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Le ripercussioni sulla popolazione femminile

Le conseguenze della politica pronatalista

3.1. Le ripercussioni sulla popolazione femminile

L'imposizione di una politica demografica così aggressiva stimolò un cambiamento psicologico radicale condiviso dall'intera popolazione femminile: la percezione della pubertà, del rapporto con l'altro sesso e della maternità fu viziata dall'impossibilità di vivere liberamente la propria sessualità, acquisendo connotazioni negative tramandate alle generazioni successive. Compiendo un'analisi delle testimonianze raccolte da Gail Kligman e Adriana Băban è possibile rintracciare una serie di problematiche comuni a tutte coloro che hanno vissuto nella Romania di Ceaușescu.

Le figlie femmine erano sottoposte fin da bambine a una rigida educazione familiare che affondava le proprie radici in un retaggio culturale marcatamente maschilista, alimentato dalla concezione puritana del rapporto tra uomo e donna proprio della morale socialista. Al momento del passaggio alla pubertà, la maggior parte delle bambine viveva come un evento imbarazzante la comparsa del primo ciclo mestruale, poiché era lasciata all'oscuro dalle madri dei naturali cambiamenti che il proprio corpo avrebbe subito. Una volta venute a conoscenza della propria maturità sessuale, le ragazze continuavano spesso a vivere con inadeguatezza e senso di colpa i mutamenti del proprio corpo.

L'assenza di qualsiasi forma di dialogo con le famiglie a proposito della sessualità era motivata dalla preoccupazione dei genitori di evitare alle ragazze il rischio di una gravidanza indesiderata (che avrebbe portato con sé lo stigma sociale dell'essere considerate ragazze “facili”). Rimanere all'oscuro di questo argomento o sentirne parlare solo in termini dispregiativi era fonte di ansia e stress per le giovani, ammonite continuamente sulla pericolosità di provare attrazione per gli uomini. L'indecenza delle relazioni prematrimoniali,

l'importanza della reputazione personale e la conservazione della verginità fino al matrimonio come condizione tangibile di onorabilità erano gli unici insegnamenti che i genitori fornivano alle figlie, come testimoniano alcune donne: “mia madre è una cardiologa. Anche se si dimostrò una buona amica per noi (intendo per me e mia sorella), non poté accettare l'idea che eravamo cresciute e iniziavamo a essere interessate ai ragazzi. Considerava tali preoccupazioni volgari e incompatibili con la nostra educazione, che includeva lezioni private di francese e tedesco, piano e balletto. Si rifiutò di discutere di sesso finché non dovette affrontare la mia gravidanza quand'ero ancora una studentessa non sposata.”(LV); “quando uscivo per una passeggiata con un ragazzo e tardavo più di mezz'ora a rientrare, o quando mi depilavo le gambe, mia madre mi minacciava di portarmi dal ginecologo. Era come quando da bambina mi minacciava con lo spaventapasseri; una volta cresciuta, rimpiazzò lo spaventapasseri con la visita ginecologica.”(LVI)

L'attitudine di forte repressione presente in molte case spingeva di fatto le ragazze a impegnarsi affrettatamente in relazioni matrimoniali, nella speranza di sfuggire all'atmosfera soffocante delle famiglie d'origine e di poter finalmente vivere liberamente la propria vita amorosa. Molte donne attribuiscono parte della colpa nel fallimento della propria vita matrimoniale alle madri, responsabili di non aver provveduto a fornire un'educazione sentimentale adeguata alle figlie: “mia madre era interessata solamente alla mia educazione e al procurarmi il cibo e i vestiti necessari, come se tutta la mia vita fosse ridotta solo a queste cose!”; “mia madre non mi è mai stata amica. Sono sicura che, se mi avesse preparato alla vita, la mia vita familiare sarebbe potuta essere assai differente”; “mia madre avrebbe dovuto insegnarmi che essere una donna voleva dire qualcosa di più di essere una buona casalinga”(LVII)

Una volta sposate, le ragazze subivano dei veri e propri choc emotivi dovuti alla scoperta della sessualità: alle volte completamente ignare dell'aspetto di un corpo maschile, le giovani donne si trovavano a dover fare tutto ciò che era loro stato severamente vietato prima del matrimonio. Era necessario molto tempo prima di

riuscire a vivere normalmente l'intimità con il proprio partner, anche se l'imbarazzo nel mostrarsi nude e nel provare piacere durante l'atto sessuale erano sensazioni dure a morire: “fino al matrimonio non eravamo andati oltre il bacio. Ebbi bisogno di molto tempo per abituarmi a mio marito; anche se lo amavo, non provavo piacere nel fare l'amore, e lo facevo solo perché ero forzata dalle circostanze. Mio marito mi rimproverava di sembrare un sasso.”(LVIII); “all'inizio avevamo paura di toccarci l'un l'altra, non sapevamo cosa fare. Avevo capito che dovesse essere qualcosa di speciale, solo che non lo conoscevo. Mi sentivo a disagio, ma non potevo chiedere (consiglio) a nessuno.”(LVIX); “non potei semplicemente accettare che mio marito mi toccasse il seno per molti mesi dopo il matrimonio.”(LX); “anche se l'amavo, lo toccavo a malapena ed ero imbarazzata ogni volta che lo facevo. Passò un lungo periodo prima che accettassi di togliermi i vestiti davanti a lui con la luce accesa. Mi piaceva essere accarezzata e accarezzarlo, ma per nei primi anni di matrimonio semplicemente non mi trovavo a mio agio fisicamente nel fare l'amore. Il mio primo orgasmo mi spaventò: mi ritrovai a tremare dalla testa ai piedi e mi chiesi da dove venisse e come avevo fatto a provare una tale sensazione. Mi vergognavo a parlare dei miei sentimenti con mio marito, era come se avessi paura che ridesse di me.”(LXI) Alcune donne ritenevano il sesso un puro obbligo al quale dover sottostare per soddisfare il marito e non spingerlo a tradirle; questa concezione della vita intima di coppia era dovuta in parte all'educazione ricevuta e in parte alla frustrazione di non essere appagante sessualmente: “la sessualità non è importante per me. Credo che le donne non abbiano lo stesso tipo di sessualità che ha un uomo, ma si devono adattare ai bisogni degli uomini, devono gestire questa questione familiare”(LXII); “io non sono interessata a fare l'amore, fare l'amore significa avere bambini. Mio marito era insoddisfatto con me e mi mandò da un dottore: ma come potevo io andare dal dottore per qualcosa di simile? Io di solito ci vado quando ho problemi seri.”(LXIII); “era abbastanza stressante fare l'amore. A volte ti lasciavi trasportare, ma, il secondo successivo, ritornava il solito pensiero, cosa fare se fossi rimasta incinta? Mio marito mi accusava rimproverandomi che lo

stressavo, perché di solito durante il rapporto gli dicevo “stai attento, stai attento!” ”(LXIV).

La carenza di metodi contraccettivi affidabili rendeva ogni rapporto sessuale motivo di ansia per le donne, che non riuscivano così a vivere serenamente la propria intimità col partner: “mi vergognavo a parlare di metodi contraccettivi con mio marito all'inizio del nostro matrimonio, credevo che lui avrebbe preso qualche tipo di precauzione. Nutrivo la speranza che lui avesse più esperienza di me, ma non ho mai osato nemmeno chiedergli niente in proposito”(LXV); “abbiamo fatto l'amore per 20 anni esclusivamente con il coito interrotto. Questo limitava la nostra vita sessuale e non potevamo dare spazio liberamente al piacere. Fare l'amore raramente e con il coito interrotto non ci faceva trarre nessun piacere dalla nostra vita sessuale.”(LXVI); “fare sesso con il coito interrotto funzionava sempre così: quando stavo per provare piacere, lui eiaculava e io rimanevo frustrata. Non ho mai saputo se c'era qualcosa che non andasse in me o in mio marito, il motivo per cui avessi un orgasmo così raramente!”(LXVII).

Il fardello emotivo legato a una gravidanza indesiderata era sopportato soprattutto dalle mogli: se spesso i mariti erano moralmente vicini alle proprie compagne, non mancavano casi nei quali alle donne veniva attribuita la colpa dell'essere rimaste incinte e la responsabilità di risolvere da sole questo problema. La paura e la disperazione, connessi alla ricerca di aiuto e al sottoporsi fisicamente a pratiche potenzialmente mortali per interrompere le gravidanze, erano sensazioni comuni a tutte le intervistate: “pensai di suicidarmi quando scoprii di essere di nuovo incinta. Mi domando come ho fatto a non impazzire con tutti i problemi che ho avuto con ognuna delle mie gravidanze indesiderate, e penso a questo ingiusto destino che dona così tanto dolore alle donne.”(LXVIII); “quando rimasi di nuovo incinta, mi sentii sopraffare dalla disperazione. Non volevo altro dalla mia vita che essere lasciata in pace a crescere semplicemente i due bambini che avevo già”(LXIX); “mi sentivo punita da Dio! Perché di nuovo a me? Tutte quelle gravidanze mi rendevano molto nervosa, e perdevo la pazienza

con i miei bambini”(LXX); “pensai di aprirmi la pancia con un coltello e sbarazzarmi così del bambino”(LXXI). Molte donne, profondamente segnate dalle sofferenze fisiche e psichiche dovute a plurimi aborti, vivevano stati di forte agitazione al momento di riprendere la vita sessuale col partner, arrivando a somatizzare fisicamente il disagio emotivo: “bastava che vedessi solamente mio marito apparire nella camera da letto per sentirmi già di nuovo incinta”(LXXII); “quando mio marito mi chiese di fare l'amore con lui, iniziai a sentire dolore allo stomaco a causa della paura”(LXXIII); “quando sono rimasta nuovamente incinta, ho guardato a mio marito come a un nemico. Ho odiato tutto il genere maschile e ho sperato che anche loro passassero attraverso la stessa odissea di noi donne; ero convinta che dopo sarebbe diventati più empatici nei casi in cui le loro mogli si rifiutavano di fare sesso.”(LXXIV). Dopo aver vissuto gran parte della vita nella paura di rimanere incinta involontariamente, l'arrivo della menopausa era accolta da ogni donna come un lieto evento, poiché da quel momento ogni timore legato a possibili gravidanze svaniva.

Mentre l'aborto illegale e tutto ciò che ne seguiva fu un'esperienza vissuta dalla maggior parte della popolazione femminile, alcune madri provarono anche la spaventosa condizione di non sapere fino al momento del parto se avrebbero dato alla luce un bambino malformato: “chiesi a una mia cugina di aiutarmi, perché lei aveva avuto più di 10 aborti usando una qualche medicina araba che aveva comprato da alcuni marinai a Constanța. Ne procurò un po' per me – non so che pillole fossero. Dovevo prendere 9 pillole al giorno per un paio di giorni, ma si rivelarono inefficaci con me, quindi decisi di non abortire e tenere il bambino. Fui veramente terrorizzata per nove mesi, avevo paura di dare alla luce un bambino malformato. […] Quando nacque, chiesi al dottore tre volte se il mio bambino avesse tutto ciò che doveva avere. In realtà, non mi calmai finché il bimbo non iniziò a camminare e parlare e fui convinta che il suo intelletto non era stato intaccato”(LXXV); “credo di aver provato di tutto, mi sono fatta il sondaggio...ho bevuto anche un...mezzo chilo di caffè con mezzo chilo di vino, bolliti perché si riducessero della metà. Ho fatto tentativi finché...beh, finché ha

cominciato a muoversi. Mi facevo sondaggi – nulla! Lui faceva gli affari propri, cresceva.

Piangevo, credo che non ci fosse un giorno che Dio metteva in terra nel quale non piangessi – piangevo anche di paura per lui, Signore Santo, piangevo perché gli facevo...

Così gliel'ho detto, e allora Vasilică [il marito dell'informatrice – n.a.] è andato dalla signora C.: “Signora C., ci pensa che nascerà handicappato, vi immaginate come nascerà, ci pensa a vedermi crescere un handicappato?”. Il bambino si stava già muovendo, e io, dalla rabbia, dal dispiacere, non avevo nemmeno realizzato che si era già mosso. Vi rendete conto, non avevo nemmeno detto a nessuno che ero incinta, perché non sapevo se farlo, non lo farlo più...e la signora C. ha risposto: “Vasilică, non so cosa fare per te. Deve tenerlo là, com'è è, senza una mano, senza testa, senza altro...E al settimo mese, tieni la macchina pronta, al settimo mese arrivo io e le provoco un aborto, ci penso io a come provocarlo, e via”...E così, Vasilică è partito come delegato – nemmeno ora ne vuole parlare con me...quindi, è partito per due settimane, non è tornato per due settimane...Aspettavo che tornasse a casa, perché mi mancava e avevo paura – voglio direi, potevo morire! - di quel momento, perché quando sarebbe tornato a casa avremmo dovuto farla finita con il bambino. È tornato a casa e mi ha detto: “M., stai calma, che non vai da nessuna parte! Ti prometto che il bambino sarà sano! Su, credimi che sarà sano!”. Passavano i giorni, aspettavo il parto, ho partorito...E sono rimasta così, un minuto, qualche minuto o quanto sarò rimasta; a un certo punto sono rinvenuta e ho fatto una cosa così brutta, ho detto: “Oddio, ho fatto un bimbo, dovevo fare una bimba!...Ma è sano?” E il dottore è venuto da me: “Ma perché, perché, gli hai fatto qualcosa?”...E non me l'ha portato subito...Mi ha portata all'interno del salone, e ho iniziato a piangere così, vi dico, che non riuscivo più a fermarmi, perché se fosse stato senza mani, senza gambe, me l'avrebbe dovuto dire, no? Me l'avrebbe dovuto dire subito...Me l'ha portato. Quando me l'ha dato, ho disfatto la fasciatura – perché lo fasciavano in una maniera tutta loro -, l'ho sfasciato per vederlo!...Ebbene, era sano.

Quando sono arrivata a casa con lui, però...sventolavo le mani davanti ai suoi occhi, quando aveva qualche mese, per capire se vedesse. Accidenti a me! A tre- quattro mesi, sbattevo le cose, le spaccavo, per capire se sentisse; così...È diventato grande, beneducato. Ma mi svegliavo la notte, quando il bambino dormiva con me, e lo trovavo ai miei piedi...avevo un sonno così agitato: credo che fosse per la felicità che fosse nato sano, integro.”(LXXVI)

Oltre a dover gestire una vita sessuale costellata da dolore e preoccupazione, moltissime donne dovettero subire la predominanza maschile nel corso di tutto il matrimonio: il modello familiare maggiormente comune tra le coppie romene di qualsiasi estrazione sociale era quello basato sull'iniqua divisione dei compiti tra i coniugi, che costringeva le mogli a sobbarcarsi di tutte le responsabilità riguardanti la cura della casa e dei bambini. La riluttanza ad aderire allo stereotipo femminile propagandato dal regime era causa di tensioni fra i partner, e, pur non essendo accettato di buon grado da tutte le donne, questo schema di comportamento è prevalso all'interno della società, venendo tramandato in modo inalterato fino ai giorni nostri. Come sottolinea questa donna: “anche se usciamo di casa assieme e rientriamo sempre assieme, mio marito vuol essere servito, trovare i panni lavati e stirati, la casa pulita, i bambini custoditi, e le conserve preparate per l'inverno. Raramente lui mi aiuta con la spesa. Lui vuole avere il potere (nella coppia), ma sono io che ho la forza per compiere tutto ciò”(LXXVII); “mio marito è molto gentile ed empatico. Dà tutto il suo salario in casa, non beve, ci ama, ma non aiuta nei lavori domestici. È stato abituato così da sua madre, ad essere sempre curato, a essere sempre assistito, ad essere addirittura aiutato mentre mangia come se fosse un bimbo. È così inetto, non sa farsi nemmeno il tè da solo! Quando torna da lavoro, si mette il pigiama e si siede in poltrona a leggere il giornale o a guardare la TV.”(LXXVIII) Col passare del tempo, la relazione fra i coniugi poteva risentire in modo irreparabile della diversa concezione di impegno per la famiglia e dedizione al lavoro fuori casa, divenendo un'altra fonte di stress per le donne; pur essendo in forte disaccordo tra loro, spesso marito e moglie continuavano il proprio rapporto unicamente per

crescere i figli: “mio marito mi rimprovera sempre di essere troppo presa dal lavoro. Dice che, in una famiglia, i due membri della coppia non possono realizzarsi allo stesso modo, e che non è normale che una donna sia ambiziosa professionalmente parlando. Sarebbe stato ovvio che avrei dovuto essere io a lasciar perdere le mie ambizioni, offrendo così a lui il supporto (necessario a raggiungere) i suoi risultati. Questo avrebbe voluto dire che i lavori di casa e l'educazione del bambino sarebbero dovuti ricadere solamente su di me, e lui avrebbe avuto il conforto psichico di concentrarsi sulla sua professione. Quando le cose non vanno come vuole, mi fa sentire in colpa perché sono una madre e moglie non votata alla famiglia. Non è felice della mia crescita professionale. Noi non abbiamo mai avuto seri litigi in famiglia, ma io sento che entrambi, nel profondo dei nostri cuori, siamo insoddisfatti l'uno dell'altra e nemmeno ce lo diciamo. Sappiamo solo che abbiamo un bambino da crescere!”(LXXIX)

La percezione del ruolo della donna nella società romena è stata così viziata dalla visione ideologica socialista da rendere ancora attuali le problematiche femminili ad essere connesse: sebbene il concetto di vera parità tra uomo e donna abbia fatto il suo ingresso nella Romania post-comunista, non è raro che gli stereotipi di genere continuino ad essere tramandati alle generazioni odierne, soprattutto all'interno di comunità meno ricche e istruite.

Nello specifico, l'educazione sessuale e la contraccezione risultano essere ancora problemi irrisolti: dal punto di vista pubblico, non sono ancora tuttora previsti corsi obbligatori di educazione sessuale in tutte le scuole pubbliche, mentre all'interno delle famiglie spesso si tende a perpetrare l'atteggiamento di moralismo e omertà tipico del periodo socialista. Come ammette una madre intervistata, “non ho fornito un'educazione sessuale alle mie figlie perché semplicemente mi vergogno di parlare apertamente con loro di questi problemi.”(LXXX)

In seguito all'abrogazione della legge antiaborto, il numero di interruzioni di gravidanza in Romania ha subito un'impennata vertiginosa; il dilagante utilizzo dell'aborto come metodo anticoncezionale è imputabile alla mancata diffusione di

informazioni sulla contraccezione e al persistere di una mentalità che tende a non responsabilizzare entrambi i partner in materia di prevenzione di gravidanze indesiderate. Nonostante la possibilità di accedere liberamente alle interruzioni di gravidanza su richiesta, alcune donne (appartenenti alle fasce più povere della popolazione) continuano ad affidarsi a coloro che praticano aborti illegali.

3.2 I decreței

Le generazioni nate in seguito all'emanazione del decreto 770 dovettero affrontare condizioni di vita molto avverse, legate all'attuazione di una politica sociale inadeguata a far fronte all'improvviso incremento della popolazione. Nonostante l'aumento costante del numero di asili nido e scuole materne attuato dal governo, il numero di posti disponibili in queste strutture di cura non fu mai corrispondente ai reali bisogni dei cittadini. Tutti i bambini erano costretti fin dalla più tenera età a frequentare asili sovraffollati, in cui la sorveglianza effettuata dal poco personale presente era spesso scarsa; gli edifici all'interno dei quali erano ospitati i neonati non sempre erano forniti di riscaldamento continuo durante l'inverno (la temperatura media nei nidi si aggirava sui 15-16°), fatto che favoriva l'insorgenza di frequenti epidemie tra i piccoli. La possibilità di contrarre malattie e le carenze strutturali degli asili stessi (riscaldamento non adeguato, cibo scarso e di qualità scadente, cure approssimative fornite dal personale) erano i motivi che spingevano i genitori a usufruire di questi servizi solamente nei periodi più caldi, essendo costretti a trovare soluzioni alternative per la stagione invernale.

Una volta cresciuti, i bambini continuavano a vivere in condizioni di sovraffollamento nelle classi scolastiche, dove molto spesso un insegnante si trovava a dover gestire anche 40 bambini alla volta. L'inquadramento in organizzazioni di partito fin da piccoli, oltre ad avere lo scopo di insegnare i valori propagandati dal regime, aiutava a mantenere una rigida disciplina necessaria alla convivenza di così tanti individui in spazi comuni inadeguati.

Oltre a doversi confrontare con problemi pratici, molti bambini si ritrovavano a passare gran parte della giornate in assenza dei propri genitori, impegnati fra lunghi turni lavorativi e infinite code a tentare di recuperare il cibo e i vestiti necessari per far vivere dignitosamente i propri figli: questa realtà da un lato aiutava a crescere generazioni responsabilizzate di giovani capaci di badare a sé stessi, ma dall'altro provocava anche carenze emotive che si riflettevano nel mancanza di dialogo con i genitori.

Coloro che ebbero la fortuna di crescere presso le famiglie d'origine non furono