra essere davvero coinvolgente, grazie al punto di partenza favorevole: non si tratta di andare sul territorio alla ricerca di soggetti da coinvolgere in un processo partecipativo deciso dal comune. Esiste una forte spinta organizzata già a monte della proposta delle istituzioni.
Uno dei presupposti che viene considerato imprescindibile per un buon funzionamento della pratica dei Consiglieri aggiunti è la creazione di un gruppo di lavoro compatto e coeso di rappresentanti degli immigrati attorno al Consigliere Straniero eletto, per evitare sia la sua strumentalizzazione politica, sia lo svuotamento del suo ruolo in termini di rappresentanza.
Ecco alcune opinioni di una persona che ha partecipato all’esperienza dei Consiglieri Provinciali Aggiunti nella regione Marche:
“I Consiglieri provinciali non esistevano in Italia fino al 1998, quando io e un’altra persona, Insima Udo Omarin, nigeriano, siamo stati eletti nella provincia di Ancona. Siamo stati i primi due Consiglieri provinciali in Italia e la nostra esperienza proviene proprio dal campo dell’associazionismo […]. All’inizio è stato molto duro, perché siamo dovuti entrare in una realtà totalmente nuova. Ho scoperto che la cosa più importante era partecipare alle riunioni delle commissioni. Era semplice andare ad un consiglio provinciale, stare a sentire tutto quello che dicevano, intervenire, dire come la pensavamo, pur non avendo il diritto di voto. Ma molte volte mi sono trovata ad assistere a discussioni su temi che avevano precedenti che non conoscevo. Così ho deciso di seguire i lavori delle commissioni […]. Devo però dire che il nostro interesse non si limita alle tematiche relative all’immigrazione. Come cittadini stranieri viviamo le città, quindi andiamo al consiglio per parlare della realtà di noi immigrati ma anche di una strada che ha subito dei danni, di una scuola che non funziona, del servizio scolastico insufficiente, di edilizia, della discarica; sono tutte cose che ci riguardano direttamente, e quindi partecipiamo ai lavori delle competenti commissioni per poter esprimere il nostro parere su tutti gli aspetti sociali della vita quotidiana. (Leonor De La
Oz, 1999, p.78)
Emerge quindi un giudizio positivo delle numerose esperienze marchigiane. Probabilmente l’iniziale presenza di un gruppo di immigrati organizzati e la disponibilità delle Giunte al dialogo hanno reso ricca per tutti questa sperimentazione. Probabilmente si sono rivelate strategie positive quella di tessere reti complesse, ma radicate nel territorio, e il privilegiare la Consultazione e l’autorganizzazione delle persone.
Vediamo quale, invece, è stato il ruolo dell’associazionismo in una realtà complessa come quella di una grande città come Torino. Una caratteristica peculiare del tessuto sociale torinese è, secondo i ricercatori della Satchel, la sua grande attitudine all'accoglienza degli stranieri: sono molto fitte ed attive sul territorio le associazioni locali del privato sociale che offrono servizi ed assistenza agli immigrati, anche se non tutte sono presenti con continuità ed efficacia. Molto dinamico appare anche lo scenario torinese dell'associazionismo immigrato e sembra emergere che i nuclei di aggregazione associativa per gli stranieri restino essenzialmente le comunità etniche; spesso le associazioni coincidono con la loro base etnica, ma non sempre. L'associazionismo di tipo religioso, soprattutto islamico, svolge un ruolo dominante e trainante: in città sono presenti cinque moschee e centri importanti della Chiesa ortodossa rumena; alcuni leader
musulmani sono considerati interlocutori privilegiati da parte di alcune autorità istituzionali.
Nel complesso, le associazioni degli immigrati a Torino, pur essendo molto vivaci e presenti con diverse iniziative ai vari livelli della società civile locale, vengono descritte dai testimoni privilegiati intervistati dalla ricerca Satchel, qui presa come fonte, come molto fragili e precarie, incapaci di individuare una posizione convergente rispetto ai grandi temi dell'immigrazione, spesso in competizione per ottenere l'attenzione ed il sostegno della pubblica Amministrazione, e soprattutto viene sottolineata la impossibilità di creare una struttura federativa, che risulti dal coordinamento delle singole associazioni in attività e progetti comuni e compartecipati.
Dal punto di vista istituzionale, le esperienze di partecipazione politica degli immigrati realizzate a Torino sembrano piuttosto deludenti, a causa dello scarso rilievo decisionale degli organismi consultivi di rappresentanza. Il caso degli organismi consultivi per immigrati a Torino è particolarmente illuminante in merito alle problematiche emergenti in un contesto di associazionismo straniero frammentato e poco capace di incidere sulle scelte locali, propenso a delegare alle istituzioni la responsabilità di decidere sulle tematiche dell'immigrazione.