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La politica demografica socialista in Romania (1966-1989)

2.8. Tra maternità forzata e libero arbitrio: l'aborto illegale

2.8.2. La posizione dei medic

Se la situazione della popolazione femminile fu molto complessa e costellata di tragiche esperienze, anche la posizione del personale medico non fu immune da difficoltà durante gli anni del governo di Ceaușescu.

Medici e infermieri erano sottoposti a una forte pressione dovuta alla presenza dei membri della Procura e della Securitate all'interno dell'ospedale, vissuta come

una vera e propria violenza poiché impediva loro di eseguire in libertà il proprio dovere. Il personale medico doveva attendere l'autorizzazione del procuratore/miliziano di turno per effettuare un'interruzione di gravidanza, vedendosi costretto a non poter procedere se non in casi di estrema emergenza, come afferma il dottor T.G: “quando le donne arrivavano con perdite di sangue alla guardia di notte, se, dopo il consulto, la diagnosi non era allarmante, era preferibile che l'aborto venisse fatto la mattina, alla luce del giorno, perché il sospetto era sempre molto forte. Ogni maternità aveva il suo ufficiale della

Securitate che non faceva altro che stare col fiato sul collo (ai medici). Se a

Bucarest erano più comprensivi, negli ospedali più piccoli di provincia pretendevano sempre di stare dentro lo studio, violando grossolanamente ogni principio di esame medico. Un profano non ha niente da cercare in uno studio di ginecologia, eppure stavano anche lì.”(XLVII) L'ingerenza della Securitate nell'operato dei medici dipendeva in parte dalle capacità del caporeparto, il quale poteva arginare l'intromissione del potere politico nelle vicende del reparto solo se occupava la propria posizione in base al merito, facendo valere la propria autorità di serio professionista. L'impossibilità di poter agire secondo coscienza dilaniava interiormente molti medici, come testimonia il dottor M.: “Ma, signora, posso io...che ho fatto il giuramento di Ippocrate...posso io lasciar morire una donna?! Posso ammettere che non è stato genocidio quando i procuratori, chiamati ad autorizzare l'interruzione di gravidanza in casi limite, venivano al capezzale della moribonda e dicevano: “Se ci dici chi ti ha fatto questo, gli diamo il permesso di salvarti la vita, altrimenti ti lasciamo morire”? Sì, sì, sì!! Ho assistito a scene del genere! Ero di turno alla guardia medica, ovviamente; noi non avevamo il permesso di praticare nessun tipo di interruzione (di gravidanza) se non ricevevamo l'autorizzazione del procuratore di servizio, che per divertirsi veniva, si prendeva un camice e assisteva, anche se non era normale che fosse presente...all'esame vero e proprio, all'esame tattile o ad altro. Ma rimanevano... Non avevano, non avevano questo... pudore. […]

miliziani hanno fatto molto male! Hanno al loro attivo almeno una parte dei cimiteri di donne che sono morte. Non parlo di noi, noi abbiamo resistito, abbiamo vissuto, abbiamo resistito al carcere, ma sappiate che questi uomini dovrebbero essere portati a rispondere delle loro azioni!

Ma che dire, ci sono stati anche uomini tra loro che pensavano che a casa avevano una moglie, una sorella o non so che, e cedevano. Dicevano: “Beh, proprio così, è un caso limite, che facciamo?”. Potevano chiudere un occhio se quella (donna) era un caso limite.” (XLVIII)

Ginecologi e ostetrici si trovavano obbligati a dover seguire rigidamente le disposizioni sanitarie imposte dallo Stato in tutti i casi più complessi: fu imposto per legge un numero massimo di aborti e cesarei realizzabili in ciascun ospedale, superato il quale l'ospedale incriminato sarebbe stato oggetto di sanzioni amministrative. Va sottolineato che l'imposizione di un certo numero di cesarei fu attuata a seguito di studi condotti dal regime, con i quali era stato dimostrato che una donna non potesse più avere figli dopo due cesarei; questo provvedimento, promosso per stimolare una maggior natalità, aumentò di fatto i decessi materni causati dalle complicazioni legate al parto. La dottoressa K.B. riporta un aneddoto legato a questo problema raccontatole da una paziente: “poiché si registrava la tendenza di crescita nel numero dei cesarei, si era stabilito attraverso il piano quinquennale che la percentuale di cesarei sul totale delle nascite non dovesse oltrepassare il 4-5%. Nel caso in cui la percentuale venisse oltrepassata, allora sarebbero state richieste “giustificazioni obiettive”. Una donna si ricordava che era mezzanotte quando fu portata in maternità perché le era iniziato il travaglio. Dopo esser penetrata nell'oscurità che dominava le vie d'accesso all'ospedale, la sua paura dell'ignoto era diventata terrore. Prima di entrare in ascensore, il crepuscolo della sala di guardia fu tagliato da un grido dolorosamente lungo. Una volta giunta in sala travaglio, aveva visto molti corpi di ragazze e donne segnate dalla tensione muscolare del parto, ma per tutte urlava una sola donna. Quando riusciva ad articolare le grida in parole, implorava che le venisse fatto il cesario. La levatrice aveva detto alla nuova arrivata che la donna

soffriva da 24 ore e nessuno si prendeva la responsabilità di farle un cesario. A quel tempo non sapeva che questa cosa era pianificata, e che probabilmente un ulteriore cesario avrebbe fatto partire misure amministrative per l'ospedale.”(XLIX)

I metodi utilizzati dalla Securitate per indagare sui casi di aborti procurati si basavano subdolamente sulle rivelazioni di informatori interni: “Gli organi di repressione incaricati della “realizzazione del piano di riproduzione su larga scala dell'uomo nuovo” procedevano in modo selettivo alla sorveglianza delle attività delle maternità. Per questo si metteva in pratica un “sistema di informazione” che ha mostrato la sua utilità per tutta la storia del regime. La delazione e il ricatto erano utilizzati frequentemente. Anche se teoricamente tutte le donne e tutti i medici erano sospettati, non tutti erano incriminati e interrogati. Non era casuale che si facessero pressioni solo su alcune delle donne che venivano ricoverate per “aborto spontaneo”, direi che esisteva una certa “quota di sacrificio” per salvare le apparenze del meccanismo punitivo. I “collaboratori” della milizia all'interno dell'ospedale erano quelli che, avendo trasgredito il divieto di aborto, avevano scambiato la propria libertà personale con l'obbligo di denunciare qualcun altro. E quando lavori in una maternità, tra così tante pazienti che si raccontano una con l'altra i dispiaceri della loro condizione di donna, non è difficile trovare qualcosa da spifferare. Perciò, quando la milizia o la procura interrogava una donna che si trovava sulla tavola operatoria per scoprire chi le aveva provocato l'aborto, il più delle volte la scelta era fatta con cognizione di causa.”(L)

Sebbene il personale medico dovesse sottostare a forti limitazioni, molti dottori cercavano di aiutare le pazienti in tutti i modi possibili falsando le diagnosi per poter effettuare aborti terapeutici: “in generale, so che le donne dicevano ai ginecologi cosa avevano fatto e come lo avevano fatto. C'era un'intesa immediata perché se quella donna perdeva sangue e il ginecologo era uno con la coscienza pulita, quindi non era in conflitto con gli organi ufficiali, attraverso un tacito accordo nessuno diceva nulla, e se la donna perdeva una goccia di sangue, ecco, era aborto spontaneo, aveva già perso il bambino e bisognava solo fare un aborto

omeostatico” (LI); “alla fine si giunse al punto che in tutti gli ospedali si facevano aborti, e tanti, che... per paura non venivano dichiarati tali, perché a un certo punto venne istituito un avanzamento ideologico di questo genere, che ogni ospedale dichiarasse quanti meno aborti possibili. Era una specie di furberia, un segreto di Pulcinella in realtà, per cui si diceva che l'operazione non era stata fatta per un aborto, ma per endometrite48 o metropatia49; vari stratagemmi che tutti conoscevano. Ma se si contava la quota fertile di donne e si contava quante volte una donna può rimanere incinta in un anno, era possibile rendersi conto di quanti aborti avvenivano all'anno, e chiaramente il numero di aborti dichiarato era di due o tre volte minore rispetto a quello reale. Oppure si procedeva all'esame istopatologico per determinare se si era trattato o no di un aborto, e allora il medico di anatomia patologica diceva che quei resti non erano aborti, bensì...ma anche la donna di servizio sapeva che erano aborti! Al Comitato Centrale non si doveva parlare del numero di aborti... Ma voglio dire che in tutti gli ospedali, e ve lo dico di nuovo con la mano sul cuore, non conosco un dottore che abbia lasciato una donna sanguinare o avere una complicazione senza...senza che il caso fosse risolto nelle migliori condizioni possibili. Forse c'è stata una percentuale infima di dottori che hanno voluto far carriera, che non hanno voluto tener conto dei...precetti medici, ma non so se...molti hanno fatto errori come lasciare una donna perdere sangue, diventare anemica, infettarsi, non credo sia esistito qualcosa del genere... Forse sono arrivate donne con infezioni gravi, e allora non potevi far nulla.” (LII)

Molti medici e infermieri misero al servizio delle donne le proprie conoscenze praticando anche aborti illegali; alcuni di essi vennero scoperti e condannati a lunghe pene detentive, come illustrano le seguenti testimonianze: “Lui era anche ginecologo, e operando una donna che era infetta non so cosa ha toccato – non so come esprimermi – là nell'utero, le ha tagliato qualcosa là dentro, ed è morta sul posto. E lui è stato condannato a dieci anni e un giorno, ossia per sempre. Se 48 Endometrite: processo infiammatorio che coinvolge l'endometrio, l'epitelio che ricopre la cavità

uterina.

fossero stati 10 anni, li avrebbe fatti in metà tempo, però dieci anni e un giorno significava per sempre, non sarebbe mai stato liberato di là, quindi. E poi li portarono da Ceaușescu...stava costruendo dei canali, nei quali dovevano lavorare i condannati all'ergastolo. Li portavano a quei canali, il posto era chiamato Porta Bianca. Non potevano...non so, li drogavano, o la rabbia chissà cosa scatenava in loro, non potevano parlare là. Non poteva avvicinarsi nessuno! Assolutamente, c'erano talmente tanti miliziani che pensavi che...fossero fatti apposta perché a quei passi non si avvicinasse nessuno! Li portavano là a Porta Bianca e li mettevano a lavorare là la terra. E, tra gli arrestati, chi erano dottori, chi...altri...assistenti, e li portavano là, e loro lavoravano tutti, tanto che si ammalavano per quanto c'era da fare, perché li mettevano a lavorare obbligatoriamente, che volessero o no. Questa obbligatorietà consisteva nella terreno da scavare ogni giorno, un vagone: quel tanto serviva, eri obbligato, altrimenti ti picchiavano, ti ammazzavano e buon viaggio, te ne andavi all'altro mondo, non rimanevi in questo! C'erano degli obblighi severi, là a Porta Alba c'era il carcere più duro.”(LIII); “signora, ho pagato il mio tributo, lo so io, a causa... della mia comprensione per i pazienti, per le pazienti, o forse perché sono stato più credulone di altri e più privo di... che so io, di questo spirito di clan politico, non posso dire altrimenti. Come si è scoperto? Sappiatelo, in primo luogo (sono stati) i colleghi: all'interno di ogni istituzione esistevano alcuni informatori, medici o professori, inclusi professori universitari, che erano là. Bene, il secondo motivo lo so io... le donne che venivano aiutate raccontavano: “Guardi, ho trovato un uomo che mi ha aiutata. È lui: guarda che se lo implori, lo chiami, ti aiuterà, ti porta nella suo studio, fa' quel che fa' e ti aiuta”. Poi lo conosco, il pedinamento che si faceva, tutti eravamo seguiti. C'erano persone seguite che dovevano pagare e persone che, anche se avevano già praticato un aborto, avendo una posizione alla polizia o alla Securitate, non pagavano nulla – questo è un altro aspetto. Io... credo di aver pagato solo a causa della mia ingenuità, solo per questi motivi, l'ingenuità e probabilmente per il mio passato. Perché io ho pagato per la prima volta al sesto anno di facoltà nel 1956. Sono

stato arrestato esattamente dopo la rivoluzione in Ungheria, condannato a passare dal famoso Ministero degli interni, l'ex Comitato Centrale. Ammetto che, avendo visto il film di Yves Montând “La confessione”, credo che non ci sia paragone con cosa poteva accadere là, in confronto quelli sono poppanti, quei metodi sono uno scherzo rispetto a quello che accadeva là.

[...]

Alla fine nel 1964 mi hanno rilasciato e sono diventato medico, grazie a un uomo che è stato un vero uomo, che si chiama M.; è colui che ci ha...non ci ha riabilitati, ma ci ha re-immatricolati e ci ha permesso di terminare la facoltà. Ho ottenuto anche una specializzazione. Ma per la Securitate noi eravamo rimasti vivi e potenzialmente pericolosi. E credo che anche questo sia dipeso da me, perché ci sono state assai persone che facevano ciò che facevo io. Ho preso tutte le mie precauzioni...Il mio primo dossier è del '71. Voglio dire una cosa, io non ho niente contro quella donna, perché sono stato io a dire: “Signore, non la torturi più!”, perché non aveva più un dito della mano sano...no, erano tutte rotte, rotte!...E aveva...due bambini a casa, di cui una bimba che allora aveva 9 o 10 anni handicappata, oligofrenica50. Quindi ho detto: “Signore, io, l'ho fatto io!”. Volevano anche sapere chi mi aveva raccomandato: “Che ho fatto signore, l'ho incontrata, ho... che ne so?”.

Come hanno messo le grinfie su di lei, è stato molto facile. La donna stava al primo o al secondo piano di un bloc, la vicina di sotto si era ritrovata la casa allagata e pretendeva che le ridipingesse casa, ma non avendo possibilità economiche le due hanno discusso... La vicina aveva saputo che 3- 4 giorni prima la donna aveva fatto un'interruzione di gravidanza, l'ha denunciata, l'ha presa e l'ha portata del medico legale. Tutti i medici di medicina legale, assolutamente tutti...non sono stati che il braccio destro della polizia e della Securitate! Tutti quelli dell'Istituto di Medicina Legale, perché ancora oggi mi ricordo e mi pongo il problema come se fossero passati solo 4 o 5 giorni...che questi facevano alle donne un'altra operazione cosiddetta bioptica, e non si potevano trovare tracce, 50 Oligofrenico: affetto da oligofrenia, ritardo mentale congenito o acquisito nella prima infanzia,

soprattutto perché io non lasciavo tracce dell'intervento, non utilizzando il forcipe, non utilizzavo il forcipe proprio per non lasciare tracce! Quindi, quando ho visto la donna così sgomenta, ho ceduto io! Andava così in quel meccanismo...un giorno hanno preso lei, ma non ha ammesso niente! L'hanno portata dal medico legale, l'hanno mandata in maternità, non mi ricordo quale, credo alla Cantacuzino, dove una dottoressa... Ho pensato alla giustizia imminente, P. si chiamava e non so come. Questa dottoressa praticava interruzioni di gravidanza in modo frequentissimo. Lei era quella che uccise una donna a casa sua, da qualche parte a Cotroceni, una studentessa che prese con il ragazzo, il suo fidanzato, e gettò proprio nel bosco a Cernica.

È stata questa dottoressa colei che ha affermato che la donna alla quale io avevo praticato l'aborto aveva subito un'interruzione di gravidanza, quando avrebbe potuto dire molto chiaramente: “Signore, no, non è aborto”. In questa situazione la polizia non aveva niente a che fare. Dopo l'hanno portata all'Istituto di Medicina Legale, e lei conferma l'interruzione di gravidanza (ovviamente avevano cose extra scritte dall'ospedale, non avevano niente da dire). In questa situazione hanno preso la vicina che aveva fatto la denuncia: “Ebbene, chi gliel'ha fatta?” “Signore – ha risposto – non è andata da sola, è andata tramite una tizia che è fidanzata con suo cugino”. Hanno preso lei, hanno preso anche altra, hanno preso pure la terza, che non si ricordava più chi fosse: “Signore, sono stata io, ce l'ho portata io, ma non so cosa sia successo”. La donna diceva: “Signore, non mi ha fatto nulla, mi ha solo esaminata”. In questa situazione, quando l'ho vista sfinita dopo le torture, ho detto: “Sì, signore”. Che vi devo dire? Era questa...caccia alle streghe.

Mi hanno condannato, per capire fin dove si sono spinti. Mi hanno dato un anno e 8 mesi.

[…]

Nel 1974, ero stato liberato nel frattempo, nel '74 da noi era appena finito quel congresso di demografia del quale era presidente Elena Ceaușescu. A causa sua, poiché non ci presentammo con cifre sulla natalità scontate per lei, è iniziata una

campagna. Si è cercato in tutti i dossier...di chi aveva ricevuto la sentenza definitiva da meno di un anno, e a tutti sono stati avanzati ricorsi straordinari o sorveglianze. Guardate dove siamo andati a finire, a causa di questi boia che sono esistiti ovunque, lo terrò a mente tutta la vita! La sentenza è diventata definitiva il 7 ottobre 1972, quindi il 7 ottobre '73 la sentenza non doveva avere la possibilità di essere attaccata. Che cosa hanno fatto? Hanno antedatato la promozione del ricorso straordinario per poterlo approvare, cosa per la quale ho contestato. Mi ricordo che era presidente di commissione, tra l'altro, un ex Ministro di Giustizia, G., che ha compreso questa cosa ma non ha potuto far nulla, signore! E allora si è congedato e ha lasciato gli altri, che hanno approvato il ricorso. Ammesso il ricorso e rimandato di nuovo a giudizio. Prove, similprove, e nel 1974 mi hanno dato 3 anni e mezzo per il solito fatto! Senza prove, dopo aver negato in istanza, sia lei che io. Anche se glielo avevo fatto, questa è la verità, ma le prove mancavano... mi hanno dato 3 anni solo perché semplicemente era stato chiesto da un procuratore aggiunto al settore due, R.”(LIV).

L'intera nazione venne oppressa a tal punto dall'ingerenza dello stato nella vita privata dei cittadini che, all'indomani dell'esecuzione dei coniugi Ceaușescu, il primo provvedimento attuato dal Governo provvisorio fu l'abolizione della decreto 770.