3. Narrare l’identità
3.1 La questione della lingua
3.1.2 Perché l’inglese d’America?
La principale questione linguistica che pone Lalami concerne le ragioni non tanto della scelta di scrivere in inglese anziché in arabo, quanto del suo rifiuto, a un certo punto della sua attività letteraria, di impiegare il francese come veicolo di espressione narrativa.
A proposito del rapporto con la lingua araba madre, è stata lei stessa ad affermare che:
while I can read Arabic and write it competently enough, I do not master it to the level where I could write a work of fiction.21
Tale dichiarazione non è affatto paradossale, se si tiene presente la situazione linguistica che vige nell‘insieme dei paesi arabi, a lungo assimilata dai linguisti al fenomeno di diglossia che caratterizza esperienze come quelle svizzera e greca,22 in cui si registra la coesistenza di diverse varietà
linguistiche, ciascuna riservata a una funzione specifica. Nel modello arabo
20 L‘esportazione dell‘inglese è uno degli aspetti dell‘esercizio dell‘egemonia internazionale
americana nel contesto del neo-imperialismo occidentale. Se, dunque, in Marocco, la lingua francese continua a evocare le relazioni di potere instaurate negli anni del protettorato, la lingua inglese, specialmente nella sua variante d‘oltreoceano, stabilisce nuove dipendenze da un‘altra cultura metropolitana, rappresentata non più dalla politica coloniale di Parigi, ma dall‘economia capitalista di New York.
21 A Conversation with Laila Lalami, cit.
22 Il linguista statunitense Charles A. Ferguson ha applicato l‘etichetta di ‗diglossia‘ alla
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convivono, in particolare, due varietà principali: una scritta ‗superiore‘, l‘arabo classico o al-lughah ‟l-„arabiyyah ‟l-fushà (la lingua araba eloquentissima),23 e una ‗inferiore‘ o dialettale, designata dai due termini
arabi „ammiyyah (in uso principalmente nell‘Oriente arabo, o Mashreq) e darija (prevalente nel Maghreb, o Occidente). Va detto, in realtà, che tra i suddetti estremi linguistici si colloca una serie di varietà intermedie che dipendono, da un lato, dalla relativa riduzione dell‘analfabetismo grazie alla diffusione della cultura di massa e, dall‘altro, dalla sostanziale disomogeneità dei livelli di istruzione dei locutori. Il primo dei suddetti fattori ha permesso la codificazione, a partire dal XIX secolo, della varietà detta ‗arabo medio‘ o ‗arabo moderno standard‘, la lingua della letteratura moderna e contemporanea e della stampa di informazione: si tratta di una lingua grammaticalmente simile alla fushà, ma contraddistinta dall‘introduzione di prestiti e neologismi e da un‘influenza più o meno marcata della sintassi delle lingue europee.24 Dalla disomogeneità del grado di scolarizzazione dei
parlanti deriva, invece, una stratificazione dei livelli dialettali che tendono tanto più verso la varietà standard quanto più elevato è il grado della cultura del locutore.25 Il carattere estremamente eterogeneo di tale situazione
linguistica, ulteriormente complicata dalla frequente interferenza di altri codici linguistici distinti dall‘arabo (le lingue coloniali e quelle minoritarie, come il berbero in Marocco), rende riduttivo parlare di semplice diglossia,
23 Si tratta della lingua impiegata inizialmente dagli antichi poeti arabi vissuti tra il VI e il
VII secolo, cioè a ridosso dell‘avvento dell‘Islàm, nei loro componimenti, e confluita nelle sure (capitoli) che compongono il Corano. La lingua della poesia preislamica e del testo sacro dell‘Islàm ha rappresentato il modello sul quale i grammatici arabi hanno definito le regole e le caratteristiche linguistiche dell‘arabo, anche attuale. A differenza dei dialetti, quindi, soggetti alla naturale evoluzione delle lingue, la lingua araba fushà ha mantenuto sostanzialmente intatta la sua struttura sintattica e lessicale.
24 Cfr. Giuliano Mion, La lingua araba, Carocci, Roma 2007, pp. 39-40.
25 Le varietà dialettali sono legate a fattori quali l‘origine etnica, l‘appartenenza di classe e
persino l‘identità di genere. A proposito della situazione marocchina, Jeffrey Heath ha studiato, in particolare, le divergenze linguistiche su base etnica nel saggio Autour des
réseaux dialectaux dans l‟arabe des Juifs et des Musulman marocains, in Issachar Ben-Ami (ed.), Recherches sur la culture des Juifs d‟Afrique du Nord, Communauté Israélite Nord-Africaine,
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mentre alcuni studiosi ritengono più appropriati termini quali ‗triglossia‘ e persino ‗poliglossia‘.26 Inoltre, a differenza di quanto avviene, ad esempio, in
Italia, dove, in contesti sociali medi, si fa un uso sporadico del dialetto regionale, nei paesi arabofoni la varietà dialettale costituisce il veicolo normale della comunicazione orale in quasi tutti i contesti socioculturali, laddove le varietà cosiddette ‗superiori‘ sono riservate a un uso unicamente scritto. Muhammad Kamil Hasan ha ben espresso le tensioni che soggiacciono all‘atteggiamento degli arabi verso la loro lingua quando ha affermato:
Parliamo e pensiamo in una lingua che non scriviamo, e la lingua che scriviamo, tranne in rare occasioni, non è quella che parliamo e in cui pensiamo. Comprendiamo decentemente la lingua letteraria «elevata», e non incontriamo ostacoli se non quando vogliamo esprimerci in essa o leggerla correttamente.27
Si chiarisce, dunque, perché una letterata che ha conseguito il Dottorato di ricerca in Studi Linguistici non si consideri sufficientemente fluente in arabo – pur essendo quest‘ultima la sua prima lingua («My first language is Arabic and my second language is French»)28 – da sceglierlo
come veicolo di espressione artistica: poiché, come ha affermato Nadia Anghelescu, «non esiste alcun parlante per il quale l‘arabo letterario sia lingua materna»,29 l‘uso creativo dell‘arabo moderno rimane perlopiù
limitato alla sfera scolastica. Per i membri delle élite sociali si aggiunge un problema ulteriore, giacché essi ricevono, di solito, la propria istruzione nella lingua coloniale, presso istituzioni straniere (laiche o religiose) fondate e patrocinate dai governi dei paesi colonizzatori. Ora, i condizionamenti generati dalla scelta dell‘istituto scolastico sono decisivi «pour l‘acquisition
26 Giuliano Mion, La lingua araba, cit., p. 130. Sulle varietà linguistiche in uso nel mondo
arabo, con particolare riferimento all‘area maghrebina, cfr., ad esempio, Moha Ennaji,
Aspects of Multilingualism, cit.
27 Citato in Nadia Anghelescu, Linguaggio e cultura nella civiltà araba, trad. it. di Michele
Vallaro, Silvio Zamorani editore, Torino 1993, pp. 138-9.
28 A Conversation with Laila Lalami, cit.
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du langage, la formation de l‘esprit et l‘initiation à la culture».30 È delle
letture in francese che Lalami ha nutrito la propria immaginazione negli anni della sua giovinezza,31 accostandosi a fumetti francesi quali Astérix et
Obelix e Boule et Bill,32 o tradotti in francese dall‘inglese, come Spiderman,33 e
leggendo, in lingua originale, classici della letteratura francese non necessariamente inseriti nei programmi curriculari – Jules Verne, Alexandre Dumas, ma anche Georges Bayard e la Comtesse de Ségur:
After reading The Three Musketeers and The Count of Monte-Cristo, we [my best friend Nawal and I] used our bedsheets to make capes, pretended our plastic rulers were swords, and faced off while screaming, ―En garde!‖34
Oggi, Lalami appare cosciente delle implicazioni coloniali di quella formazione giovanile, al punto da asserire, non senza disappunto, che «Like my country, my imagination had been colonized».35 Ecco perché quella di
scrivere in inglese anziché in francese si configura come una scelta postcoloniale consapevole, specie se si considerano le circostanze in cui l‘autrice vi è pervenuta: la lingua inglese ha costituito, infatti, il tramite per mezzo del quale Lalami si è accostata, durante i corsi frequentati alla School of Oriental and African Studies di Londra,36 alla teoria postcoloniale di Said
e alle sue riflessioni sul tema dell‘esilio.37 Gli studi di Linguistica alla
University College le hanno fornito, inoltre, strumenti per indagare con maggiore consapevolezza la peculiare situazione linguistica marocchina,
30 Tali le considerazioni avanzate, nel 1965, da Abdallah Mazouni nell‘intervista allo
scrittore algerino Mouloud Mammeri, riportata in Abdallah Mazouni, Culture et enseignement
en Algérie et au Maghreb, François Maspero, Paris 1969, p. 222.
31 I costi elevati delle scuole francesi hanno obbligato la scrittrice a proseguire la propria
formazione, nella lingua madre, in istituti statali della capitale marocchina.
32 Laila Lalami, Driss Chraïbi Turns 80, <http://lailalalami.com/2006/driss-chrabi-turns-80/> 33 A Conversation with Laila Lalami, cit.
34 Laila Lalami, So to Speak, cit. 35 Ibidem.
36 L‘autrice ha ottenuto una borsa di studio dal British Council nel 1986. Ibidem.
37 Presentate in Reflections on Exile and Other Literary and Cultural Essays (2000) e nel memoir
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caratterizzata dal fenomeno del code-switching principalmente dall‘arabo marocchino al francese. Lalami ha infine avuto modo di approfondire la posizione del francese in Marocco come «a means to include or exclude people»38 nel corso del suo Dottorato in Linguistica.
È proprio a seguito del trasferimento negli Stati Uniti che, dopo essersi cimentata, giovanissima, nella scrittura di racconti e poesie in francese, è approdata all‘uso dell‘inglese d‘America. La percezione delle connotazioni coloniali e sociolinguistiche del francese ha generato in lei un‘inibizione della scrittura, in quanto: «If I could not write in Arabic, perhaps I should not be writing at all».39 Al contrario, la full immersion in una
lingua nuova:
gave me a new vantage point from which to observe the bilingualism with which I had grown up. It struck me that French and Arabic did not have a harmonious relationship in Morocco; they were always in competition and in conflict for space.40
Adottato sin dal 1996, l‘inglese sembra averle offerto un rinnovato approccio alla scrittura narrativa, creando «a kind of salutary distance»41
rispetto agli oggetti marocchini delle sue rappresentazioni letterarie.42