2. Secret Son
2.1 Le responsabilità della politica
Paradossalmente, il realismo di Secret Son colloca la società marocchina contemporanea – retta da istituzioni corrotte, che prediligono l‘attuazione di pratiche oppressive e violente nei confronti della popolazione – sul piano, piuttosto, della distopia. Proprio Youssef sarà la principale vittima, oltre che delle ingiustizie e diseguaglianze sociali, della corruzione e degli interessi particolaristici perseguiti da politici e fondamentalisti e, inoltre, delle restrizioni imposte dalla diffusa mentalità patriarcale che lo relega, insieme alla madre, in una posizione di esclusione e marginalità persino rispetto alla stessa comunità di Hay An Najat.
L‘effetto è paradossale solo se non si coglie la denuncia sociale al centro del romanzo, a cominciare dalla piaga della disoccupazione.1 Dopo
aver lasciato l‘università per impegnarsi nel lavoro offertogli dal padre nell‘albergo di sua proprietà, il Grand Hotel, Youssef viene infatti licenziato e obbligato a tornare a Hay An Najat. Qui, senza l‘aiuto di Nabil, vedrà fallire ogni suo tentativo di trovare un impiego, e tutte le domande, «written in his best Arabic penmanship» (220), che consegnerà personalmente in ministeri e altre istituzioni governative verranno accolte dagli impiegati con analoga indifferenza:
1 Nel suo libro sul Marocco, Marvine Howe scrive del grave problema che la
disoccupazione giovanile rappresenta per un elevato numero di marocchini (quattrocentomila nel 2002, secondo l‘associazione nazionale dei disoccupati aventi titolo di studio), indotti a protestare attraverso sit-in di fronte al Parlamento. Marvine Howe,
52
The man took the letter from Youssef, gave it a quick look, and then added it to a pile on his right-hand side. He fixed his eyes upon a distant spot behind Youssef.2 (221)
La denuncia del dramma della disoccupazione, che è in relazione diretta con la provenienza sociale dei personaggi,3 è una denuncia
soprattutto politica: una delle questioni che emerge durante una conversazione tra Nabil Amrani e il giornalista ebreo Farid Benaboud, è l‘assenza di diritti fondamentali quali la libertà di parola. Un articolo pubblicato di recente da Farid su Casablanca Magazine, nel quale il giornalista ironizzava sulle alte paghe dei ministri marocchini, ha provocato un vero e proprio scandalo politico, ed è valso all‘autore una sanzione pecuniaria per oltraggio e diffamazione. Memore dell‘attività di contestazione politica svolta dall‘amico Nabil durante la sua giovinezza, Farid lo prega ora di apporre la sua firma su una petizione indirizzata al governo:
―We‘re trying to show that the elite of this country, our academics, our activists, our business leaders, support freedom of
expression and that they stand with us.‖ (149)
L‘intento di denuncia politica appare ancora più evidente in quei passi che mostrano in Youssef la vittima delle oppressioni da parte della polizia e, alla fine del romanzo, del complotto ordito da Al Hizb – ‗Il Partito‘, gruppo islamico fondamentalista guidato da Hatim Lahlou – in complicità con lo stato marocchino. Mentre frequenta l‘università ad Anfa, Youssef si trova coinvolto nello sciopero studentesco contro il rincaro delle tariffe dei trasporti urbani. La rappresentazione della protesta giovanile, alla quale prendono parte principalmente le due fazioni degli studenti islamici e democratici, serve per denunciare i metodi repressivi messi in atto dallo
2 Il problema della disoccupazione non concerne il solo protagonista. Infatti: «Except for
Maati, everyone Youssef knew, every single one of his friends – Amin, Simo, Mounir, Rachid – was jobless» (210).
53
stato attraverso le forze di polizia; Youssef è il personaggio che detiene la prospettiva sulla scena descritta, e su di lui è puntato l‘obiettivo:
Then the police charged. Youssef saw the baton coming, but even as he tried to get out of its way, it landed on his ribs, knocking the air out of his lungs. He fell to the ground. The pain was so acute that for a few seconds he thought he might faint. A bitter taste invaded his mouth. [...] He saw the police dragging Abdallah away, his head bobbing with every step they took, blood streaming from his mouth. A surge of adrenaline shot through Youssef, numbing the pain in his ribs. He scrambled up, pushed his way out – and ran. (48-9)
La violenza penetra, dunque, anche nei quartieri moderni di Casablanca, che non vengono preservati dalla critica dell‘autrice: nella società marocchina contemporanea rappresentata in Secret Son, bellezza ed evasione esotica hanno lasciato il posto ai drammi dell‘esistenza quotidiana, generati dalla miseria, dalla precoce disillusione giovanile, dalla violenza nei rapporti tra individui della stessa razza, religione, nazionalità.
Sotto accusa è anche l‘ipocrisia dello stato.4 In questo senso, una
audace riflessione è affidata all‘episodio dell‘arresto di Youssef, vittima innocente dell‘intrigo attuato tra stato e fondamentalisti islamici. Il complotto ha come bersaglio il giornalista Farid Benaboud, personaggio che, a causa delle ripetute denunce pubblicate su Casablanca Magazine, è inviso tanto ai rappresentanti del governo quanto ai fondamentalisti del Partito:
He had angered government ministers with his articles about the ―bonuses‖ they received for privatizing state companies; he had engaged in a public battle with Parliament members over their corruption and dereliction; he had persistently criticized
4 Si consideri, a questo riguardo, la reticenza dell‘informazione di massa, soprattutto
televisiva, in merito a questioni che includono l‘opposizione al governo, come nel caso dello sciopero nel quale Youssef si è trovato invischiato; Amin esprime, dinanzi a Youssef, il proprio scetticismo sul ruolo effettivo svolto dai giornali e dalle riviste in una società prevalentemente analfabeta come quella marocchina: «―Hatim goes on about changing things, but who‘s reading his paper? No one. And no one‘s reading Benaboud, either. [...] It‘s what‘s on TV that counts.‖ Amin was right – none of the television channels had shown images of the strikes. It did not matter what anyone wrote» (61).
54
the Party for taking over the social life of Hay An Najat; he had exposed Hatim‘s murky finances. He had written the truth, or at least what he thought was the truth. Now he would pay for it with his life. (283)
A Youssef e all‘amico Amin è affidata l‘esecuzione materiale dell‘omicidio, al bar del Grand Hotel di Nabil Amrani. Il protagonista, che non prende parte all‘attentato e che tenta, anzi, di ostacolarlo («he knew he could not let Benaboud die, any more than he could let Amin kill», 287), viene, tuttavia, condotto dalla polizia in commissariato, dove comprenderà chiaramente di essere stato:
a small actor in a big production directed by the state. What terrified him was that he had not even been aware that he had played a role in the assassination of Farid Benaboud. [...] the part that had been reserved for him by the state was that of the failed terrorist, the one who gets caught, the one who makes the police look good because his arrest proves that the state tried to protect the inconvenient journalist. (290)
È con la scena dell‘arresto che si conclude il romanzo, lasciando che sia il personaggio a penetrare il senso degli avvenimenti che lo hanno coinvolto suo malgrado. La sensazione che tale conclusione lascia nel lettore non potrebbe essere più amara, per l‘ingiusto destino riservato a Youssef e, indirettamente, alla madre, peraltro vittima delle restrizioni imposte dalla società marocchina maschilista e patriarcale.
La rappresentazione è spietata, e va ben oltre l‘esposizione di una piaga sociale come la disoccupazione. Lo stato è un attore, o meglio un regista, capace di creare e disfare i destini dei suoi cittadini, e non soltanto dei più poveri tra essi: in questo si sintetizza, in primo luogo, il carattere distopico della società marocchina descritta nel romanzo, nella quale è difficile intravedere quell‘oggetto di tensione nostalgica che la madrepatria sembra rappresentare in altri scrittori della diaspora, tra i quali Anouar Majid. A differenza dei personaggi di Si Yussef, costruiti «in such a way as to describe postcolonial diasporic subjects longing for incessant homeward
55
journeys»,5 il protagonista di Secret Son, all‘inizio della sua permanenza ad
Anfa, assume, nei riguardi del quartiere materno, un atteggiamento disincantato e del tutto privo di nostalgia:
Slowly, the urge to go back home began to dull. He did not miss
the smell of garbage or the sight of cows grazing on trash. Nor did he
miss collecting water at the fountain. What he did miss: having a father. (115)
Laddove il romanzo di Majid recupera «the idealized past of Tangier»,6 il tempo di Secret Son è, invece, il presente con tutte le sue
brutture; il passato fa il suo ingresso nel romanzo solo attraverso i ricordi personali, quasi sempre inespressi, di personaggi quali Rachida e Nabil, la madre e il padre di Youssef: il recupero delle loro rispettive esperienze esistenziali, specialmente nel caso di Nabil, non è fine a se stesso, ma è funzionale a porre in rilievo la mancata realizzazione, nella società marocchina attuale, delle aspirazioni e degli ideali, incarnati dalla giovane generazione di Nabil Amrani, che avevano animato la nazione marocchina indipendente nei primi decenni della sua esistenza. Secret Son è, appunto, il romanzo della disillusione, in cui i progetti, i sogni, i desideri di quasi tutti i personaggi sono destinati a restare incompiuti:
[Youssef] always found it hard to go home after a movie. He
needed time to adjust to real life, where heroes and villains could not
be told apart by their looks or their accents, where women did not give themselves over on the first date, where there were no last-minute reversals of fortune. (7-8)